Se l'importante è salvare il governo, e se necessario anche l'amato
capo cui è legato la vita del suindicato, a tutti i costi (al punto che,
a differenza della Spagna dove uno scandalo di proporzioni "italiane"
sta facendo tremare i pilastri del governo mettendolo in crisi,
"sgombrare il terreno da sovrapposizioni improprie tra vicende
giudiziarie e prospettive di vita del governo" - lo sostiene il nostro
Capo dello Stato - e un partito, il PD-L, invoca di "separare i processi
dalla politica" ... insomma tutto pur di salvare il sistema
incancrenito) è chiaro che qualunque mezzo venga usato è buono per
mettere puntelli per fermare il crollo, ormai imminente: perchè di
crollo si tratta, non ci sono terze vie...... il problema è che se lo
dice Casaleggio non viene preso nemmeno in considerazione; così come se
lo dice (ne parlai qualche post fa...) l'economista Loretta Napoleoni
passa come l'acqua, anzi cala il silenzio. Ma se dovesse dirlo, magari
per farci ingoiare (come sarà dopo l'estate l'aumento, per fare un
esempio, dell'irpef locale e regionale per una spesa annua di circa 520
euro oppure la nuova tassa che assorbe imu, tares, patrimoniale sugli
immobili, spazzatura ecc. che ha come primo obiettivo quello di non fare
aver minori entrate rispetto le attuali che si pagheranno tutti dai
proprietari agli affittuari, oppure ancora la manovra correttiva da fare
che, già si sa, prevede tagli ad assistenza sociale, sanità, servizi
pubblici, e .... pensioni, scuola ecc. come sempre) l'ennesima ondata di
"interventi correttivi" che deprimeranno ancora di più l'economia, che
vorrebbero rilanciare (a parole), e la (mitica) crescita che nessuno sa
(o vuole sapere) come innescare, perchè? Perchè, in realtà, dobbiamo fa
rientrare le banche, la finanza, e le agenzie di rating dei soldi
investiti, quindi del debito, dice, contratto con i mercati perchè tutto
è fatto a questi fini: hai voglia a dimostrare, anche da parte di
economisti dello stesso FMI (che ne ha ammesso l'errore), che la
"ricetta è sbagliata" è come parlare a un muro, anzi forse il muro,
secondo la teoria quantistica, ha una qualche propbabilità di
risponderti... i nostri politici, no.
Siamo nella stessa
situazione del "pre-caduta del Muro di Berlino" ossia del mondo immerso
nella guerra fredda: una classe politica che, per definizione, non ha
alternative non può che degenerare in malcostume e clientelismo.... ma
sentiamo come lo spiega Ilvo Diamanti sul La Repubblica di oggi (io l'ho
trovato sul blog di triskel 182):
"TANTO rumore per nulla. I
diplomatici kazaki vanno e vengono dai nostri ministeri. E, complici i
nostri servizi e le nostre forze dell’ordine, prelevano la moglie e la
figlia di un dissidente. Le deportano nel loro Paese. E se ne vanno.
Senza
che nulla accada, sul piano politico interno. In fondo nessuno sapeva.
E tutto, comunque, è avvenuto all’insaputa del governo. In fondo era
già capitato anni fa che i servizi americani, a Milano, prelevassero
l’imam Abu Omar, sospettato di terrorismo. Per trasferirlo in Egitto e
interrogarlo con metodi convincenti. Poi, i responsabili sono stati
condannati. Ma erano già lontani. E quando un agente della Cia,
condannato in Italia per quei fatti, è stato fermato a Panama, nei
giorni scorsi, è stato immediatamente fatto rientrare negli Usa. Prima
ancora che l’Italia perfezionasse la richiesta di estradizione. Ora,
come allora, nessun responsabile – istituzionale e politico – ha pagato.
Si è dimesso. D’altronde, l’operato del governo, nel “caso kazako”,
non si presta a critiche. Non l’ha detto solamente il capo del governo,
com’è ovvio. Ma anche il presidente della Repubblica. Tutto normale,
insomma. A conferma di quella “normalità deviata” che, come ha
osservato Stefano Rodotà nei giorni scorsi, su “Repubblica”, regola il
nostro sistema politico. D’altra parte, ormai, quasi più nessuno
reagisce, salvo una ristretta élite di indignati, tanto definita da non
sollevare più sorpresa. Mentre nella società – più o meno civile – non
si colgono segnali di rivoluzione. Grillo e Casaleggio, d’altronde,
hanno preconizzato rivolte popo-lari, nei prossimi mesi. Ma non per una
reazione morale. Semmai, per l’impatto della crisi economica. Si
tratta di ragioni analoghe a quelle addotte da Enrico Letta per
spiegare le sue (non) scelte, compreso il sostegno ad Alfano. L’assenza
di alternative a questo governo e a questa maggioranza. La necessità
di rispondere agli accordi internazionali, agli imperativi dei mercati.
Insomma, all’emergenza esterna. Così, la “normalità deviata” che ha
contaminato le nostre istituzioni e la nostra classe politica tende a
degenerare. Diventa “normalità” etica e civile. Stato d’animo generale e
generalizzato. Opinione Pubblica, sancita dai sondaggi che ancora
vengono condotti, nel torrido clima
estivo. (D’altronde, quest’anno
la crisi ha ridotto notevolmente la quota di popolazione che va in
ferie.) Secondo Ipsos, infatti, la maggioranza degli elettori (oltre il
50%) esprime ancora fiducia nei confronti del governo. Mentre più del
60% approva l’operato di Enrico Letta.
Certo, gran parte dei
cittadini – secondo il sondaggio – avrebbe voluto le dimissioni di
Alfano e, ancor più, di Calderoli. Autore “irresponsabile” di insulti
razzisti contro la ministra Kyenge. Ma non la crisi di governo. Perché,
nonostante tutto: meglio la stabilità. Considerata un “valore in sé”.
Che va oltre i comportamenti “deviati” dei leader politici e
istituzionali. D’altronde, vent’anni di berlusconismo hanno
mitridatizzato l’etica pubblica dei cittadini. Ormai poco sensibili – e
quasi indifferenti – a scandali e processi. Compresi quelli ancora
pendenti e imminenti.
È questo il rischio maggiore che vedo,
nell’Italia dei nostri tempi. L’assuefazione all’anormalità politica e
istituzionale. Che ha come principale – e quasi unica – soluzione la
sfiducia politica e istituzionale. Quel clima d’opinione che si traduce
nel “non voto”. Oppure viene intercettato, in alcuni momenti, da
attori politici, oppure anti-politici, come il M5S. Usati, a loro
volta, dagli elettori come veicoli della sfiducia, piuttosto che come
garanti delle regole. L’assuefazione all’anormalità politica e
istituzionale, d’altronde, alimenta il disincanto se non l’indifferenza
verso la democrazia. In particolare, rafforza l’abitudine a fare a
meno dei vincoli e delle garanzie che contrassegnano le democrazie
rappresentative. A partire dai princìpi. Per primo, il rapporto diretto
tra volontà degli elettori, espressa attraverso il voto, e
composizione del governo. Tuttavia, da due anni, il Paese è governato
da esecutivi sostenuti da maggioranze “non politiche”. Cioè, da larghe
intese imposte – e, comunque, giustificate – dall’emergenza. Dove
convergono e coabitano gli antagonisti di sempre. Dove si perdono le
distinzioni antiche e recenti. Non solo fra pro e anti-berlusconiani,
ma fra destra e sinistra. D’altronde, se da due anni il Pd sta in una
maggioranza insieme al centrodestra
di Berlusconi, è difficile
discutere di destra e sinistra. Non solo nei termini sintetizzati da
Norberto Bobbio in un notissimo saggio del 1994. Anno della discesa in
campo di Berlusconi. Ma anche in quelli proposti dalla discussione fra
Eugenio Scalfari e Michele Serra, su
Repubblica,
nei giorni
scorsi. Il problema è che l’assenza di competizione e di alternativa
politica narcotizza il sentimento democratico. Ci abitua a governi
“tautologici”: in nome della governabilità. Governi di tutti e dunque
di nessuno. Indifferenti ai verdetti elettorali. Alle alternative – a
cui gli italiani sono poco avvezzi. Visto che nella prima Repubblica,
quindi per oltre 45 anni, non c’è stata alternanza. Stesse forze al
governo – Dc e alleati – e all’opposizione – Pci e sinistra.
Così,
poco a poco, ci si assuefà. A una democrazia-per-così-dire. Non si
tratta neppure più della post-democrazia, ridotta al rito elettorale,
cui fa riferimento Colin Crouch. Perché, nella post-Italia, descritta da
Berselli giusto 10 anni fa, anche il rito elettorale è divenuto
indifferente e irrilevante. La polemica politica e fra politici esiste
solo nei talk televisivi. La partecipazione dei cittadini diventa poco
influente e rilevante. Emerge ed è visibile solo attraverso alcune
esplosioni di protesta “localizzate”, su problemi territorialmente
definiti (come quella dei No Tav, in Val di Susa). È una democrazia
“eccezionale”, dove l’eccezione è la regola. Dove, per l’Opinione
Pubblica, l’anormalità diventa normale. Dove i casi di questi giorni, di
queste settimane, di questi anni non suscitano scandalo e tanto meno
indignazione. Abbassano appena gli indici del consenso al governo e al
premier. Senza comprometterli. Si traducono, al massimo, in un’onda
anomala del voto o del “non voto”. Mentre gli “anticorpi della
democrazia”, come li ha definiti Giovanni Sartori, finiscono liquefatti
nel “senso comune”. Assai più diffuso e influente, in Italia, del
“senso civico”.
Per questo conviene preoccuparsi. Io, almeno, mi preoccupo. Sulla nostra democrazia rappresentativa: tira una brutta aria."
p.s.
personalmente
non avrei saputo spiegarlo meglio, e nemmeno ci provo, ma non possiamo
permetterlo: lo dico agli elettori dei due partiti maggiori, e non
solo..... non è più tempo di egoismi di parte nè tantomeno di fermarsi a
credere ai vari Renzi o simil tali.. questo è tempo di incubazione di
una protesta che prima o poi dovrà esplodere.. e prima o poi lo Stato
dovrà rispondere: se lo fa con il manganello, come temo, non potrgà che
attutirla ma non fermarla... serve altro e prima lo si capisce meglio
sarà perchè in Cina hanno lasciato campo libero alle banche visto che la
loro economia cresce meno del 7% (qui ci metteremmo la firma per molto
meno); in Giappone stanno conoscendo un boom senza precedenti grazie
alla abenomics (che non mi piace ma se funziona ben venga); e qui?
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