martedì 4 marzo 2014

Speciale/ Italia, ufficiale la censura su Internet

da punto informatico, serissimo giornale del mondo web, vi propongo questo articolo, pubblicato oggi, a firma di Paolo De Andreis che accende un riflettore sul "democratico" mondo dell'informazione italico.. sempre più vicino alla cina (ira, korea del nord, ecc. fate voi) che ai paesi civili.
Buona lettura
Roma - In Cina, chiunque voglia pubblicare un sito web deve essere registrato presso l'ufficio governativo competente. In Italia, da oggi, chiunque voglia pubblicare informazioni su un sito deve ottemperare a certe disposizioni e se lo fa periodicamente deve ottenere persino una serie di registrazioni ufficiali. E, proprio come in Cina, chi pubblica senza registrarsi incorre nel reato di stampa clandestina, che in Italia è punito con una sanzione variabile tra il mezzo milione di multa e i due anni di carcere (oggi depenalizzato).
Questo accade da oggi grazie alla nuova legge sull'editoria, varata il 21 febbraio da quello stesso Parlamento che era sul punto di approvare il DDL sui domini, in un testo ispirato al decreto Passigli e bocciato da tutti gli operatori del settore.
Anche in questo caso le critiche, gli avvertimenti e gli altolà non sono serviti a granché: il Parlamento in extremis prima dello scioglimento delle Camere ha dato il via libera ad una legge che non ha riscontro in Europa e che oggi entra formalmente in vigore (vedi anche quanto pubblicato da Interlex).La nuova legge (62/2001) ridefinisce il concetto di sito Internet che fa informazione, quindi praticamente ogni sito Internet, che viene ora considerato "prodotto editoriale" e, come tale, rientrante nelle disposizioni storicamente censorie della legge sulla stampa. Ogni "sito informativo" italiano rientra da oggi nella classificazione di "prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico".
La nuova legge riguarda dunque non solo i siti che pubblicano informazioni con cadenza periodica, che sono sottoposti ad un regime più oppressivo, ma anche tutti i siti che pubblicano informazioni e che, se non sono periodici, "se la possono cavare" inserendo sulle proprie pagine il nome e il domicilio dell'editore e l'indirizzo della locazione fisica del server.
I veri dolori sono riservati a quei siti che pubblicano contenuti periodicamente.
"Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico - avverte infatti la legge sulla stampa - senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000. La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell'editore né quello dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al vero".
A scanso di equivoci, la registrazione di cui parla la legge consiste nell'assunzione/individuazione di un direttore responsabile che abbia i requisiti per essere iscritto all'Ordine dei Giornalisti o agli elenchi speciali per le testate specializzate e che "controfirmi" la registrazione del sito presso il tribunale della città ove risiede "l'editore".
Al di là delle pulsioni censorie da cui la legge nasce, analizzate nelle pagine successive di questo Speciale, la nuova normativa sferra un colpo al cuore di tutti i siti italiani, anche di quelli nati dalla passione di chi li alimenta con un lavoro spesso mal o non remunerato, a quelli che nascono dalla fornitura gratuita di contenuti da parte dei lettori-contributori e a tutti quelli che, per una ragione o l'altra, non possano designare un direttore responsabile.
Non solo, i siti che fanno dell'informazione periodica un "contorno" alle attività principali, come molti portali, sono costretti a trasformarsi de facto in "testate registrate", anche se le informazioni pubblicate sono in realtà prodotte, come spesso accade, da terze parti.Per tutti coloro che non hanno già provveduto alla registrazione del "periodico", da oggi scatta il reato di stampa clandestina. Starà alla magistratura rendere efficace la legge provvedendo al sequestro dei siti e alla comminazione delle sanzioni.
L'italiano che pensasse, vista la mala parata, di spostare i suoi contenuti su un sito all'estero non avrebbe sorte migliore. Il "prodotto editoriale", infatti, sarebbe comunque considerato "italiano" se i contenuti vengono spediti sul server di pubblicazione dall'Italia o se vengono "trasmessi" in Italia. La legge dunque tende a penalizzare i siti italiani che devono vedersela con concorrenti internazionali, siti che in Europa o negli Stati Uniti prosperano senza queste limitazioni alla libertà di stampa.
Non contento, il Parlamento ha anche imposto con questa legge una nuova responsabilità ai provider, fornitori di hosting per i server che ospitano i siti italiani.
Questi, infatti, sono da considerarsi inclusi nella disposizione secondo cui "chiunque in qualsiasi modo divulga stampe o stampati pubblicati senza l'osservanza delle prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa periodica e non periodica, è punito con la sanzione amministrativa da lire duecentomila a un milione e duecentomila".
Ma perché il Parlamento ha approvato tutto questo? In teoria, e il resto della nuova legge lo conferma, per estendere alle imprese editoriali online (e non si parla tanto di piccoli siti e associazioni quanto invece delle grandi aziende che oggi online incontrano notevoli difficoltà economiche) i contributi già previsti per le pubblicazioni stampate.Con nuove forme e nuovi fondi, infatti, la legge prevede che una serie di giornali online possano essere oggetto di contribuzioni pubbliche che consentano loro di tenere in piedi attività che da sé in piedi non starebbero, proprio come avviene da decenni nel mondo della carta stampata. Il tutto sulle spalle del contribuente.
Da segnalare, per completezza, che questa legge non è stata approvata in Aula dal Senato ma direttamente dalla Commissione Affari Costituzionali in sede deliberante. In quella occasione, il 21 febbraio scorso, è stato registrato l'accordo sostanziale di tutti i gruppi parlamentari. Con lo stesso appoggio praticamente unanime, d'altro canto, doveva passare anche il DDL sui domini, bloccato solo dallo scioglimento delle Camere.
In Italia esiste una stampa clandestina, che viene così definita non perché istigatrice alla violenza, all'omicidio o al ribaltamento delle istituzioni repubblicane. No, la stampa clandestina oggi in Italia è quella che non paga annualmente le gabelle di Stato all'Ordine dei giornalisti, quella che non si iscrive all'Albo o non risulta dalle liste dell'Autorità delle telecomunicazioni. Quella, insomma, che vive di quanto sancito dall'art.21 della Costituzione della Repubblica che recita con la massima chiarezza: "La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure".
Principi che sono stati disattesi in questi decenni per compiacere la corporazione giornalistica, e consentirle di rimanere tale, e per agevolare la commistione tra i grandi interessi economici e la stampa. L'imposizione di un esame per ottenere la qualifica di "giornalisti professionisti" è strumento che da solo può garantire che i diritti speciali corporativi non cadano in mani "sbagliate" e che nelle fila dell'Ordine entrino solo persone che corrispondono a determinati parametri.
Le progressive pugnalate alla libertà di stampa inflitte dalle leggi italiane sembrano uscite dall'orwelliana "Fattoria degli Animali". Una fattoria dove i maiali al potere riescono ad imporre agli altri animali il tradimento dei principi su cui è sorta la loro comunità. Quando cioè al principio "siamo tutti uguali" si aggiunge impunemente "ma alcuni sono più uguali degli altri". Allo stesso modo i giornalisti che scelgono di aderire all'Ordine sono - spesso loro malgrado - come i maiali orwelliani, protetti da leggi speciali che li differenziano dalle oche e dagli altri esseri minori che popolano la fattoria. Leggi che li rendono inevitabilmente complici del soffocamento della libertà di stampa e di espressione nei confronti del "cittadino semplice".
La nuova legge sull'editoria sposta ulteriormente l'equilibrio fasullo su cui si è finora retta la corporazione, portando il baricentro sulla Censura. Non esiste un altro termine per descrivere una norma che impone a chiunque si esprima liberamente sul Web di farsi riconoscere, più di quanto già non faccia la presenza di un dominio Internet, con la sua registrazione, o di un sito gratuito, con l'hosting da parte di un provider.
Come non definire censura una legge che impone ai provider di essere cani da guardia sulle attività dei siti ospitati, perché rischiano di essere ritenuti corresponsabili di pubblicazioni clandestine? Una misura che da sola basta a porre l'Italia al di fuori del contesto internazionale, dove i provider, sostanzialmente, non rispondono dei contenuti che girano sul proprio network e di cui non hanno cognizione.
E così come è censura imporre ad un sito di esporre certe informazioni, facilmente recuperabili altrove e con pochi clic, o con qualche telefonata, è censura ancor più grave imporre ad un sito di registrarsi come periodico telematico. Una registrazione che contempla, sarà un caso?, una gabella da versare all'Ordine dei giornalisti da parte dell'editore o del direttore responsabile, o perché giornalista professionista, o perché pubblicista o perché iscritto in un "elenco speciale".
E per non farci dimenticare da che parte sta, e per chiarire a tutti cosa c'è in ballo, è arrivata ieri pomeriggio anche una ennesima delirante dichiarazione del segretario della Federazione nazionale della Stampa, il sindacato dei giornalisti della corporazione. Paolo Serventi Longhi, riferendosi alla nuova legge sull'editoria, ha esultato: "Finisce così, almeno in Italia, l'assurda anarchia che consente a chiunque di fare informazione on line senza regole e senza controlli e garantisce al cittadino-utente di avere minimi standard di qualità di tutti i prodotti informativi, per la prima volta anche quelli comunque diffusi su supporto informatico".
Non una parola, naturalmente, sul fatto che proprio questo sistema di censura, questa mostruosità giuridica oggi vomitata sulla Rete, abbia fin qui prodotto un giornalismo sciatto, ignorante e arrogante ben oltre il limite della volgarità.
Che tutto questo rappresenti una censura è dunque evidente. Che lo sia non solo per principio ma anche all'atto pratico ci vuole poco a dimostrarlo.
Provatevi, se non l'avete ancora fatto, a pubblicare un vostro notiziario su carta e da oggi anche online senza registrazioni ufficiali. Se la magistratura farà il suo dovere, sarete inquisiti e condannati, il vostro giornale sarà sequestrato, proprio come accade oggi in Cina e Malaysia.
Succede, è successo. E ora potrà succedere anche online grazie ad un Parlamento italiano che in Europa si è dimostrato in questi anni il più colpevolmente ignorante di cose della Rete.
E tutto accadrà, ancora una volta, alla faccia della Costituzione repubblicana e del principio ivi sancito: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".
Viva l'Italia!

p.s.
... che ne dite? Siamo davvero in pericolo, qui; e che dire dell'AGcom che surettiziamente si è infilata nel vuoto di potere per decidere in via amministrativa della vita e della morte del web? Per fare un esempio: ha fatto levare, pensa sanzioni salatissime, l'annuncio della candidatura di un prof universitario sardo dal sito della sua università, peggio di così. Può anche essere che questo blog, chiuda... per la gioia dei grandi e dei piccini.

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