sabato 4 maggio 2019

Usa-Cina: tutte le paure di Donald Trump

Fonte: W.S.I. 24 Aprile 2019, di Alessandro Piu

Con l’ascesa di una Cina sempre più potente, influente e tecnologicamente avanzata, gli Stati Uniti si trovano di fronte al primo vero rivale dai tempi della Guerra fredda
Come reagirà Donald Trump all’invito dell’ambasciatore cinese negli Usa, Cui Tiankai, ad abbracciare la Belt and Road Initiative «il progetto di sviluppo più ambizioso della storia»? Vista da Washington il programma varato dal presidente Xi Jinping sei anni fa è solo un modo per portare i Paesi che vi aderiscono, soprattutto quelli emergenti, sotto l’influenza della Cina.
È solo una delle faglie che separano le due potenze economiche, impegnate in trattative per raggiungere un accordo commerciale e invertire la tendenza che ha visto l’amministrazione Trump porre in essere dazi per 250 miliardi di dollari sulle importazioni di beni cinesi e la Cina rispondere con 110 miliardi di tariffe su prodotti statunitensi.
Guerra tecnologica, guerra commerciale o qualcosa di peggio?È la domanda che si pone Gary Greenberg responsabile mercati emergenti di Hermes IM.
«L’emergere della Cina sulla scena mondiale rappresenta una vera minaccia al dominio statunitense», prosegue.
Delle tre opzioni la terza, un conflitto armato, è la più spaventosa. Per quanto improbabile allo stato attuale, Graham Allison professore ad Harvard e consigliere dei segretari alla Difesa Usa nelle amministrazioni Reagan, Clinton e Obama non ne nasconde il rischio:
«La tensione tra Stati Uniti e Cina è un esempio di trappola di Tucidide: il rischio di un conflitto armato quando una potenza nascente rivaleggia con una dominante. Questo fenomeno ha portato a spargimenti di sangue in 12 dei 16 casi in cui si è verificato negli ultimi 500 anni».
Una prospettiva da brividi. A cui non è necessario arrivare.
Battaglia per la supremazia tecnologica
«Vi sono modalità differenti per ottenere il predominio senza seguire la strada della forza militare»
riprende Greenberg che riporta la discussione sulla seconda opzione, la guerra tecnologica. E continua:
«I cinesi si stanno muovendo nella direzione di creare una società civile e militare “intelligente”, dove città, fabbriche, automobili e persino le persone possono rimanere in contatto e migliorare continuamente le funzionalità attraverso il ricorso all’intelligenza artificiale, che richiede una rete 5G estremamente pervasiva».
Proprio l’importanza di questa tecnologia può spiegare le tensioni generatesi intorno alla società cinese di telefonia Huawei, tra i leader nel settore. Risale allo scorso dicembre l’arresto di Meng Wanzhou, direttore finanziario e nipote del fondatore dell’azienda. Più recenti le accuse della Cia, riportate in un articolo del Times, secondo cui Huawei riceverebbe finanziamenti dall’Esercito popolare cinese, dalla Commissione cinese per la sicurezza nazionale e da un terzo ramo della rete di intelligence statale di Pechino.
«Negli ultimi anni Huawei ha superato tanto Ericsson quanto Nokia – aggiunge Greenberg -. Inoltre le controparti nordamericane sono inesistenti. I giganti delle telecomunicazioni del passato come Lucent e Nortel sono ormai staccatissimi. La prospettiva di un America che dipende da una rete 5G progettata in Cina aumenta i punti interrogativi per coloro che si occupano della difesa degli Stati Uniti».
Intelligenza artificiale: la Cina ha quasi colmato il ritardoIn questo campo gli Stati Uniti sono ancora davanti ma il vantaggio si sta assottigliando in maniera preoccupante. Gregory Allen, del Center for a New American Security, sostiene che
«le prospettive della Cina nel mercato dei chip sui semiconduttori per l’Intelligenza Artificiale siano solide. La Cina spera di utilizzate il proprio successo nei chip per costruire un vantaggio duraturo nell’intera industria dell’IA».
È generalmente riconosciuto che le imprese cinesi siano ancora in ritardo rispetto ai concorrenti statunitensi e taiwanesi nella tecnologia dei semiconduttori. Ma Allen dice che per quanto riguarda sia L’IA sia i semiconduttori:
«le aziende cinesi stanno colmando il divario e che entro cinque anni il Paese si assicurerà un vantaggio competitivo difendibile in molti mercati di applicazione dell’IA».

giovedì 2 maggio 2019

Primo maggio, festeggiarlo in Italia è una contraddizione. E c’è una sola via d’uscita

Fonte: Il Fatto Quotidiano Lavoro & Precari | 1 Maggio 2019 

Tempi duri per la festa del 1° maggio in Italia. Tempi duri per i lavoratori, durissimi per il lavoro. Nonostante la Costituzione (art.1), nonostante le organizzazioni sindacali italiane siano tra le più ricche e diffuse dell’Europa civile, il 1° maggio si è trasformato in poco più di un concerto rock di basso livello, e non senza polemiche. Mancano i lavoratori (tanto terziario, secondario in crisi) e soprattutto manca il lavoro. Non mancano invece gli incidenti sul lavoro. La Costituzione non è stata abrogata, ma l’Italia è sempre meno un Paese fordista: salari bassissimi, dove non solo “non si fa più l’amore” (Celentano), ma dove sempre più il lavoro è lasciato alle leggi della jungla, in particolar modo per i giovani. Dove soprattutto non è il labor (la fatica, l’impegno) a costituire la fonte di reddito degli italiani, ma altre attività ben note e meno pubblicizzabili, di cui tacciamo per carità di patria. Altro che festa dei lavoratori!
La storia del lavoro in Italia è sempre stata una vicenda triste. Il Paese non ha mai creduto veramente che quella del sudore fosse la strada maestra per far ricchi gli italiani e per far crescere il Paese. Siamo un popolo di amanti delle scorciatoie. Ha influito certamente il cattivo esempio dei pochissimi ricchi, arrivati all’abbondanza nella stragrande dei casi attraverso mezzi discutibili o accumulazioni tanto repentine quanto torbide, nella migliore delle ipotesi – amicizie, favori, assenza di leggi. Poi ci ha messo del suo la mentalità “religiosa”, inerte di fronte al merito personale, al successo terreno, che ha preferito sottolineare aspetti più adatti a una società fatta quasi solo di poveri, come quella medievale: la ricchezza come male assoluto, a prescindere. Infine sono arrivati i socialisti e i comunisti, con le loro idee del conflitto di classe come fenomeno storico ineluttabile, con il desiderio di persuadere i poveri che conta solo il salario, il reddito, e non la funzione sociale o i valori di cui si è portatori. Sicché invece di aumentare i redditi è cresciuta l’invidia, la perdita di consapevolezza dell’importanza del lavoro, a prescindere (non necessariamente) dallo stipendio.
In questo sfondo culturale tutto italiano, la strutturale ed eccedente offerta di lavoro e la ristrettezza dei capitali circolanti hanno fatto il resto e dettato l’evoluzione del lavoro, anche per gli anni postindustriali, quando tutto avrebbe dovuto essere ormai cambiato in meglio da decenni. Che senso aveva infatti sviluppare un settore terziario moderno ed efficace, in grado di condurre lo sviluppo del Paese, se precedentemente il secondario non era giunto alla maturazion, in termini di capacità produttive, redditi e condizioni sociali? Questo è quello che è accaduto in Italia, con il benestare degli italiani (“meglio un uovo oggi che una gallina domani”) e dei loro governi, da metà degli anni 60 in poi. Con la compagnia dei politici-camerieri, che hanno finito per servire gli interessi di pochi grandi imprenditori, illudendosi e illudendoci di lavorare per il nostro bene e producendo, invece, solo la deindustrializzazione del Paese e la cancellazione di quasi ogni tutela sul lavoro.
Così alla fine oggi la Festa del Lavoro in Italia è un ossimoro, una contraddizione in termini, una fantasia erotica. Non dobbiamo però disperare. In economia vige un principio, “no free meals“: c’est à dire che l’imbroglio non può durare in eterno. La finanza non ci rende ricchi, alla pari delle aziende tirate su a sovvenzioni e favori. Le ricchezze accumulate in tempi di record sono solo un balzello, che forse altri, forse gli stessi ricchi, pagheranno prima o poi. Dobbiamo aver fiducia. Lo sviluppo del Paese passa necessariamente attraverso la valorizzazione del lavoro, esattamente come prescrive la Costituzione, passa dalla porta d’ingresso del riconoscimento del merito. I salari sono destinati a crescere e le retribuzioni in generale dovranno essere graduate secondo il merito, non secondo i privilegi.
Non c’è alternativa. Tutti gli altri mezzi per cercare di creare benessere nel Paese sono destinati all’insuccesso. Non c’è alternativa alla fatica, all’impegno e al lavoro se vogliamo creare una società ricca e giusta. I politici stentano ancora a capirlo (non lavorano!), ma gli italiani lo sanno, anche quelli che non lo praticano. E prima o poi si stuferanno e convinceranno i politici a sviluppare e proteggere l’unica attività che consente alle società di prosperare da che mondo è mondo: il lavoro. Allora, con maggiore soddisfazione di oggi, festeggeremo il 1° maggio, la Festa del Lavoro.
Lavoro & Precari | 1 Maggio 2019

mercoledì 1 maggio 2019

Macron a 360°: via l’italiano dalle scuole e forze militari ai confini russi

Fonte: W.S.I. 30 Aprile 2019, di Francesco Puppato

È un Macron a 360° quello che, dopo il periodo di depressione passato rinchiuso a palazzo per l’assedio dei gilet gialli, si ripresenta sulla scena francese, europea ed internazionale. Cominciando con un taglio di portata nazionale, il presidente francese, rivolgendosi ai gilet gialli, ha parlato di aumenti salariali e riduzione delle tasse, a patto che i francesi lavorino i più.
Sempre con riferimento alla sua nazione, Macron vuole eliminare la lingua italiana dalla scuola francese: con la nuova riforma del liceo, il numero dei posti messi a concorso vede da un paio d’anni una caduta senza precedenti. Negli ultimi due anni, all’agrégation esterna (ovvero il concorso per gli insegnanti universitari) questo numero è stato dimezzato (con soli 5 posti nel 2019, un numero “derisorio, se non umiliante”, secondo quanto riferito su Le Monde da un collettivo universitario 
Nel frattempo quello del Capes esterno (cioè il concorso per insegnare nelle scuole) è passato da 28 a 16. Nel 2014, 2015 e 2016 i posti erano invece 35, mentre nel 2013 addirittura 64. Nessun’altra lingua vivente, nello stesso periodo, ha subito amputazioni tanto violente da parte del ministero dell’Istruzione.
Truppe militari francesi ai confini con la Russia
Ma Macron e il suo governo non si è fermato qui. A livello internazionale, infatti, ha deciso di schierare le proprie truppe militari in Estonia ai confini con la Russia, come indicato in una nota dall’ambasciata francese in Estonia.
Più precisamente, l’arrivo via treno previsto per il 23 aprile comprendeva un totale di 300 soldati, 5 carri armati Leclerc e 20 veicoli blindati, compresi 13 veicoli corazzati da combattimento (VCC), nei quadri della missione FRA-EFP LYNX e per un periodo di quattro mesi.
Le truppe saranno schierate nella città estone di Tapa, che dista 140 chilometri dal confine russo.
La nota, inoltre, specifica quanto segue:
“La missione FRA-VET LYNX è il contributo della Francia al rafforzamento del fianco orientale della NATO nei tre Paesi baltici e in Polonia. Per la prima volta i soldati francesi sono stati schierati a Tapa tra marzo e dicembre del 2017″.
Qualcuno, invece, come il giornalista esperto di geopolitica Cesare Sacchetti dal suo profilo Twitter e altri commentatori, sostengono che queste mosse mettano a repentaglio la pace europea. Sacchetti sostiene inoltre che le decisione prese sulle ore lavorative rischiano che le proteste violente in Francia diventino la “condizione permanente”.

test velocità

Test ADSL Con il nostro tool potrete misurare subito e gratuitamente la velocità del vostro collegamento internet e ADSL. (c) speedtest-italy.com - Test ADSL

Il Bloggatore