di
Italia Aperta/Spazio Economia | 27 febbraio 2016 dal
Fatto Quotidiano
Quale
può essere la realtà appresa leggendo le affermazioni di fonte
governativa e le informazioni estrapolabili da Banche dati indipendenti?
La curiosità ci ha spinti ad analizzare la
reale situazione economica italiana,
in un periodo di eventi favorevoli dell’economia mondiale, quali il
basso prezzo del petrolio, le politiche di allentamento quantitativo
delle Banche Centrali ed i conseguenti bassi tassi di interesse sul
debito pubblico.
Nel mese di gennaio, secondo quanto rilevato da
Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, la
richiesta di elettricità in Italia ha fatto registrare una flessione
dell’1,0% a parità di calendario rispetto allo stesso mese dell’anno
precedente. Considerando che quest’anno il mese di gennaio ha avuto un
giorno lavorativo in meno (19 vs 20), la domanda complessiva di energia
elettrica pari a 26,3 miliardi di kWh corrisponde a una flessione
dell’1,7% rispetto a gennaio 2015. Queste sono le variazioni di consumo
negli ultimi 3 anni.

A
parte il periodo estivo 2015 molto caldo, sembra che non vi sia ancora
una forte inversione di tendenza in atto. Ovviamente possiamo
ipotizzare che di anno in anno, la rete e i comportamenti degli italiani
diventino
più “parsimoniosi” e efficienti ma di certo non al punto di mettere insieme crescita economica con minori consumi di energia.
Il
settore industriale che dovrebbe essere trainante per la nostra economia, ‘dovrebbe’…

Se sale il
consumo di petrolio a gennaio, come rileva il comunicato stampa dell’unione Petrolifera, meno bene sono andati i prodotti autotrazione, con la
benzina che nel complesso ha mostrato un calo del 6,3% rispetto a gennaio 2015 (livello più basso da 10 anni).

Come d’altronde il gasolio per autotrazione, che registra un – 2,6%

La domanda totale di carburanti (
benzina + gasolio)
nel mese di gennaio risulta pari a circa 2,3 milioni di tonnellate, di
cui 0,6 milioni di tonnellate di benzina e 1,7 di gasolio
autotrazione, con un calo del 3,5% (-82.000 tonnellate) rispetto allo
stesso mese del 2015.
Se poi mettiamo insieme il dato sul consumo
di energia con quello sul consumo di carburanti con il calo del consumo
di carburante diesel, un evento raro in un trend di continua
sostituzione di motori a benzina con quelli diesel, si può temere che
l’Italia sia tornata in recessione.
A dicembre il fatturato
dell’industria, al netto della stagionalità, registra una diminuzione
dell’1,6% rispetto a novembre (-1,7% sul mercato interno e -1,4% su
quello estero). Nella media del 2015 il fatturato segna un aumento
dello 0,2%, sintesi di una flessione sul mercato interno (-0,2%) e di
un incremento su quello estero (+1,2%).
Negli ultimi tre mesi,
l’indice complessivo registra una flessione dello 0,1% rispetto ai tre
mesi precedenti (-0,3% per il fatturato interno e +0,6% per quello
estero). Sulla flessione trimestrale pesa la dinamica negativa delle
vendite di prodotti energetici, al netto dei quali il fatturato
risulta, complessivamente, in crescita (+0,5%).
Corretto per gli
effetti di calendario, il fatturato totale diminuisce in termini
tendenziali del 3,0%, con un calo del 2,7% sul mercato interno e del
3,2% su quello estero. A dicembre gli indici destagionalizzati del
fatturato segnano flessioni congiunturali per l’energia (-4,6%), per i
beni strumentali (-2,2%), per i beni intermedi (-1,2%) e per i beni di
consumo (-0,7%).
L’incremento tendenziale più rilevante si registra nella
fabbricazione di mezzi di trasporto
(+10,5%), mentre la maggiore diminuzione riguarda la fabbricazione di
coke e prodotti petroliferi raffinati (-17,2%). Gli ordinativi totali
segnano una diminuzione congiunturale del 2,8%, sintesi di una flessione
del 4,8% degli ordinativi interni e di un aumento dello 0,2% di quelli
esteri. Nel confronto con il mese di dicembre 2014, l’indice grezzo
degli ordinativi aumenta dell’1,5%.
La tabella successiva mostra cosa è successo in termini comparati negli ultimi 25 anni alla Produzione Industriale Italiana:

Dobbiamo tornare agli anni ’70 per osservare livelli come quelli di oggi.
Parlando ora di politica, la spesa pubblica, elevatissima e causa di una
pressione fiscale abnorme,
non accenna a calare. Lo scorso anno essa è aumentata di 52 miliardi
di euro e le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi. Rispetto al
2014, nel 2015 le uscite correnti del bilancio pubblico sono passate da
483,8 miliardi a 536,4 miliardi, mentre le entrate tributarie suono
salite da 407,5 miliardi a 433,4 miliardi. Questi i dati di una analisi
del Centro studi di Unimpresa sull’
andamento del bilancio pubblico nel 2015 e nel 2014.

Con
numeri come quelli esposti, l’esigenza essenziale dello Stato per
rendere sostenibile il suo bilancio, sarebbe quella di un buon aumento
del pil, aiutato da una riduzione delle spese in conto capitale, stante
una situazione di bassi tassi perdurante per il tempo del Quantitative
easing.
L’Ufficio studi della Cgia ricorda che dall’inizio della crisi (2007) ad oggi, nel nostro Paese il pil
è sceso di oltre 8 punti, i consumi delle famiglie di 6,5 punti e gli investimenti quasi 27,5 punti percentuali.
La disoccupazione, invece, è pressoché raddoppiata. Se nel 2007 ammontava al 6,1%, il dato medio del 2015 dovrebbe attestarsi all’ 11,4%.
Per
recuperare il terreno perso ci vorrà molto tempo. Se nel prossimo
futuro il pil crescesse di almeno 2 punti ogni anno, il nostro Paese
tornerebbe alla situazione pre-crisi solo nel 2020. E così non sarà;
l’Ocse rivede al ribasso le sue stime per il Pil italiano per il 2016,
prevedendo una crescita all’1%, 0,4 punti percentuali in meno rispetto
all’outlook di novembre. Confermata invece la stima di +1,4% per il
2017.
Sia nel 2016 sia negli anni successivi (2017 e 2018) le
entrate totali delle pubbliche amministrazioni dopo la legge di
Stabilità non caleranno e anzi continueranno ad aumentare. Saliranno di
10,6 miliardi nel 2016 rispetto al 2015 (da 788,7 a 799,3 miliardi),
di 20,7 miliardi nel 2017 rispetto al 2016 e di 25 miliardi nel 2018
rispetto al 2017.
Riccardo Pizzorno per @SpazioEconomia
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si dice sempre che è bene far parlare i dati... bene eccoli