01/09/2017 di triskel182

ROMA.
«La
vendemmia anticipata la facciamo con amici e parenti: i nuovi voucher
sono troppo complicati, non riusciamo a utilizzarli. Chi può, arriva
addirittura a preferire i contratti a tempo determinato». Gli
agricoltori della marca trevigiana sono in buona compagnia nel
denunciare la burocratizzazione di uno strumento pensato in origine per
lavori occasionali e veloci. Ma non è solo un problema procedurale.
Pochi mesi fa, una legge fatta in quattro e quattr’otto per evitare il
referendum anti-voucher della Cgil, ha trasformato i vecchi
buoni-lavoro in contratti di prestazione occasionale, vincolati a un
complicato intreccio di limiti e divieti, che impedisce alla maggior
parte delle imprese di accedervi.
L’80 PER CENTO IN MENO
I
primi 45 giorni di vita del nuovo strumento ci consegnano in realtà un
bilancio assai magro. Sono appena 6.742 i lavoratori che hanno svolto
finora prestazioni occasionali: quasi tutti (6.056) al servizio di
microimprese, e solo 686 per lavori familiari. Sulla piattaforma Inps
si sono registrati 16.250 utilizzatori e 10.767 lavoratori, per un
totale di oltre 27 mila utenti. «Non potevamo attenderci un livello più
alto di ricorso al lavoro occasionale », commenta il giuslavorista
Pietro Ichino, senatore del Pd. «La legge ora esclude da questa
opportunità tutte le imprese con più di 5 dipendenti stabili: in questo
modo si è tagliato fuori il novanta per cento della platea di datori
di lavoro che nel regime precedente potevano utilizzare i voucher».
Ecco uno dei nuovi paletti, sicuramente il più ingombrante. Tanto da
ridimensionare drasticamente le previsioni di accesso ai nuovi voucher
elaborate dall’Inps. Secondo l’Istituto di previdenza, non si supererà
il 20% di quanto realizzato nel 2016, anno che registrò un picco di 1,6
milioni di lavoratori e 134 milioni di voucher. L’80% in meno
significa che ci dobbiamo aspettare a regime poco più di 300 mila
prestatori di lavori occasionali. La spiegazione che viene data sta
tutta nella nuova costruzione di vincoli e divieti. I quali sono stati
inseriti per tutelare meglio i lavoratori, per evitare l’abuso di lavori
normali spacciati per occasionali (anche se si era già provveduto a
rendere obbligatoria la tracciabilità). E soprattutto per scongiurare il
referendum incombente.
VINCOLI E DIVIETI
Vediamoli
allora questi nuovi vincoli. Non c’è solo il limite che circoscrive la
platea delle imprese a quelle con non più di 5 dipendenti a tempo
indeterminato. Ci sono vincoli anche al tipo di attività: le imprese
agricole sono ammesse solo se impiegano pensionati, studenti under 25,
disoccupati e cassintegrati. Sono escluse imprese edili, cave, miniere e
opere e servizi svolti in appalto. Le pubbliche amministrazioni
possono accedervi con progetti speciali per categorie svantaggiate,
attività di solidarietà, manifestazioni sociali, sportive, culturali e
caritative. Le famiglie, invece, possono chiedere piccoli lavori
domestici, assistenza domiciliare a bambini e anziani malati o
disabili, e lezioni private. Tetto alle ore lavorate: 280 l’anno. Tetto
agli importi: ogni lavoratore non può incassare più di 5 mila euro
l’anno da tutti i suoi datori di lavoro (contro i precedenti 7 mila), e
non più di 2.500 euro dallo stesso utilizzatore. Se si supera
questo limite, il rapporto si trasforma in contratto a tempo
indeterminato. Il compenso giornaliero non può essere inferiore a 36
euro. Quello orario deve essere di almeno 9 euro netti e 12,37 lordi per
le imprese, e di almeno 8 euro netti e 10 lordi per le famiglie. Il
vecchio regime prevedeva cifre inferiori: 7,5 e 10 euro.
Facile
prevedere, di fronte a questo ginepraio di vincoli, un forte
ridimensionamento del fenomeno voucher. «I primi dati dell’Inps mi
sembrano molto bassi», commenta il presidente della commissione Lavoro
della Camera, Cesare Damiano. «Segno evidente che questa norma è stata
pensata non per trovare uno strumento utile a lavoratori, imprese e
famiglie, ma solo per evitare il referendum, per scoraggiare l’uso del
lavoro occasionale. Che è diventato anche molto complicato da
utilizzare».
Oltre ai paletti
legislativi, infatti, ci si è messa pure la procedura di accesso alla
piattaforma on line dell’Inps a complicare le cose, anche se ad agosto
la situazione è migliorata. Lavoratori e utilizzatori devono
registrarsi nel sito dell’istituto. Tre i modi: con il Pin, ma servono
giorni per ottenerlo, con lo Spid tramite le Poste o con la Carta
nazionale dei servizi. Dopo la registrazione, scatta il versamento dei
datori di lavoro sul proprio “portafoglio elettronico”: all’inizio si
poteva usare solo il modulo F24, da agosto è ammessa la carta di
credito. A questo punto bisogna comunicare la prestazione: i dati
dell’utilizzatore e del lavoratore, il tipo di impiego, il luogo, la
durata e il compenso pattuito. Una volta terminata la prestazione, il
lavoratore deve accedere nuovamente al sito e confermare l’avvenuto
lavoro. Ed entro il 15 del mese successivo viene pagato dall’Inps.
IL RISCHIO SOMMERSO
Insomma,
un percorso molto più accidentato di quello richiesto con i vecchi
voucher, reperibili dal tabaccaio e facilmente utilizzabili; un
percorso che richiede il più delle volte la guida di un consulente.
Articolo intero su La Repubblica del 01/09/2017.
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