29/06/2017 di triskel182

ROMA
– Dice Papa Francesco che «è una società stolta e miope quella che
costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga un’intera
generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e
per tutti». È l’anomalia del mercato del lavoro italiano con i giovani
disoccupati e gli anziani occupati. Un conflitto generazionale che si
trascina ormai da decenni in una cornice fatta di blocco della
natalità, allungamento della speranza di vita, frantumazione del
mercato del lavoro, innalzamento dell’età pensionabile, rivoluzione
tecnologica e politiche di austerity. Ma soprattutto bassissimi tassi
di crescita dell’economia, prima, durante e anche dopo la doppia
recessione che ci ha colpiti in questo nuovo secolo.
È
la questione del lavoro italiana, quella che ha (ri)sollevato il
Pontefice. Con un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) che si
aggira permanentemente intorno al 40 per cento, in Europa facciamo
meglio solo di Grecia e Spagna, con i paesi del nord (Germania in
testa) che registrano tassi di disoccupazione giovanile quasi
fisiologici. «Ma non sottovalutiamo il fatto — ricorda Emilio Reyneri,
professore emerito di sociologia del lavoro alla Bicocca di Milano —
che i giovani italiani entrano più tardi nel mercato del lavoro anche
perché più tardi escono dalla scuola».
La
crisi, da cui non siamo ancora completamente fuori, non ha fatto altro
che accentuare queste tendenze. La perdita occupazione dei giovani nel
periodo compreso tra il 2007 (anno dell’inizio della crisi) e il 2014
la percentuale di occupati con età tra i 15 e i 29 anni è scesa tra gli
uomini del 12 per cento e tra le donne del 6. Ben diverso lo scenario
per i lavoratori maturi. Lo ha descritto sulla voce. info il demografo
Gianpiero Dalla Zuanna: «Il tasso di occupazione nella classe 55-74
anni cresce (nello stesso periodo di tempo, ndr) per entrambi i sessi
di dieci punti percentuali, superando nel 2016 il 38 per cento fra gli
uomini e il 22 per cento tra le donne». Se non ci fosse stata la legge
Fornero che per salvare l’Italia dalla bancarotta ha impennato nel 2011
l’età pensionabile, la crescita dell’occupazione matura sarebbe stata
più lenta. Solo, dunque, una questione di velocità del fenomeno.
Ma
perché le affermazioni del Papa non riescono a tradursi in una ricetta
per ribaltare la situazione, per riportare i giovani al lavoro e gli
anziani al riposo? «Perché l’Italia non cresce», risponde netto Nicola
Rossi, professore di economia politica a Tor Vergata, autore, vent’anni
fa, di un pamphlet di successo e provocatorio dal titolo
inequivocabile: “Meno ai padri più ai figli”. «La nostro anomalia nasce
dal fatto che non cresciamo da oltre venti anni. Questo è il punto. E
per questo è dannoso il messaggio del Papa che spinge i giovani a
pensare che per ottenere qualcosa è necessario toglierla a qualcun
altro. Così abbiamo messo definitivamente una pietra sul mito
dell’infallibilità papale».
Insomma non
c’è la staffetta, non c’è il ricambio nello stesso posto di lavoro.
Perché non c’è uno stock fisso di numero di posti di lavoro. In media
su quattro lavoratori che escono per anzianità dal mercato ne entra uno
solo. «E poi — aggiunge Vincenzo Galasso che insegna economia alla
Bocconi e che con Tito Boeri ha scritto “Contro i giovani” — i posti di
lavoro non sono più uguali. Un sessantenne e un giovane hanno
conoscenze assai diverse, vale nelle imprese ma anche nei
servizi compresi quelli professionali». Ma pure Galasso pensa come
Rossi che la vera svolta possa arrivare solo dall’aumento del Pil. «In
una battuta: servirebbe un miracolo del Papa per far crescere
l’economia dopo che ha benedetto l’Ape, cioè lo strumento che
permetterà a chi lo vorrà un’uscita anticipata dal lavoro».
Articolo intero su La Repubblica del 29/06/2017.
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