giovedì 15 ottobre 2020

Coronavirus, la salvezza del corpo è la nuova religione e i medici i suoi pastori

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Società - 14 Ottobre 2020 Diego Fusaro

L’Occidente non crede più in nulla già da tempo. Almeno da quando “l’ospite più inquietante”, il nichilismo, si è insinuato nei suoi spazi, occupandoli integalmente e senza zone franche. Niente più valori e ideali, niente più dèi e idee eterne: tutto è precipitato nell’abisso, svalorizzandosi. Nichilismo, ci ha insegnato Nietzsche, è il processo di trasvalutazione di tutti i valori, al termine del quale non resta più, letteralmente, nulla. O, più precisamente, resta il nulla come unico valore superstite.

Per ciò stesso, rimangono ora inevase le domande più importanti, quelle sui fondamenti, alle quali l’Occidente aveva variamente provato a rispondere: perché? A che scopo? Verso dove? In balia del tecnonichilismo e dell’ombra del nulla che si estende senza lasciare alcunché fuori dal proprio campo, resta un unico punto fermo per l’uomo occidentale, un unico, estremo valore, condiviso con gli altri animali e, propriamente, neppure inquadrabile in quanto tale in quella sfera, sempre a suo modo ideale, dei valori: tale valore è la vita o, se si preferisce, la mera sopravvivenza del proprio corpo individuale. Il conatus sese servandi, come anche lo appella Spinoza.

Per l’Occidente, che già da tempo non crede più nell’anima e nel suo destino, resta solo la nuda materialità del corpo come punto di riferimento, come valore immanente a cui aggrapparsi, trasfigurandolo in valore sommo nonché esclusivo. Per secoli, come sappiamo, la Chiesa si era occupata della salvezza delle anime, premurandosi di operare affinché esse, anziché perdersi, si salvassero nell’eterna beatitudine e ascendessero al regno dei cieli. Perché ciò potesse realizzarsi con successo, era richiesta la tecnica che Foucault, in più luoghi, chiama “pastorale”: il pastore come salvatore di anime doveva controllare sempre e ovunque il suo gregge, ogni suo singolo membro.

Doveva, mediante la pratica della confessione, sapere cosa pensassero e come agissero, cosa desiderassero e che peccati commettessero le sue “pecore”. Ora, l’Occidente già da tempo ha abbandonato la sua figura storica della Chiesa: ove essa ancora esista, svolge un ruolo marginale, non più da protagonista, assai spesso – diceva senza troppe perifrasi Andrea Emo – da “cortigiana”. Ultimamente l’Occidente scristianizzato e abitato dal nichilismo si è consegnato a un’inedita figura: quella della Chiesa medico-scientifica.

Essa non promette di salvare le anime, in cui più nessuno crede, ma i corpi, che sono la sola cosa in cui tutti ormai credono: promette, cioè, di garantire la sopravvivenza fisica nel tempo della “valle di lacrime” della pandemia e del nuovo ordine terapeutico. Ne scaturisce una paradossale soteriologia materialistica, che altro scopo non ha se non quello di garantire la salvezza dei corpi in questo mondo, la loro sopravvivenza. La salvezza trascendente che la Chiesa prometteva per le anime viene promessa dalla scienza medica per i corpi, in forma rigorosamente immanentizzata.

Anche per la buona riuscita di questa operazione, v’è comunque bisogno di un pastore, per quanto diverso da quello a cui si affidava la Chiesa: un pastore – il medico, l’esperto, lo scienziato – che ai vecchi simboli, formule e riti ne sostituisce di nuovi. Egli soltanto, con il suo rapporto asimmetrico rispetto al “gregge” e alla sua eventuale immunità, come per curiosa analogia la si appella, detiene un sapere privilegiato, in grado di produrre la salvezza dei corpi e di garantire che, se al sapere da lui diffuso ci si attiene, si può vincere sul male sempre in agguato. È anche questa, come quella della Chiesa contro il demonio, una lotta contro un nemico invisibile e malefico, che l’uomo comune, a differenza del sacerdote, non sa riconoscere e da cui, anzi, facilmente si lascia ingannare.

Come il demonio assume spesso le sembianze dell’uomo onesto, facendosi indistinguibile e confondendo, così il nuovo nemico invisibile, e non di meno puramente e rigorosamente materiale, si occulta in chi – l’“asintomatico” – appare come tutti gli altri del gregge. Anche quella della scienza medica è una battaglia sacra contro un principio maligno, che può intaccare la cosa più preziosa, il corpo, negandogli la salvezza e corrompendolo. La massa profana, il nuovo gregge da salvare, non ne sa nulla: e deve solo, con fede e osservanza, affidarsi alle cure del pastore, confidandogli tutto, lasciandosi controllare nei gesti e nelle movenze, nelle operazioni e anche nei pensieri.

Ne va, appunto, della sopravvivenza del corpo, cioè dell’unica cosa in cui ancora si creda. La sola cosa in nome della quale si sia pronti a sacrificare tutto: comprese, ovviamente, quelle realtà – la libertà, in primis – in cui, prima dell’avvento del nichilismo tecnoscientifico, si era pronti a sacrificare la vita. Proprio in ciò si misura il mutamento radicale: il corpo come mera vita, come semplice sopravvivenza, ossia ciò che un tempo si era pronti a sacrificare per realtà valoriali giudicate più alte, per ideali ritenuti più nobili, è oggi innalzato esso stesso a sola realtà a cui ogni ideale possa essere sacrificato.

La stessa Chiesa, che sempre più sembra solo sopravvivere a se stessa, si è convertita alla nuova religione materialistica della scienza medica: a tal punto da abbandonare ogni anelito di trascendenza, ogni slancio di ulteriorità sovrasensibile: così si spiega il transito da Francesco da Assisi, che abbraccia i lebbrosi, e da Carlo Borromeo, che comunica gli appestati, all’odierno pontefice, che annulla i suoi viaggi pastorali per via del Coronavirus e accetta, con colpevole silenzio, la proibizione delle funzioni religiose per ragioni sanitarie.

È la resa senza resistenza della vecchia Chiesa, quella della salvezza delle anime, alla nuova, quella della salvezza dei corpi.

martedì 13 ottobre 2020

Nel lockdown la natura si è ripresa i suoi spazi. Ma non ci sono solo buone notizie

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Ambiente & Veleni - 13 Ottobre 2020 Fabio Balocco

Tutti coloro che amano la natura non possono non avere apprezzato quello che sembrava almeno uno degli aspetti positivi del lockdown: il fatto che si vedessero in giro più animali, o che il verde si prendesse spazi che prima gli erano preclusi. Era la natura che avanzava a causa del ritirarsi dell’uomo (fenomeno definito dagli esperti significativamente “antropausa”, proprio ad indicare la subitanea assenza/riduzione che si è verificata a livello globale della pressione antropica). In Piemonte, dove abito, circolavano fotografie sorprendenti, come quella famigliola di anatre con i piccoli in pieno centro, oppure quel lupo su un terrazzo a piano terra in montagna, o quegli stambecchi che passeggiavano sull’asfalto.

Del resto, gli studiosi hanno effettivamente verificato che il lockdown ha comportato degli effetti favorevoli per diverse specie faunistiche; alcune specie hanno potuto fruire maggiormente degli ambienti urbani, altre delle ore diurne avendo così maggiori possibilità di acquisire cibo. Inoltre diverse specie hanno registrato un maggiore successo riproduttivo; nel caso dei rondoni, ad esempio, il numero di uova deposte è stato maggiore; nel caso del fratino, lo spazio per nidificare indisturbato aumentando così le probabilità di sopravvivenza della prole, è stato maggiore. A livello internazionale, dalle notizie raccolte, si è evidenziato anche come ci siano state maggiori nidificazioni da parte di diverse specie di tartaruga marina.

Un’altra ricerca, questa volta americana, ha accertato come a San Francisco, in ambiente urbano, siano cambiate le modalità di vocalizzazione di alcune specie di uccelli. In particolar modo rispetto agli anni precedenti negli ambienti urbani gli uccelli hanno prodotto canti di maggiore qualità a frequenze più basse che quindi hanno potuto “viaggiare” a distanze quasi doppie rispetto al normale, aumentando probabilmente la possibilità dei maschi di trovare una partner.

La realtà però non è stata tutta così favolosa neanche per la natura. Tornando all’Italia, in molte regioni ad esempio si è continuato legittimamente a sparare e a tagliare boschi, così come si sono registrati fenomeni di bracconaggio, a causa del venir meno dei controlli.

Ma, a parte ciò, il lockdown per molti è stato anche un momento di ripensamento in merito al concetto stesso di natura, o meglio sulla bellezza associata alla natura. E qui mi spiego meglio. La natura che ci circonda, e ce ne accorgiamo anche noi in ambito urbano, non è tutta “naturale”, ma è spesso frutto di interventi umani, e altrettanto spesso di interventi errati. Qualche esempio? Le nutrie sulle sponde dei fiumi, lo scoiattolo grigio che soppianta lo scoiattolo rosso; oppure gli alberi di Ailanto, di Paulownia o gli arbusti di Buddleja che invadono città, campagne e rilievi. Specie animali o vegetali immesse dall’uomo o volontariamente o casualmente che arrecano danni spesso irreparabili.

A questo proposito, interessante è uno studio che è stato pubblicato di recente, frutto del lavoro di un team di ricercatori dell’Università Statale di Milano, coordinato dal professor Raoul Manenti.

Il team ha svolto una preziosa indagine anche sulla fauna alloctona che prospera nel nostro paese e sugli interventi che mirano a contenerla. Ovviamente, durante il lockdown tali interventi sono stati sospesi e la fauna ha continuato a prosperare e ad avere la meglio sulle specie native. E sforzi di contenimento fatti in passato potrebbero essere stati del tutto vanificati. Lo stesso team sta ora raccogliendo informazioni provenienti da altri paesi, e si potrà perciò avere un quadro più completo a livello globale. La natura, a causa nostra, talvolta è matrigna.

domenica 11 ottobre 2020

Vaccino Covid, le trattative.....

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Prima l’attività di lobbying da parte delle aziende del farmaco per continuare a trattare separatamente con i singoli Stati, in negoziati segreti che non consentono a un Paese di conoscere il prezzo a cui gli altri compreranno futuri trattamenti e vaccini. E poi, quando la Commissione ha comunque nominato un team di negoziatori europei per il futuro vaccino, l’inserimento nel gruppo dell’ex capo della Federazione svedese delle industrie farmaceutiche, ancora socio di due aziende attive nel settore. Infine, la decisione di sollevare uno dei gruppi che forniranno il vaccino da parte della responsabilità per danni eventualmente causati da effetti avversi. E’ il racconto di come e cosa l’industria farmaceutica ha ottenuto dalle istituzioni europee nel corso dell’emergenza Covid 19, secondo documenti ottenuti dal Corporate Europe Observatory e rivelazioni di Reuters.

I verbali degli incontri tra commissari Ue e industria in aprile – “Vorremmo continuare a fornire questi nuovi trattamenti attraverso i canali abituali e non con un approvvigionamento congiunto”. Il 9 aprile, in una situazione di estrema emergenza per la carenza di farmaci e attrezzature sanitarie, con queste parole un rappresentante dell’Efpia, la lobby europea dell’industria farmaceutica, si rivolgeva al telefono alla commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides e al commissario al mercato interno Thierry Breton, chiedendo loro di non utilizzare procedure di acquisto congiunto, più trasparenti dei negoziati con i singoli Stati. Lo svelano verbali degli incontri tra i commissari e l’industria durante il picco dell’emergenza Covid 19, ottenuti dal Corporate Europe Observatory (Ceo) che in questi giorni ha pubblicato il dossier “Potere e profitto durante una pandemia – perché l’industria farmaceutica ha bisogno di maggiore controllo”.

“L’associazione rappresentativa di Big Pharma ha usato il suo potere per fare lobby contro un meccanismo (quello della negoziazione congiunta) disegnato per migliorare l’accesso e il prezzo equo dei trattamenti durante la pandemia”, sottolinea il rapporto. I “canali abituali” a cui il rappresentante dell’Efpia si riferisce – spiegano dall’osservatorio Ceo – “sono quelli dei negoziati segreti tenuti dall’industria con singoli Stati in cui nessun Paese conosce il prezzo a cui il prodotto è venduto altrove”, e quindi ha meno capacità negoziale.

In agosto nasce il team Ue. Dentro c’è l’ex capo della lobby farmaceutica svedese – Il dossier fa il punto su quanto l’industria ha ottenuto dalle istituzioni europee grazie all’emergenza Covid 19. Se è vero che – in agosto – un “Joint negotiation team”, ovvero un gruppo di negoziatori europei, è stato poi creato per la discussione dei contratti per i futuri vaccini, la Commissione tiene segreti i nomi dei suoi membri. Ad agosto il giornale belga Hln ha scoperto che uno di questi negoziatori è Richard Bergström, fino al 2016 il capo dell’Efpia svedese e tuttora titolare di interessi personali nell’industria farmaceutica. in quanto co-proprietario società (PharmaCCX e Hölzle, Buri & Partner Consulting) che forniscono servizi a Big Pharma. Sul sito della Commissione si garantisce che tutti i membri del Joint negotiation team sono stati nominati dai loro governi e che “hanno firmato una dichiarazione di assenza di conflitti di interesse”. Non si fa però alcun riferimento ad una valutazione indipendente sull’assenza di conflitti di interesse. Eppure, queste persone stanno negoziando condizioni che determineranno la spesa di milioni di euro per tutti i contribuenti europei.

Il contratto con AstraZeneca e la manleva sui danni da effetti avversi – Finora la Commissione ha firmato due contratti: uno con l’azienda Astra Zeneca, titolare del vaccino sviluppato a Oxford, da cui si è assicurata una fornitura di 300 milioni dosi (con un’opzione di ulteriori 100 milioni) da distribuire alla popolazione. Il prezzo pagato è – secondo quanto ha rivelato Reuters366 milioni di euro. Non si tratta di un anticipo per l’acquisto di dosi del futuro vaccino, bensì del costo della prenotazione. Se il vaccino funzionerà dovrà essere poi acquistato dagli Stati e se non funzionerà, la Commissione ha comunque pagato questa cifra ad Astra Zeneca per finanziare il suo sviluppo.

Come ha svelato sempre Reuters nei giorni scorsi, un accordo segreto tra la Commissione e l’azienda anglo-svedese ha stabilito che i governi europei pagheranno, entro certi limiti (non pubblici), al posto di Astra Zeneca per i danni eventualmente causati da effetti avversi del vaccino. Una condizione che costituisce un’eccezione alla legge europea: secondo la direttiva del 1985 sulla responsabilità dei prodotti (“liability directive”) solo l’azienda è responsabile di danni provocati da ciò che produce. Secondo un portavoce della Commissione, la condizione è stata ottenuta in cambio di uno sconto sul prezzo del vaccino di Astra Zeneca, fissato a 2,5 euro a dose. Mentre l’altro contratto firmato dalla Commissione per un vaccino anti-Covid 19, quello con Sanofi-GlaxoSmithKline, non prevede che gli Stati paghino per gli affetti avversi ma il prezzo per dose è più alto: 10 euro. Il gruppo di negoziatori della Commissione continua a trattare per conto di tutti i governi dell’Unione e oltre alla firma dei contratti con Astra Zeneca e Sanofi ha già concluso colloqui esplorativi con le società Johnson & Johnson, CureVac e Moderna.

Al palo l’iniziativa per condividere brevetti anti Covid – Intanto, mentre la “Coronavirus global response initiative” promossa dalla Commissione ha portato gli Stati e le organizzazioni aderenti a promettere 15,9 miliardi di euro per lo sviluppo di vaccini, trattamenti e sistemi di diagnostici contro il Covid-19, pochi governi sostengono il “Covid19 Technology Access pool”, iniziativa lanciata nell’ambito dell’Oms per condividere la proprietà intellettuale sulle tecnologie contro il coronavirus finanziate con fondi pubblici e garantirne l’accesso a tutti. Nonostante l’accesso globale ai trattamenti anti-Covid sia sulla bocca di tutti i leader, tra i governi dell’Unione Europea hanno finora aderito solo Belgio, Olanda e Lussemburgo.

Twitter: @ludojona

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