12/10/2017 di triskel182
Nella “terra nera” delle miniere Usa “Addio rinnovabili”.
RITORNO AL PASSATO.
BELLAIRE
(OHIO) – «Cinquant’anni fa questa era la terra del King Coal, il re
carbone. Oggi non siamo più dominanti ma siamo pur sempre della
famiglia reale». Così riassume la rinascita del capitalismo a carbone
Ed Spiker, manager di Westmoreland Resources. Mi rivela in anticipo un
sorpasso clamoroso: «L’anno prossimo, secondo i dati ufficiali del
governo, il carbone tornerà ad essere la prima fonte di alimentazione
delle centrali elettriche americane, il 38% della corrente la
produrremo noi, contro il 36% del gas naturale ».
È
un’inversione di tendenza che sarebbe stata impossibile sotto
l’Amministrazione Obama, che in omaggio agli accordi di Parigi fece di
tutto per penalizzare le energie fossili. Ma Donald Trump sconfessa la
lotta al cambiamento climatico e accelera la deregulationenergetica.
Proprio in queste ore, applicando gli ordini del presidente,
l’Environmental Protection Agency smantella i limiti alle emissioni
carboniche delle centrali elettriche. In mezzo a questo revival del
carbone incontro Spiker sul suo luogo di lavoro: in riva al fiume Ohio
che dà il nome allo Stato. È una di quelle autostrade fluviali che sono
le arterie strategiche del trasporto merci, l’Ohio confluisce nel
Mississippi.
Siamo circondati da un viavai
ininterrotto di camion. Arrivano dalle miniere a cielo aperto delle
colline cicostanti, rovesciano carbone sulle montagne nere di questo
vasto deposito. Da un silos il carbone viene trasportato su carrelli
mobili che finiscono nella pancia delle chiatte fluviali attraccate sul
molo qui a fianco. Ogni 35 minuti viene riempita una chiatta da 1.700
tonnellate, che parte lungo il fiume per raggiungere le centrali
elettriche della regione: Ohio, Pennsylvania, Kentucky, West Virginia.
«È per questo che noi del Midwest paghiamo bollette della luce più
basse di voi newyorchesi, la nostra elettricità va a carbone», mi dice
Spiker.
Un’altra varietà di questa “terra
nera” – il coaking coal – finisce nelle tante acciaierie di questa
zona. Per arrivare fino al porto di Bellaire, in un’ora e mezza di
strada da Pittsburgh, ho attraversato quello che fu il cuore del primo
capitalismo americano. Qui hanno costruito le loro fortune le famiglie
Carnegie, Mellon, Frick, i protagonisti della rivoluzione industriale
che fecero affluire immigrati dall’Italia, dalla Polonia, per lavorare
nelle miniere e negli altiforni. Oggi questa Rust Belt, “cintura della
ruggine”, è afflitta dalla deindustrializzazione, impoverita e
spopolata dopo decenni di concorrenza cinese. Ma chi non si rassegna al
declino ha trovato il suo profeta: Trump ha promesso una seconda vita
al Re carbone. È una delle ragioni per cui oggi si trova lui alla Casa
Bianca.
«Un anno fa – ricorda Spiker –
Hillary da queste parti venne a dire che le miniere andavano chiuse,
che il futuro è delle energie rinnovabili. Molti dei miei collaboratori
e dipendenti, che avevano votato sempre democratico, a quel punto
hanno scelto Trump». Voti decisivi, in questi “swing State” del Midwest
che sono passati dalla casella democratica a quella repubblicana.
Proprio qui si è giocata su minuscole frazioni percentuali l’elezione
dell’8 novembre scorso. E Trump oggi restituisce il favore. «Le leggi
di Obama – dice Spiker – ci stavano facendo parecchio male, la svolta
di Trump è ottima per noi». A 61 anni, con alle spalle una formazione
in Scienze politiche, questo manager che ama le canzoni di Celentano e
ha una famiglia multietnica (nuore e generi cinesi e ispanici) non è un
“trumpiano” a oltranza. La sua difesa del capitalismo a carbone è
moderata. «Voi ambientalisti – dice – ci considerate persone malvagie,
ma l’industria del carbone oggi deve rispettare standard di sicurezza
molto severi, e le ex-miniere esaurite le riconvertiamo all’agricoltura.
Certo questo presidente a volte ci fa inorridire e anch’io sogno per i
miei nipoti un pianeta senza inquinamento, senza energie fossili. Solo
che non è realistico immaginare di arrivarci subito. Carbone e gas
naturale allo stato attuale delle conoscenze tecnologiche sono le
uniche fonti disponibili alle tre di notte, quando il sole non c’è. O in
un lungo inverno gelido senza vento, quando le pale eoliche si
fermano. Del resto continuiamo a esportare carbone in paesi
ambientalisti come la Germania e l’Olanda. Ne esportiamo in Cina e in
India, che pure hanno firmato gli accordi di Parigi ».
Articolo intero su La Repubblica del 12/10/2017.
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