Fonte:
Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby - 13 Ottobre 2019 Loretta Napoleoni
Non
è troppo presto per fare un bilancio spassionato delle teorie
economiche che dal Dopoguerra hanno influenzato la politica mondiale.
L’economia fino agli anni Sessanta era poco più di un sistema di
contabilità
e gli economisti erano rilegati nei retrobottega di banche e imprese
finanziarie a riempire di numeri tabelle che nessuno si curava di
consultare. Tutto è cambiato negli anni Settanta con l’avvento dei
Chicago Boys.
Economia
ed economisti sono diventati pop, apparivano in televisione, venivano
consultati da ministri e premier e facevano notizia.
Milton Friedman ristrutturò l’economia cilena per
Pinochet e per questo tipo di operato vinse il premio Nobel; Il Nobel venne anche dato ad un altro “luminare” della scuola di Chicago,
Robert Lucas,
l’uomo che nel 2008, poche settimane prima dello scoppio della
maggiore crisi economica e finanziaria dal 1929, dichiarò che
l’economia mondiale era
sanissima. Altri nomi illustri
che hanno rivestito posizioni importantissime a livello economico
mondiale e che hanno fatto previsioni altrettanto errate sono:
Alan Greenspan, ex governatore della Riserva Federale Americana, e il suo successore
Ben Bernanke. Entrambi, fino al crollo della
Lehman Brother, ripetevano che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Chi era al timone dell’economia e della finanza mondiale non ha capito nulla della crisi anche dopo il suo scoppio.
Mervyn King, governatore della banca d’Inghilterra, era certo che i salari nel
Regno Unito
e nel resto del ricco Occidente sarebbero cresciuti esponenzialmente,
intanto oltreoceano Greenspan annunciava un lungo periodo di
inflazione a doppie cifre. Ancora adesso
Jay Powell,
governatore in carica della Fed, ammette di non capire perché i salari
non salgano. Per aiutarlo dovrebbe guardare questo grafico.

Dagli anni Settanta gli economisti predicano la magia del mercato: in altre parole questo è
infallibile.
I bei risultati del mercato sono visibili nella differenza tra il
reddito reale e i salari, una massa immensa di denaro che le élite, un
tempo definito
capitale, ha intascato. Il liberismo ci
ha regalato l’ineguaglianza cronica. Ed ecco perché i salari non
aumentano, la ricchezza non viene redistribuita ma investita sul mercato
finanziario, dove gli indici non fanno che crescere e generare fiumi
di denaro per chi ha la fortuna di poter
investire in
borsa. E quando le cose vanno male, le banche centrali corrono alle
presse e stampano nuova moneta, altri fiumi di denaro che le banche
incanalano verso piazza Affari.
Per agevolare il corso del denaro verso i settori finanziari c’è anche la
manovra fiscale. Ai livelli dei tassi d’interesse odierni, cioè bassissimi, nazioni come gli
Stati Uniti
dovrebbero rimodernare tutte le infrastrutture, e cioè lanciare un
enorme piano di lavori pubblici pagato con l’erario dello Stato, e
invece non succede.
Donald Trump piuttosto ha tagliato
le tasse per un valore di 1.600 miliardi di dollari ai più ricchi,
dichiarando che l’effetto a cascata avrebbe fatto ricadere tale
ricchezza sulle classi meno abbienti, un fenomeno che i liberisti
continuano ad aspettare con fede messianica come l’avvento del messia.
Sulla
base di questo bilancio forse non sarebbe male tornare agli anni
Sessanta e restituire agli economisti, e tra questi c’è anche chi
scrive, il titolo di semi-contabili e farli giocare nei retrobottega con
le loro teorie ad una sorta di
Risiko economico: lì di certo non potrebbero più danneggiare nessuno.