Il libro La carità che uccide
di Dambisa Moyo, una giovane economista zambiana formatasi ad Oxford e
ad Harvard, espone già dal suo titolo il giudizio dell'autrice nei
confronti dei flussi di aiuto che l'Africa ha ricevuto a partire dagli
anni in cui i paesi del continente hanno raggiunto l'indipendenza
politica: non solo, come già ampiamente documentato da vari autori,
l'aiuto non è riuscito a promuovere lo
sviluppo
economico nel continente, ma lo ha frenato. Non solo l'aiuto non ha
rappresentato una parte della soluzione alla sfida rappresentata dallo
sviluppo economico, ma è stato una delle cause della mancata crescita
del continente africano. L'autrice si oppone radicalmente agli impegni
internazionali - come quello preso dal G8 durante l'incontro di
Gleneagles del 2005 - di aumentare la dimensione dei flussi di aiuto
diretti verso i paesi africani, suggerendo, invece, che i paesi donatori
si dovrebbero impegnare a cessare completamente ogni flusso nell'arco
di un periodo di cinque anni. Dambisa Moyo descrive, nella seconda
parte del suo libro, le fonti a cui i paesi africani potrebbero
attingere per finanziare il loro sviluppo, argomentando che la sua
proposta di porre fine alla dipendenza dall'aiuto non è mossa da un
intento provocatorio, ma può essere concretamente messa in pratica.

L'autrice
offre una rapida panoramica sulla storia dell'aiuto concesso dai paesi
sviluppati ai paesi a basso reddito a partire dal secondo dopoguerra, e
quali erano le aspettative che accompagnavano tali trasferimenti di
risorse. Questa rassegna ricorda i cambiamenti nel corso del tempo
delle priorità perseguite attraverso l'aiuto: dallo sviluppo
infrastrutturale e industriale alla lotta alla povertà, e quali
condizioni relative alle politiche economiche o al quadro istituzionale
del paese ricevente - abbiano accompagnato i flussi di risorse.
Nonostante questi cambiamenti, la storia dell'aiuto è stata
caratterizzata, secondo Dambisa Moyo, da una costante: l'aiuto ha sempre
sistematicamente mancato i propri obiettivi.
Ma l'autrice porta
questo argomento un passo oltre: non solo l'aiuto verso l'Africa è
stato inefficace, ma è stato in realtà dannoso. Sebbene ci siano vari
fattori - geografici, storici, culturali, istituzionali, legati a
fattori etnici e religiosi - che Dambisa Moyo riconosce che possano
contribuire a spiegare, in parte, il mancato sviluppo di larga parte
del continente, nel libro si pone l'evidenza su un solo fattore, ovvero
sull'aiuto. E' la dipendenza - che accomuna tutti i paesi africani -
dai flussi di aiuto che può spiegare la mancata crescita economica dei
paesi africani.
Il quarto capitolo del libro descrive i meccanismi attraverso i quali l'aiuto ha
ucciso la crescita
dell'Africa, partendo dall'argomento che l'aiuto ha contribuito in modo
decisivo alla corruzione del sistema politico, che a sua volta ha
compromesso le prospettive di sviluppo economico. Le risorse trasferite
dai paesi donatori e dalle istituzioni multilaterali come la Banca
Mondiale verso i paesi africani rappresentano una rendita controllata
dal potere politico, il cui impiego è sottratto al controllo pubblico,
ed è dunque esposto al rischio di essere sottratto ad impieghi
produttivi. La disponibilità di ampi trasferimenti dall'estero ha minato
alla base gli incentivi dei paesi riceventi di rafforzare la propria
capacità di mobilitare risorse domestiche, e di finanziare progetti di
sviluppo con i proventi della tassazione. Il basso livello della
tassazione non ha messo in moto un meccanismo di controllo, da parte dei
contribuenti, di un meccanismo di controllo sull'impiego delle risorse
fiscali, che rappresenta l'unico argine possibile contro
l'appropriazione privata di fondi pubblici.
Oltre alla corruzione,
l'aiuto tende a generare una dinamica inflattiva che porta ad un
apprezzamento del cambio reale, indebolendo ulteriormente le già
limitate capacità di esportare prodotti da parte dei paesi riceventi.
L'aiuto determina anche, secondo l'autrice, un incremento della
probabilità di una guerra civile. La letteratura economica - si veda il
libro
Wars, Guns and Votes di Paul Collier recensito in
questa rubrica - rappresenta i ribelli come indistinguibili da un
gruppo di banditi, il cui unico obiettivo è quello di assumere
l'accesso alle rendite connesse al controllo del potere politico. Dato
che l'aiuto aumenta il valore di tali rendite, aumenta anche gli
incentivi a tentare di assumere
manu militari il controllo del sistema politico.
Dambisa
Moyo riconosce che la comunità dei donatori era ben consapevole del
fatto che l'aiuto contribuisse alla diffusione della corruzione nei
paesi riceventi, ma che questo non ha mai portato i donatari a
diminuire i flussi di aiuto. Questo perché esistevano sia incentivi a
continuare a fornire aiuto - dato che questo non rispondeva
esclusivamente alla volontà di promuovere lo sviluppo economico nei
paesi riceventi, e perché si credeva che non esistessero alternative. Si
potrebbe dire che i donatori si trovavano alle prese con una sorta di
dilemma del Buon Samaritano: ovvero, la consapevolezza dei problemi -
anche profondi - connessi alla fornitura dell'aiuto non elimina la
convinzione che l'alternativa sarebbe stata senza dubbio peggiore per le
popolazione degli stessi paesi riceventi.
Questa difesa
dell'aiuto è contestata dall'autrice, la quale sostiene che i paesi
Africani trarrebbero benefici dalla decisione dei paesi donatori di
porre fine ai flussi di aiuto. Non è vero, come sostenuto nel 2002
dalla Conferenza di Monterrey delle Nazioni Unite su
Financing for Development,
che l'aiuto rappresenti l'unica credibile fonte di finanziamento per i
paesi meno sviluppati. Anche questi paesi, scrive Moyo, potrebbero
attingere a fonti alternative per finanziare la propria crescita
economica. Queste fonti sono rappresentate dai mercati internazionali
del credito, dove sarebbe possibile collocare emissioni consistenti di
titoli del debito pubblico, dal commercio internazionale, in particolar
modo con la Cina, e dagli investimenti diretti dall'estero. Perché
risorse ottenute da queste fonti non sarebbero sprecate, nutrendo la
corruzione? Perché, a differenza dei donatori, creditori e investitori
esteri cesserebbero immediatamente di fornire risorse se queste fossero
destinate ad usi non produttivi, e questa possibilità rappresenterebbe
un forte elemento disciplinante dell'azione pubblica. Oltre alla
disponibilità di fonti alternative di finanziamento, che potrebbero
sostituire i flussi di aiuto, Dambisa Moyo suggerisce anche che i paesi
africani potrebbero ispirarsi ad esperienze di istituzioni di
microcredito, come la Grameen Bank di Mohammed Yunus, per fornire
accesso a fonti di investimento alle famiglie e alle piccole imprese.
Questa è, decisamente, la parte di
La carità che uccide
che appare meno convincente: mentre la parte di critica degli effetti
dell'aiuto poggia sul riferimento ad un ampio numero di lavori
accademici, e riesce efficacemente a ricordare quanto l'esperienza
passata dell'aiuto diretto verso i paesi africani sia stata
insoddisfacente, la seconda parte del libro non poggia su basi
altrettanto solide.
E' davvero credibile che i paesi africani -
non solo quelli emergenti come il Sud Africa, il Botswana o le
Mauritius - possano nell'orizzonte di cinque anni proposto dall'autrice
riuscire a sostituire l'aiuto con un simile ammontare di risorse
ottenute dal settore privato? Probabilmente, il libro - che è uscito
nel 2008 con il titolo originale di
Dead Aid - soffre dal
fatto di essere stato pubblicato in un momento in cui la fiducia
riguardo alla capacità del sistema finanziario di allocare in modo
efficiente le risorse non è certamente al suo apice.
Inoltre, i
lettori possono trovare molto forte il cambio di registro fra la prima e
la seconda parte del libro. Nella prima parte, Dambisa Moyo è netta
nell'escludere la possibilità che altri fattori possano essere stati
maggiormente rilevanti dell'aiuto nel ritardare lo sviluppo
dell'Africa, e nel negare qualunque possibile effetto benefico
dell'aiuto. A questo riguardo, è emblematico il brano relativo al
Botswana, un paese che è stato capace di crescere ad un passo ben
superiore a quello del resto del continente: "[Il Botswana] ha ricevuto
ampi flussi di aiuto (pari a circa il 20 percento del reddito del
paese) nel corso degli anni Sessanta. E' vero che il reddito pro capita
del paese è cresciuto in media del 6,8 percento all'anno fra il 1968 e
il 2001, uno dei tassi di crescita più elevati al mondo. Ciò
nonostante, l'aiuto non è responsabile per questo successo" (
nostra traduzione dalla versione originale).
Questa interpretazione di questa storia africana di grande successo
non è argomentata ulteriormente, se non facendo riferimento alla bontà
delle politiche economiche messe in atto dal paese, evidentemente
indenne dagli effetti negativi dell'aiuto sulla corruzione del sistema
politico.
La condanna, senza appello e senza eccezioni, dell'aiuto
verso l'Africa, lascia il passo ad un'apertura senza riserve verso i
flussi privati di risorse. Nessuna menzione ai problemi connessi agli
investimenti diretti esteri nel settore primario - si pensi, ad esempio,
alle compagnie petrolifere operanti nel Delta del fiume Niger - o ai
possibili effetti di spiazzamento sui produttori domestici legati ad un
incremento dei flussi commerciali con la Cina. E' certamente vero che
flussi privati di risorse - come sostenuto a Monterrey - possono
contribuire allo sviluppo economico, ma è tutt'altro che certo che
questi flussi possano rappresentare un'affidabile risorsa per i paesi
Africani, soprattutto in un periodo di forte instabilità economica e
finanziaria.
In conclusione, sebbene Dambisa Moyo fornisca in
questo libro una chiara analisi dei problemi legati all'aiuto verso i
paesi africani nel corso degli ultimi decenni, non riesce a convincere
il lettore che la sua proposta di una completa cessazione dei flussi di
aiuto sia preferibile rispetto al faticoso tentativo in atto, da parte
dei paesi donatori e riceventi, di migliorare l'efficace dell'aiuto
stesso.
p.s.
DA LEGGERE!!!!!!!!
(magari integrandolo con i saggi di Stiglitz premio nobel per l'economia)
non
è che l'ultima puntata di una lunga storia iniziata con le crociate
quando il mondo "cristiano" cominciò a scontrarsi con il più avanzato,
allora, e ricco mondo musulmano (a sua volta punta di diamante del
continente africano...... la aptria di tutti gli esseri umani): quello
che ci è arrivato oggi di campi come la matematica o la medicina lo
dobbiamo agli arabi, ci piaccia o meno (Omar Khayyàm con il suo Algebra
ha messo le basi per la moderna matematica o al-Khwarizmi
dal cui nome abbiamo preso la definizione di "algritmo".. per fare due
esempi). L'Africa è una tappa, forse la più dolorosa perchè lo
sfruttamento continua tutt'oggi, di questo percorso di depredazione
delle risorse di cui è ricchissima e che non meritiamo perchè, anche con
i nostri comportamenti "consumistici", di fatto diamo l'alibi alle
nostre élite per continuare quasi indisturbate!! Prima o poi saremo
messi di fronte a una scelta: o si cambia volontariamente strada e ci
diamo, lo dico brutalmente senza giri di parole, una calmata o quando
l'Africa si svegliaerà dal suo millenario torpore, indotto, non ce ne
sarà più per nessuno...... e allora saranno loro a farci scegliere.