Fonte: Il Fatto Quotidiano Patrizia Gentilini Scienza - 14 Novembre 2019
Si
è svolto il 5 novembre alla Camera il partecipatissimo convegno
“Moratoria nazionale 5G, tra rischi per la salute e principio di
precauzione” promosso dall’Alleanza Stop 5G e da
parlamentari delle più svariate appartenenze politiche. Presenti
relatori di grande spessore scientifico quali Olle Johnsson, Annie J.
Sasco, Marc Arazi; in questo contesto prestigioso ho avuto l’onore di
aprire i lavori in rappresentanza di Isde, inquadrando il contesto in
cui il 5G andrà a operare, indubbiamente contraddittorio e confuso.
A
fianco delle relazioni di carattere strettamente scientifico,
importanti contributi sono venuti da associazioni di malati, dallo
studio legale torinese che ha ottenuto sentenze favorevoli circa i
rischi da elettrosmog e da amministratori locali. In particolare Franca Biglio, sindaco di Marsaglia
e presidente dell’Associazione Nazionale Piccoli Comuni di Italia
(Anpci), guida la rivolta dei primi cittadini contro il 5G e ha
denunciato come ancora una volta i piccoli comuni subiscano scelte
imposte dall’alto, senza alcuna preventiva informazione. Fortunatamente
sono sempre più numerosi i sindaci che, consci del loro ruolo,
difendono la salute delle loro comunità dai rischi dell’elettrosmog e seguono l’esempio della Biglio.
Come ha detto con forza Annie Sasco, non si tratta di invocare il principio di precauzione, ma quello di prevenzione, perché una corposa letteratura scientifica attesta che gli effetti biologici dei campi elettromagnetici (Cem) vanno ben oltre la sola azione di riscaldamento acuto, quella su cui si basano i limiti di legge. Le onde del 5G, in particolare, penetrano
nella cute fino a 10mm, con effetti sia locali (cellule cutanee,
terminazioni nervose, microcircolo) che sistemici per rilascio di
mediatori infiammatori.
E’ emersa con chiarezza l’inadeguatezza dei limiti vigenti anche in Italia
– che pur vanta una delle legislazioni più cautelative – che ha limiti a
6 V/m, anche se come media su 24 ore e non più “puntuali”, ma se si
pensa che fino agli anni 40 il fondo naturale pulsato era pari a 0,0002
V/m ben si capisce l’enorme aumento del groviglio elettromagnetico cui siamo tutti esposti.
Il Comitato europeo per i rischi da radiazioni (Ecrr), tenendo conto degli studi pubblicati nel 2018 dal National Toxicology Program (Ntp) e dall’Istituto Ramazzini, ha recentemente proposto di adottare anche per le radiofrequenze
limiti che – come per le radiazioni ionizzanti – tengano conto
dell’effetto cumulativo e adottino fattori correttivi legati alla
frequenza, all’età e alla tipologia delle persone esposte. A questo
proposito esiste una vera “schizofrenia” perché ad esempio da un lato il Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di fissare soglie preventive che non superino gli 0,6 V/m e di ridurre questo valore a 0,2; dall’altro la Commissione europea raccomanda la commercializzazione su larga scala del 5G, con cui si prevede un aumento dei limiti fino a 61 V/m.
Se
si aggiunge che non esistono attualmente strumentazioni in grado di
misurare i campi elettromagnetici generati dal 5G, che le agenzie di
protezione ambientale dispongono solo di modelli teorici da validare
nella pratica e che la normativa attuale è del tutto inadeguata
e impreparata a regolamentare gli scenari generati dal 5G, come si
potrà stabilire se i limiti vengono superati, se non c’è neppure la
possibilità di eseguire misurazioni?
Rispetto ai rischi sanitari già evidenziati in precedenti post, segnalo il contributo di Olle Johnsson circa l’aumento in batteri esposti al telefono cellulare e Wi-Fi dell’antibiotico-resistenza, problema ubiquitario che sta generando enorme preoccupazione.
Marc Arazi è il medico francese che ha denunciato lo scandalo Phone Gate
e portato alla luce l’inganno cui sono stati esposti i consumatori con
l’utilizzo di cellulari che 9 volte su 10 superavano i limiti
stabiliti.
Di grandissimo rilievo infine l’intervento della prof.
Annie J. Sasco, medico epidemiologo che ha lavorato per 22 anni alla
Iarc e che ha parlato in particolare dei rischi per i bambini da
esposizione a cellulari, problema del tutto trascurato nel 2011 dalla Iarc
che classificò le radiofrequenze “2B” (cancerogeni possibili). Da
esperta epidemiologa Sasco ha affermato che negli studi epidemiologici
non si devono considerare le parole (troppo spesso tranquillizzanti) con
cui i risultati degli studi vengono riportati, ma i risultati
numerici, affermando ad esempio che se fossero stati disponibili i risultati di Cefalo – studio condotto per valutare il rischio di cancro cerebrale
in bambini e adolescenti in relazione al cellulare e giunto a
conclusioni rassicuranti – la Iarc avrebbe classificato le
radiofrequenze a livello I (cancerogeni) e non 2B. Guardando numeri e
tabelle di Cefalo, emergono infatti rischi trascurati dagli autori, ma dimostrati da altri.
Ma un’altra questione particolarmente inquietante è stata sollevata dalla Sasco su Mobi-kids, studio condotto in 14 paesi, compreso l’Italia
(Università di Torino) che ha preso in esame i tumori cerebrali
nell’età 10-24 anni, in relazione all’uso dei cellulari. Lo studio,
finanziato con fondi pubblici europei, ha analizzati 898 casi insorti
fra 2010 ed 2015 e 1912 controlli sani. Il 13 gennaio 2017 i dati sono
stati inviati alla Commissione Europea, ma a distanza di tre anni non si
ha ancora alcuna pubblicazione dei risultati, neppure parziale. Come è
possibile? Sono forse emersi risultati “scomodi” che si preferisce non
diffondere? Sasco ha ribadito con forza che è necessario avere subito i
risultati di Mobi-kids “perché si parla dei nostri bambini e anche dei
nostri soldi, perché sono stati utilizzati fondi pubblici”!
Questo silenzio è inaccettabile
e ogni paese dovrebbe adoprarsi per conoscere almeno i risultati del
proprio paese. Spero che questo appello venga raccolto perché prima di
esporre l’infanzia ai rischi ulteriori del 5G, è urgente sapere cosa
già succede loro con il sempre più frequente uso che giovani e bambini
fanno dei telefoni mobili.
si parla di progresso, di evoluzione, di civiltà ci ritroviamo invece in un nuovo medio evo dove conta chi si nasconde dietro il potere o vi si allea con esso.
giovedì 14 novembre 2019
martedì 12 novembre 2019
Presidenziali Usa: l’economia non sarà il fattore chiave, i temi caldi per le prossime elezioni
Fonte: W.S.I. 11 Novembre 2019, di Mariangela Tessa
Nonostante la paura di una recessione imminente sia radicata tra gli americani, nelle elezioni presidenziali 2020 l’economia non sarà l’elemento chiave nelle decisioni di voto.
Secondo un sondaggio della CNBC e Acorns Invest in You condotto da SurveyMonkey, quasi due terzi degli americani (61%) affermano che a spingere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra saranno questioni diverse dall’economia.
Tra disoccupazione storicamente bassa, forte spesa al consumo e un mercato azionario record, gli americani si sentono nel complesso finanziariamente più sicuri rispetto a quattro anni fa. E questo spinge il focus politico su altre questioni.
Solo il 34% degli americani afferma che voterà, tenendo in considerazione l’andamento dell’economia: una questione rilevante per meno della metà dei repubblicani (42%). E che scende al 27% nell’elettorato democratico.
Per i più giovani la priorità è l’ambienteAlla domanda quale sia il tema “più importante in questo momento”, il 24% degli intervistati ha risposto citando l’occupazione e l’economia. Tra i “temi caldi”, seguono l’ assistenza sanitaria (21%), l’immigrazione (15 %) e l’ambiente (13%).
Le uniche fasce di età in cui lavoro e l’economia non costituiscono il problema principale sono i più giovani (il 24% di quelli di età compresa tra 18 e 24 anni che citano l’ambiente) e i più anziani (età pari o superiore a 65 anni che citano assistenza sanitaria o immigrazione).
Nonostante la paura di una recessione imminente sia radicata tra gli americani, nelle elezioni presidenziali 2020 l’economia non sarà l’elemento chiave nelle decisioni di voto.
Secondo un sondaggio della CNBC e Acorns Invest in You condotto da SurveyMonkey, quasi due terzi degli americani (61%) affermano che a spingere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra saranno questioni diverse dall’economia.
Tra disoccupazione storicamente bassa, forte spesa al consumo e un mercato azionario record, gli americani si sentono nel complesso finanziariamente più sicuri rispetto a quattro anni fa. E questo spinge il focus politico su altre questioni.
Solo il 34% degli americani afferma che voterà, tenendo in considerazione l’andamento dell’economia: una questione rilevante per meno della metà dei repubblicani (42%). E che scende al 27% nell’elettorato democratico.
Per i più giovani la priorità è l’ambienteAlla domanda quale sia il tema “più importante in questo momento”, il 24% degli intervistati ha risposto citando l’occupazione e l’economia. Tra i “temi caldi”, seguono l’ assistenza sanitaria (21%), l’immigrazione (15 %) e l’ambiente (13%).
Le uniche fasce di età in cui lavoro e l’economia non costituiscono il problema principale sono i più giovani (il 24% di quelli di età compresa tra 18 e 24 anni che citano l’ambiente) e i più anziani (età pari o superiore a 65 anni che citano assistenza sanitaria o immigrazione).
“Abbiamo un’economia in crescita da molto tempo. Fino a quando la situazione non muta, le persone non avranno motivo di pensare o vedere le cose in modo diverso”, ha dichiarato Laura Wronski, ricercatrice senior di SurveyMonkey.Recessione, paura concreta 6 elettori su 10Il vento però potrebbe cambiare. E anche presto. Sono infatti il 65% degli americani a considerare come probabile una recessione il prossimo anno: i più pessimisti sono i democratici : 8 su 10 che vedono questa possibilità come concreta. Seguono a ruota Indipendenti (72%) e Repubblicani (46%).

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