
NEW
YORK . «Il problema dell’Italia? Avete disinvestito dal capitale
sociale, quel capitale che è fatto di fiducia reciproca, di relazioni
solidali. Per questo siete solo al 50esimo posto nell’indice globale
della felicità». Parla Jeffrey Sachs, l’economista americano che è tra
gli artefici del World Happiness Report. Lo incontro alla New York
Society for Ethical Culture, alla presentazione di questo nuovo
Rapporto sulla Felicità, con i coautori John Helliwell della University
of British Columbia e Lord Richard Layard della London School of
Economics. L’Italia è molto in fondo alla classifica, distanziata dalla
Germania (26esima), dalla Francia (29esima), dalla Spagna (36esima).
Peggio di noi, tra i paesi europei, sta la Grecia (102esima).
Ma
colpisce il fatto che la classifica è dominata proprio da paesi
europei. Non si vive affatto male, nel Vecchio continente. Campioni di
felicità sono scandinavi e nordici: occupano cinque delle prime dieci
posizioni. S’infila nel plotone di testa anche la Svizzera. Tra le
“super-felici”, due nazioni che fino a qualche tempo fa erano
assimilate alla Grecia in quanto a disastri finanziari: Islanda e
Irlanda, seconda e 18esima, tra le più serene d’Europa.
Sachs
riprende un tema caro a Helliwell e Layard: «Le catastrofi non ci
rendono necessariamente infelici. Anzi. Guardiamo Fukushima,
l’incidente alla centrale atomica giapponese seguito dallo tsunami.
Superata l’emergenza, la gente della zona era più felice di prima.
Nella tragedia c’era stata una solidarietà collettiva, i legami sociali
si erano rafforzati, la fiducia nei propri vicini era aumentata.
Qualcosa di simile è accaduto in Islanda e in Irlanda, nelle modalità
con cui hanno reagito alla grande recessione post-2008. Invece non si è
verificato in Italia né in Grecia». Di cosa parliamo, quando parliamo
di felicità? In sostanza la risposta la diamo noi. Un contributo
fondamentale al World Happiness Report lo dà un sondaggio mondiale
Gallup che interroga i popoli sulla propria felicità. Il metodo è
squisitamente democratico e meno arbitrario di altri che attribuiscono
una “saggezza superiore” agli esperti. Chi meglio di noi, sa se siamo
felici? Il World Happiness Report si è conquistato rispetto tra
studiosi e organizzazioni internazionali. «Si fonda su lavori
pionieristici dell’Ocse – ricorda Sachs – e siamo ormai alla terza
edizione. Ci lavorano studiosi di tutte le scienze (compresi gli
italiani Leonardo Becchetti, Luigino Bruni, Stefano Zamagni),
dall’economia alla psicologia, dalla sanità all’ambiente – e le Nazioni
Unite hanno adottato una risoluzione per incoraggiare i governi a farne
uso». Sachs dirige lo Earth Institute della Columbia, è consigliere
Onu per la sostenibilità. E spiega come l’indice della felicità dia una
misurazione precisa del nostro benessere. «I tre quarti delle
differenze tra le 125 nazioni classificate – dice – si giocano su sei
variabili. Reddito pro capite, speranza di vita, sostegno sociale,
fiducia, libertà nel prendere decisioni, generosità. Ma tra queste sono
tre le componenti più importanti: sostegno sociale, reddito, speranza
di vita». Una crisi economica come quella che ha colpito l’eurozona,
incide: «Grecia e Italia hanno subito i cali più pesanti nelle
valutazioni che le persone fanno sulla propria vita; i cali di questi
paesi sono dello stesso ordine di grandezza di quelli subiti
dall’Egitto».
La stessa crisi economia
tuttavia non ha peggiorato la felicità di altri paesi come Islanda e
Irlanda. «La divergenza nelle esperienze nazionali – spiega Sachs – si
spiega con la qualità della governance, della fiducia, e del sostegno
sociale. I paesi che hanno un capitale sociale di alta qualità, cioè
fiducia nel prossimo e nelle istituzioni, reggono meglio i disastri
naturali o gli shock economici. Gli shock diventano l’occasione per
riscoprire e migliorare i legami comunitari». Al contrario, in altri
paesi una prolungata crisi economica peggiora la sfiducia. Sachs elenca
i fattori che entrano in gioco quando tutto va storto, e lo shock
genera infelicità: «L’aumento delle diseguaglianze è micidiale. A sua
volta peggiora la fiducia negli altri. I paesi più infelici sono quelli
dove si deteriora la credibilità dei governanti, e dei dirigenti
aziendali. Dove gli abusi sono aumentati a cominciare dall’alto, dalle
classi dirigenti. Dove le élite hanno dei comportamenti anti-sociali,
contrari all’interesse generale».
Da La Repubblica del 27/04/2015.
p.s.
e
mentre i risultati di questo "particolare" indice sono oltremodo chiari
su quali siano i danni della moneta unica quando manca tutto il resto:
non è un caso che ai vertici ci sono tutti paesi che SONO fuori
dall'euro e nemmeno è un caso che questo indice mette in risalto quanto
siano errate sia le premesse che i risultati finali della cosiddetta
politica dell'austerità (una cosa che è stata ampiamente dimostrata da
fior di economisti e ... uno studentello del MIT che aveva avuto un
incarico dal proprio prof di studiarle e il risultato che ne venne fuori
fu desolante: serie storiche errate; peso dell'economie di varie paesi
che avevano diverse strade di sviluppo messe insieme; gli algoritmi che
"presupponevano" un peso scarso dell'imposizione di tasse sull'economia
cosa che invece si è dimostrata errata (i risultati si vedono); il
tentativo di "unificare" sotto una unica economia di scala l'intero
pianeta assegnando ad ognuno un proprio posto a priori (come se fossero
adattabili alle teorie di base interi popoli mentre invece dovrebbe
essere praticamente il contrario)... a ciò tendono i vari trattati
(TTIP ecc.) dove si maschera da mercato quello che altri non è che la
nascita di un impero basato sulla finanza "libera e liberata" da regole,
vincoli e ..... patrie; ecc. ecc. insomma il tentativo, che spero non
si avveri, di fermare la storia: un sistema decadente e senza futuro che
cerca di procrastinare la propria fine ingannando la storia e i popoli.
Esisteva un saggio, nologo della naomi klein, ed esisteva un romanzo, su esso basato, chiamato logoland (cercatelo si trova ancora in vendita)
che ne racconta gli sviluppi. Pensate a un pianeta dove gli esseri
umani assumono come cognome quello dell'azienda dove lavorano e dove lo
Stato ha un unica funzione: difendere lo status quo e impedire che
qualsiasi disturbo ne turbi la struttura...... e anche quando indaga sul
potere che lo sorregge non ha praticamente peso, nè politico nè,
tantomeno, fiscale ed economico.
..... e
ora pensate a Varoufakis che, oltre a gigioneggiare con i suoi omologhi
nella trattativa dove si è già da tempo calato le braghe lui e il suo
governo senza nè ottenere quanto si era prefissato nè mantenere le
promesse, ora trova il tempo di ... pubblicare un libro dal titolo "è l'economia che cambia il mondo" dove, cosa ovvia, dice che questo è un mondo ingiusto: ci voleva lui per dircelo.. vero?
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