È finita come era iniziata: il Parlamento europeo ha approvato, a larga maggioranza, la proposta di direttiva di riforma del diritto d’autore nella formulazione – salvo pochi colpi di maquillage – originariamente proposta dal relatore Alex Voss. Nel nuovo diritto d’autore europeo ci sarà un nuovo diritto connesso in forza del quale gli editori di giornali avranno diritto a un “equo compenso” da parte di chi utilizzerà i link ai loro articoli accompagnati da un estratto – ancor che breve – e un doppio giro di vite sui gestori delle piattaforme che pubblicano contenuti degli utenti e che saranno, by default, responsabili per tali contenuti sotto il profilo di eventuali violazioni del diritto d’autore.
È il momento dell’onore delle armi che su un campo di battaglia di un tempo i vincitori riconoscerebbero ai vinti ma che, forse, in questo caso, gli uni dovrebbero tributare agli altri perché, sfortunatamente, l’impressione è che – al di là di quello che ha segnato il tabellone dei voti nell’Europarlamento di Strasburgo – oggi non ci sono né vinti, né vincitori. E, per dirla tutta, è lecito anche dubitare del fatto che la parola “onore” sia associabile al dibattito che si è appena concluso e che di onorevole, almeno a tratti, ha avuto davvero ben poco. Ma indugiare sull’accaduto è poco utile e val la pena, invece, iniziare a guardare a domani con più serenità e obiettività possibile.
1. Il primo aspetto da non dimenticare – da una parte e dall’altra – è che domani non cambia nulla rispetto a oggi perché la direttiva non sarà legge nei singoli Paesi dell’Unione prima del 2021. Non c’è certezza – e non può esservi – che domani le dinamiche di circolazione delle informazioni e dei contenuti online saranno ancora quelle di oggi e che le conquiste o sconfitte – a seconda dei punti di vista – registrate oggi siano ancora utili o effettivamente dannose. È una questione di metodo che – a livello europeo e nazionale – si continua a sottovalutare: mentre ha senso usare le leggi per fissare principi generali e astratti, non ha alcun senso – specie quando si parla di digitale – pretendere di spingersi al livello di dettaglio cui si spingono le regole appena approvate dal Parlamento europeo. L’innovazione è un processo di trasformazione rapida e costante, le leggi monoliti pressoché immodificabili.
2. Il secondo aspetto è che quella nella quale si colloca la battaglia che si è appena conclusa è una “guerra” – mi si perdoni l’orribile espressione trattandosi di un confronto tra idee contrapposte – sostanzialmente “civile”, tra appartenenti a uno stesso, unico e inscindibile ecosistema informativo e mediatico. Grandi piattaforme, editori di giornali, industria audiovisiva e, soprattutto, utenti, infatti sono “cittadini” di quella stessa comunità globale che, per brevità, abbiamo imparato a chiamare Web e, oggi, difficilmente – pur nel rispetto delle posizioni di ciascuno – l’uno potrebbe “vivere” senza l’altro. I rapporti economici tra i gestori delle grandi piattaforme, gli editori di giornali, l’industria musicale sono quotidiani e valgono già miliardi di euro in tutto il mondo. E, naturalmente, senza gli utenti, i loro dati, le loro visite nessuno dei protagonisti commerciali di questo confronto ha un futuro.
3. Il terzo aspetto è il più importante: i rischi di effetti collaterali della proposta di direttiva capaci di limitare il pluralismo informativo e la libertà di comunicazione online – senza indugiare ora a chiedersi se siano stati o meno esasperati e strumentalizzati da una delle due fazioni – sono innegabili, reali, sussistenti, presenti già nel quotidiano. È, per questo, indispensabile che, a cominciare dalle negoziazioni tra le istituzioni europee alle quali il Parlamento oggi ha dato l’ok, nessuno, da oggi, perda di vista per un solo istante il problema: iper proteggere i diritti d’autore sacrificando altri diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino – pari-ordinati – come pluralismo e libertà di comunicazione online è una sconfitta per tutti, editori di giornali in testa.
Quando il fragore della battaglia avrà lasciato il posto al silenzio, sarebbe bello, se vinti e vincitori – ammesso che ce ne siano – si ritrovassero attorno a un tavolo a firmare un armistizio con il quale riconoscere che i diritti d’autore tutti – a cominciare da quelli degli utenti del web troppo spesso dimenticati – sono sacrosanti esattamente quanto lo è la libertà di comunicazione elettronica e che chi ha torto o ragione online in relazione alla pubblicazione di un contenuto deve essere sempre questione decisa da giudici e autorità, auspicabilmente dotati delle miglior tecnologie e risorse disponibili allo stato della tecnica.
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