11/02/2017 di triskel182

ROMA
– Sono tonnellate di benessere, da mettere sulla bilancia per
quantificare chi sta consumando più risorse, come le sta accumulando e a
spese di chi: tonnellate vere, di cemento e acciaio, con cui
costruiamo le nostre città e quello che ci sta dentro.
A condurre la prima operazione di pesa ecologica degli abitanti della Terra, nero su bianco sull’ultimo numero della rivista
Pnas, è stato un gruppo di ricercatori austriaci, australiani e giapponesi.
Il
loro risultato mostra come il peso complessivo delle risorse prelevate
dalla Terra tra il 1900 e il 2010 abbia raggiunto l’ammontare
paperonesco di 2956 Petagrammi, vale a dire quasi 3 milioni di miliardi
di chilogrammi. Di questa montagna di materie prime raccolte o
estratte dal Pianeta (si va delle fibre vegetali all’acciaio) quelle in
uso nel 2010 (sotto forma di abiti, strade, palazzi) erano solo il
27%: 792 Petagrammi (792 milioni di milioni di chilogrammi). Tutto il
resto è andato distrutto, buttato al macero, abbattuto.
La
ricerca mostra anche che, distinguendo Paese per Paese, la bilancia
pende prepotentemente verso le nazioni ricche. Il trend è più o meno
stabile con l’eccezione della Cina, che negli ultimi decenni ha
cominciato a mettere su peso, cioè a costruire a gran ritmo,
accumulando materiali che sono diventati città, strade, edifici, e
nuovo benessere.
Tra i ricercatori di
affiliazione giapponese c’è anche Alessio Miatto. Che, si intuisce dal
cognome, in realtà è veneto e a Nagoya ci è andato dopo aver vinto una
borsa di studio del governo con cui sta seguendo il dottorato in
ingegneria ambientale. Laureato all’Università di Padova, il
ricercatore 31enne in Giappone ha trovato il luogo ideale per un campo
di studi del tutto nuovo. «La disciplina alla base di queste ricerche
si chiama Material flow analysis – spiega – ed è nata negli anni
Novanta per studiare i flussi di merci da e verso un Paese ». Oggi, con
i flussi di merci si può fare di più: una valutazione ecologica.
«L’idea cioè è di non guardare solo che cosa entra e che cosa esce, ma
di studiare quello che resta, e che tecnicamente si chiama stock ».
Lo
stock è come la Roba della novella di Giovanni Verga: è quello che si
ha. E il suo peso è indice di ricchezza: «Alla fine ti interessa sapere
quanto si accumula, nei magazzini ma anche sotto forma di edifici,
strade, macchine», prosegue Miatto. Ma perché misurarlo in peso?
«Perché se ne calcoli il valore economico può essere difficile fare
paragoni: il valore del denaro cambia nel tempo, e in paesi diversi il
costo della vita è diverso ».
La voracità
occidentale era cosa nota, ma dallo studio emergono due novità. «La
prima» spiega il giovane ricercatore italiano «è che se tutti volessero
il nostro benessere dovremmo decuplicare l’estrazione di materiali, e
questo non è sostenibile in termini di emissione di CO2». La seconda è
che uno stock non è per sempre: «Gran parte degli stock di oggi in una
trentina di anni sarà demolito, soprattutto in Usa e in Asia». E
demolizione significa ancora CO2, e il materiale che perde di valore.
«Un buon equilibrio sarebbe assestarsi tutti al livello nostro degli
anni ‘70, trovando il modo di allungare la vita media degli edifici»,
chiosa Miatto.
Insomma andrebbe coinvolta
la politica. «In effetti, il mio professore, Hiroki Tanikawa, va quasi
ogni settimana a Tokyo al ministero a discuterne». E forse non
sorprende che succeda proprio lì, e per ora soltanto lì. «Il Giappone è
piccolo, densamente popolato e dipende moltissimo dalle importazioni.
Articolo intero su La Repubblica del 10/02/2017.
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