Fonte: Informazione Consapevole
Flassbeck è un economista tedesco e in passato è stato anche segretario di stato presso il Ministero Federale della Finanza
Di Heiner Flassbeck
I
soliti resoconti sulla Brexit grondanti Schadenfreude, tuttavia, sono
solo un'altra faccia della profonda ignoranza tedesca nei confronti
delle preoccupazioni europee. Continuo a pensare che sia giusta l'analisi che individua le principali ragioni del voto britannico nel
fallimento dell'Europa e dell'eurozona sui temi economici e in
particolare nell'egemonia tedesca esercitata sin dall'inizio della crisi
dell'euro. Se la crescita economica dopo il 2009 fosse stata
anche solo la metà di quello degli Stati Uniti, e se alla Grecia fosse
stato riservato un trattamento ragionevole e al tempo stesso umano,
nulla lascia pensare che si sarebbe comunque arrivati alla Brexit.
Ritengo inoltre che un secondo referendum possa essere l'unica onesta via d'uscita da questa situazione complessa.
All'epoca del voto sulla Brexit il popolo britannico ha deciso in una
situazione di "errore oggettivo" perché nessuno gli aveva spiegato cosa
sarebbe realmente accaduto in caso di uscita e quali condizioni
potevano essere realisticamente negoziabili con il resto d'Europa. Ora
che è stato redatto un progetto di accordo, in ogni caso è molto più
facile farsene un'idea ragionata. L'argomento secondo il quale un altro
referendum sarebbe una ferita per la società britannica è poco
convincente. Un nuovo referendum sarebbe invece l'unico modo per
riportare la società britannica su un percorso costruttivo,
indipendentemente da come finirà.
Il vero fallimento
Ma
le posizioni sull'UE presenti nel dibattito tedesco, fra di loro
contrapposte, non riescono a individuare la vera posta in gioco. L'UE
non può essere né santificata - indipendentemente da come appare e da
come si comporta -, né lo scioglimento dell'Unione europea da solo può
risolvere tutti i problemi. Albrecht Müller sulle Nachdenkseiten
giustamente sottolinea che gli abusi neo-liberisti in Germania vengono
perpetrati in maniera completamente indipendente dall'UE. Di solito non
si dà sufficientemente evidenza al fatto che in Europa sotto la
"leadership" tedesca le cose vadano oggettivamente molto male e che
questo fatto sia tutt'altro che una coincidenza.
Il
riferimento ai trattati europei e in particolare al trattato di
Maastricht, firmato da tutti gli Stati membri, non aiuta a chiarire la
questione. I trattati europei sono lo sbocco naturale del
neoliberismo tedesco, spinto dalla CDU e dalla FDP dopo il "cambiamento
spirituale e morale" nei primi anni '80. La maggior parte dei partner
europei ha firmato i trattati europei nella speranza che alla fine
"nulla venga servito cosi' caldo come è stato cotto". Bisogna andare
incontro ai tedeschi per indurli, almeno formalmente, ad aderire
all'unione monetaria, o meglio queste erano le aspettative prima della
firma del Trattato di Maastricht. Piu' avanti poi, in qualche modo, si
riuscirà ad includere la Germania in un quadro di interpretazione piu'
pragmatica dei trattati.
Ed
era un'aspettativa del tutto realistica data l'interpretazione
flessibile che oggi viene data del ruolo della politica monetaria - e
le critiche che ad essa vengono mosse. La BCE in maniera
relativamente elegante si è sottratta all'ingessatura tedesca sul
divieto di finanziamento agli stati attraverso una sua interpretazione
della politica monetaria, che nel frattempo, su insistenza della Corte
costituzionale tedesca, è stata piu' volte confermata anche dalla Corte
di Giustizia Europea. Il Quantitative Easing era ed è una misura che
si muove nella zona grigia dei trattati, chiaramente ragionevole, ma
che dalla Germania è sempre stato attaccato con forza.
Quando
si parla di politica monetaria, bisogna anche tenere presente che solo
vent'anni fa in Germania, persino nominare la banca centrale in una
dichiarazione politica era considerato un tabù politico. Oggi
invece, ogni principe della provincia bavarese può criticare
violentemente la BCE senza che a nessuno al Ministero delle Finanze o
alla Cancelleria venga in mente di chiedere piu' moderazione alle parti
nel criticare un'istituzione politicamente indipendente. Anche questo è
un pezzo di normalità europea che si allontana in maniera positiva dal
dogmatismo tedesco.
La
vera disgrazia europea è avvenuta proprio nel momento in cui, dopo la
crisi finanziaria globale, la grande, ma non ancora cosi' potente
Germania è diventato il principale paese creditore e investitore. E
a tal fine è stata decisiva la posizione di avanzo commerciale con
l'estero dei tedeschi, ottenuta nei primi dieci anni dell'euro grazie
al suo dumping salariale. Poiché per quei paesi che stavano perdendo
l'accesso ai mercati finanziari la Germania restava la nazione
creditrice più importante, il paese è finito in una posizione di potere
che non era affatto in grado di gestire.
E
poiché la Germania in termini economici sta andando ancora
relativamente bene, negli ultimi anni è emersa una tipica mentalità da
professorone tedesco che sta appesantendo l'Europa più di ogni altra
cosa. Da un lato non c'è la volontà di prendere atto della
difficile situazione in cui si trovano gli altri paesi. E quando questa
viene presa in considerazione, allora ti viene immediatamente detto
che gli altri non hanno fatto i "compiti a casa". Proprio a nessuno in
Germania viene in mente che fra nazioni civili non è affatto comune che
ci sia un paese che distribuisce i compiti da fare agli altri paesi?
Ma
il dogmatismo tedesco non avrebbe mai potuto giocare un ruolo decisivo
nella crisi se la BCE avesse agito come una normale banca centrale. Se
avesse trattato gli stati membri dell'unione monetaria come degli
stati che hanno delle difficoltà sul mercato dei capitali, come del
resto avrebbe dovuto fare la propria banca centrale. Tuttavia ha scelto
di non farlo, mal giudicando i propri compiti, e li ha trattati allo
stesso modo in cui il Fondo Monetario Internazionale tratta gli stati
in crisi - inclusa la condizionalità neoliberista che ha aperto porte e
portoni al dogmatismo tedesco.