La legge di stabilità non è solo la “polveriera” economica di cui ha
parlato Tito Boeri. Ha fatto affiorare vizi culturali profondi, che
toccano il ruolo sociale dei beni, i limiti della discrezionalità
politica, e il modo stesso d’intendere la vita delle persone. Provo a
sintetizzare alcune indicazioni su questi tre punti.
1) In molti
paesi è da tempo in corso una discussione sul grande e ineludibile tema
dei beni comuni, che in Italia viene troppo spesso falsato da una
diffusa e spesso compiaciuta ignoranza, e talora distorto da qualche
intemperanza ideologica. Nell’ultimo periodo non sono mancate ironie
sui “benecomunisti”, e qualche aggressione pochissimo informata su
alcune esperienze in corso. Si ignora che questo tema ha dietro di sé
una lunga serie di studi e che, nel 2009, il Premio Nobel per
l’economia venne assegnato a Elinor Ostrom proprio per i suoi
contributi alla teoria dei beni comuni (i più importanti sono
disponibili in italiano). In Italia è stato pubblicato un fiume di
libri. Segnalo soltanto la ricca raccolta di saggi nata da un seminario
della Fondazione Basso (Tempo di beni comuni, Studi multisciplinari…
Ediesse, Roma, 2013); il nitido itinerario di Guido Viale (Virtù che
cambiano il mondo. Partecipazione e conflitto per i beni comuni,
Feltrinelli, Milano, 2013); e il lavoro di uno storico, Andrea Di
Porto, che tra l’altro ricorda il lontano punto di partenza della
sentenza della Corte di Cassazione del 1887, che diede ragione al
Comune di Roma contro il principe Borghese che voleva chiudere i
cancelli della Villa, riconoscendo ai cittadini il diritto di
passeggiare liberamente in quel luogo (Res in usu publico e “beni
comuni”, Giappichelli, Torino, 2013).
Un bagno culturale eccessivo?
Ma i parlamentari non hanno bisogno di andare così lontano. Basta che
aprano la porta accanto. Troveranno i testi mandati a tutti loro
all’inizio della legislatura, già strutturati in forma di disegno di
legge, sulla disciplina dell’acqua e sulla riforma del sistema dei beni
pubblici, che riproduce i risultati di una Commissione ministeriale e
che qualcuno ha già trasformato in proposta di legge. Perché, allora,
ripetere le trite e pericolose banalità della vendita dei beni pubblici
per far cassa, fino alla grottesca vicenda delle spiagge?
In
realtà, la questione dei beni comuni non fa storia a sé. Impone un
ripensamento dell’intero ordinamento dei beni pubblici (ai quali ha
dedicato un importante volume l’Accademia dei Lincei nel 2010). Non
tutti possono essere attratti nell’area del “comune”, ma non per questo
la gran massa dei beni pubblici diventa disponibile per qualsiasi
disinvolta operazione. Dovrebbe essere chiaro che questi beni hanno
funzioni diverse, e si presentano come beni “ad appartenenza pubblica
necessaria” (opere per la difesa, le reti viarie e ferroviarie, i
porti), “sociali” (che devono soddisfare bisogni essenziali delle
persone), “fruttiferi” (da gestire con adeguate modalità economiche).
Per quanto riguarda le spiagge, per esempio, le operazioni da fare
dovrebbero essere due. Eliminare la loro sostanziale privatizzazione,
che per lunghissimi tratti esclude l’accesso ai cittadini, in forme
sconosciute ad altri paesi. E rendere economiche le concessioni ai
privati, che oggi danno allo Stato un reddito inadeguato (discorso che
può essere esteso ad altri casi, come quello delle frequenze).
Tornando ai beni comuni, la loro definizione rinvia al fatto che essi
sono indispensabili per la soddisfazione di bisogni fondamentali delle
persone. Si istituisce così un nuovo rapporto tra mondo delle persone e
mondo dei beni. E infatti molti documenti nazionali e
internazionali parlano, in primo luogo, di accesso all’acqua, al cibo,
alla conoscenza in rete, ai farmaci essenziali, alla tutela
del territorio come di diritti fondamentali, la cui realizzazione esige
appunto regole particolari per quei beni. Tra queste emergono quelle
sulla partecipazione dei cittadini alla gestione, prevista dall’articolo
43 della Costituzione, che parla di “servizi pubblici essenziali” da
affidare a “comunità di lavoratori o di utenti”. Qui nascono tre
problemi. Rispetto dei risultati di referendum come quello sull’acqua, a
proposito del quale si ha una timida e parziale apertura del ministro
per l’Ambiente. Non per tutti i beni comuni può essere individuata una
comunità che li gestisce: come si può inventare questa comunità tra i
tre miliardi di persone che accedono alla conoscenza in Rete? Questo
bene, allora, deve essere qualificato in via generale come comune. E le
istituzioni devono confrontarsi con le esperienze che formulano
progetti, realizzano innovazioni dell’ordine esistente, distinguendo
certo, ma senza trincerarsi dietro rifiuti pregiudiziali.
2) Punto
sul vivo, il Presidente Letta ha reagito ai rilievi dell’Unione europea
sulla legge di stabilità, cominciando a riecheggiare critiche sempre
più diffuse sugli effetti negativi delle politiche di austerità. La
reazione d’un momento, tutto sommato strumentale, o l’avvio di un’altra
strategia? Si avvicinano le elezioni europee, e non ci si può limitare
a esprimere preoccupazione per i populismi antieuropeisti, che rischia
di trasformarsi in un inutile lamento. La strategia europea deve
cominciare a prendere coraggiosamente atto che la politica dell’Unione è
stata chiusa nella dimensione economico-finanziaria, amputando del
tutto quella dei diritti, affidata alla sua Carta dei diritti
fondamentali, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Questo
“valore aggiunto” è stato in questi anni negato ai cittadini europei e
ha determinato la progressiva delegittimazione delle istituzioni. Da qui
bisogna ripartire, se il Governo vuole davvero dare un qualche senso
al suo parlare di Europa. Altrimenti si allontanerà ancora di più da
una società nella quale sta maturando un serio movimento che vuole
parlare di politica “costituzionale” per l’Europa, così come sta
facendo per l’Italia. La voce dei cittadini senza demagogia antieuropea
deve esser ascoltata perché, si condivida in tutto o in parte la tesi
di Luciano Gallino, è indubbio che sia avvenuto qualcosa che assomiglia
a un colpo di Stato (Il colpo di stato di banche e governi, Einaudi,
Torino, 2013). E i cittadini stanno studiando i modi per rimettere in
discussione quel mutamento dell’articolo 81 che si è voluto sottrarre
ad un loro possibile voto. E per sfuggire alla subalternità
all’economia, bisogna riconoscere che la discrezionalità politica deve
obbedire ai criteri che, per la ripartizione delle risorse scarse, sono
indicati proprio dalla trama dei diritti fondamentali.
3) La
verità è che si è messo in discussione quello che definisco “il diritto
all’esistenza”. Divenuti residuali i diritti sociali, rafforzate le
diseguaglianze, si è minata la stessa condizione dell’efficienza
economica (continua a ricordarcelo Jean-Paul Fitoussi, Il teorema del
lampione, Einaudi, Torino, 2013). Per questo non può essere allontanata,
con una mossa infastidita, la questione del reddito minimo (esiste una
proposta d’iniziativa popolare anteriore a quella del Movimento
5Stelle). È tema difficile, per il rapporto con le politiche del lavoro e
per il reperimento delle risorse necessarie, ma ineludibile. E mi pare
utile che, dopo una intemperanza iniziale, Stefano Fassina abbia
parlato di un confronto politico su questo tema.
4) Ho citato molti
libri. Ma, se dobbiamo uscire dalla profonda regressione culturale che
ha reso misera la politica, possiamo farlo senza buone letture?
p.s.
Solo
da un pensatore come Rodotà poteva arrivare un contributo del genere.
Personalmente l'avrei come un grande Presidente della Repubblica:
migliore, e sicuramente diverso, dell'attuale inquilino e anche di
Romano Prodi. Ma viviamo in tempi di governo del denaro e con il denaro
ormai diventato ll fine e non lo strumento come dovrebbe essere.....
dove nella legge di stabilità hanno reintrodotto di nuovo la legge
mancia, circa 5 mln per il clientelismo dei partiti, e qualche norma qui
e là che salva l'intero sistema, dal centro alla periferia, per evitare
che ci possano essere politucoli che non possano mangiare a spese
nostre.... ricordatelo quando andrete a votare: a qualunque livello di
elezione o ce ne liberiamo o non ci .. liberiamo del regime del denaro
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