giovedì 8 agosto 2019

Cambiamenti climatici, “eventi estremi aumenteranno: così pregiudicata produzione agricola. Effetti maggiori in Africa e Asia”

Fonte: Il Fatto Quotidiano Ambiente & Veleni | 8 Agosto 2019

Sono le conclusioni del rapporto Cambiamento climatico e territorio, redatto dall'Ipcc, il comitato scientifico dell'Onu sul clima: "Ci saranno più guerre e migrazioni. È alto il rischio di desertificazione e incendi anche nel Mediterraneo". Le soluzioni: "Produzione sostenibile di cibo, gestione carbonio organico, conservazione ecosistemi e riduzione deforestazione"


Siccità e piogge estreme pregiudicheranno la produzione agricola e la sicurezza delle forniture alimentari. Così i cambiamenti climatici influiranno già dai prossimi anni sull’offerta di cibo e acqua nel mondo, facendo aumentare i prezzi e riducendo le risorse a disposizione dei più poveri. È la previsione contenuta nel nuovo Special Report on Climate Change and Land del comitato scientifico dell’Onu sul clima, l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) presentato oggi a Ginevra. Lo stesso, per intenderci, che a ottobre 2018 ha lanciato l’allarme globale su ciò che accadrà se non si ridurrà subito l’emissione dei gas serra: già nel 2030 il riscaldamento globale potrebbe superare la soglia di +1,5 gradi Celsius dai livelli pre-industriali con conseguenti devastanti. Il nuovo rapporto (scritto da 107 scienziati di spicco provenienti da 52 paesi di tutto il mondo) si è concentrato, invece, sugli effetti che i cambiamenti climatici avranno sull’offerta alimentare globale. Secondo l’Ipcc a pagarne le conseguenze saranno soprattutto le popolazioni più povere di Africa e Asia, con guerre e migrazioni. Ma anche il Mediterraneo è ad alto rischio di desertificazione e incendi. Basti pensare che la diffusione del dossier arriva nelle stesse ore in cui, dopo l’impegno arrivato in Italia dal Consiglio regionale della Toscana a giugno scorso, l’Emilia-Romagna ha dichiarato emergenza climatica e ambientale con un atto già ufficializzato da una delibera della Giunta.
I dati – Dal rapporto emerge che dal periodo preindustriale la temperatura sulle terre emerse è già aumentata di 1,53 gradi centigradi. La media globale dell’aumento è di 0,87 tenendo conto della variazione di temperatura sopra gli oceani. Più di un quarto della terra del Pianeta è soggetta al “degrado indotto dall’uomo” e la produzione di bioenergia può rappresentare un pericolo consistente per la sicurezza alimentare e la degradazione del suolo. Il rischio, infatti, è quello di privarci di preziosi terreni agricoli, spostando piantagioni e pascoli per il bestiame in aree naturali di grande importanza per la conservazione della biodiversità e la salvaguardia del clima, come le foreste. Il rapporto dell’Ipcc fornisce anche altri dati, importanti per capire gli squilibri che hanno portato al punto in cui siamo ora. Il 23% delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’attività umana derivano proprio da deforestazione, incendi e agricoltura industriale. Negli ultimi 60 anni il consumo di carne è più che raddoppiato e il suolo è stato convertito a uso agricolo a un ritmo senza precedenti nella storia umana. Così, mentre nel mondo ci sono circa due miliardi di adulti in sovrappeso o obesi, 821 milioni di persone sono denutrite. Questi i dati da cui si è partiti per arrivare a prevedere il prossimo futuro.
Rischi alti anche a 1,5 gradi – L’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi sul clima siglato nel 2015 è quello di rimanere con un riscaldamento globale a 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. Anche così, secondo gli scienziati dell’Ipcc, sono ‘alti’ i rischi che ci si ritrovi davanti a emergenze come scarsità d’acqua, incendi, instabilità nella fornitura di cibo e degrado del permafrost. Quest’ultimo è un fenomeno che avviene in risposta al riscaldamento della superficie del suolo che, a sua volta, è un effetto dell’aumento della temperatura dell’aria. Nell’ultimo mezzo secolo si sta verificando in molti settori dell’Artico.
Se si arriverà a +2 gradi – Ma il rapporto analizza anche le conseguenze che ci troveremo ad affrontare nell’ipotesi che il cambiamento climatico raggiungerà o supererà i 2 gradi (l’obiettivo minimo di Parigi). In quel caso, infatti, i rischi fin qui elencati vengono considerati ‘molto alti’. “Con l’aumento delle temperature – prevede lo studio – la frequenza, l’intensità e la durata degli eventi collegati al caldo, comprese le ondate di calore, continueranno a crescere nel 21° secolo”. Aumenteranno quindi la frequenza e l’intensità delle siccità, particolarmente nella regione del Mediterraneo e dell’Africa meridionale, come pure gli eventi piovosi estremi. Si prevede un calo nella sicurezza rispetto alle forniture di cibo proporzionale all’aumento della grandezza e della frequenza degli eventi atmosferici estremi, che spezzeranno la catena alimentare. Se aumenteranno le emissioni di CO2, un’altra conseguenza potrebbe essere quella di un calo della qualità nutritive dei raccolti.
La mappa delle aree più a rischio – Nelle regioni aride, il cambiamento climatico e la desertificazione causeranno riduzioni nella produttività dei raccolti e del bestiame. Le zone tropicali e subtropicali saranno le più vulnerabili. Gli scienziati che hanno lavorato al rapporto prevedono il maggior numero di persone che patiranno direttamente le conseguenze dell’aumento della desertificazione vivono tra Asia e Africa, mentre Nord America, Sud America, Mediterraneo, Africa meridionale e Asia centrale vedranno aumentare il numero di incendi.
L’allarme incendi è già una realtà nelle aree più fredde del pianeta – D’altro canto ciò che è accaduto tra luglio e agosto 2019 è più che un campanello d’allarme. Da giugno decine e decine di incendi si sono sviluppati lungo le coste del mar Glaciale Artico, in Groenlandia, Russia, Canada e Alaska. Oltre 3,2 milioni di ettari di foresta sono andate in fumo in Russia: le regioni più colpite sono quelle di Krasnoyarsk e Irkutsk, in Siberia, e la Yakuzia, nell’estremo nord-est. E se in queste aree del pianeta i roghi sono frequenti tra maggio e ottobre, è pur vero che per intensità e durata quelli di quest’anno non avevano precedenti e hanno rappresentato una concreta minaccia per lo scioglimento dei ghiacci nell’Artide.
Le migrazioni e i conflitti – I cambiamenti climatici portano con sé altri effetti. “Possono amplificare le migrazioni sia all’interno dei paesi che fra un paese e l’altro” sottolineano gli scienziati. Eventi atmosferici estremi possono portare alla rottura della catena alimentare, minacciare il tenore di vita, esacerbare i conflitti e costringere la gente a migrare. D’altro canto già nel 2018 la Banca Mondiale ha pubblicato un report sul tema della migrazione forzata provocata dal cambiamento climatico, stimando che entro il 2050 saranno almeno 143 milioni le persone costrette a spostarsi all’interno del proprio paese per ragioni legate al cambiamento climatico. Di questi 143 milioni, oltre la metà saranno in Africa Sub-sahariana. “Il cambiamento climatico – conferma il rapporto dell’Ipcc – aumenterà gli impatti economici negativi della gestione non sostenibile del territorio”.
Gli strumenti per ridurre le emissioni – Ed è proprio la gestione del territorio, secondo il comitato scientifico dell’Onu sul clima, la chiave per poter trovare una soluzione e allontanare il disastro. Una gestione basata su produzione sostenibile di cibo, gestione sostenibile delle foreste, gestione del carbonio organico nel suolo, conservazione degli ecosistemi, ripristino del territorio, riduzione della deforestazione, del degrado e della perdita e dello spreco di cibo. Tutte azioni che farebbero ridurre le emissioni di gas serra e, quindi, il riscaldamento globale. Secondo lo studio, alcune misure hanno un impatto immediato, mentre altre richiedono decenni per ottenere risultati. Sono immediatamente efficaci la conservazione degli ecosistemi che catturano grandi quantità di carbonio, “come le paludi, le zone umide, i pascoli, le mangrovie e le foreste”. Nelle grandi aree verdi, piante e alberi catturano l’anidride carbonica dell’atmosfera e la conservano in tronchi e foglie. Questi, in seguito, si decompongono a terra e lasciano la CO2 imprigionata nel terreno (il cosiddetto carbonio organico nel suolo). Misure di lungo periodo sono, invece, forestazione e riforestazione, attività forestali, ripristino di ecosistemi ad alta cattura di carbonio e dei suoli degradati. “Il suolo e la biodiversità stanno soffrendo una pressione enorme a causa dell’aumento della deforestazione in Amazzonia e degli incendi che proprio in questi giorni stanno devastando Siberia e Indonesia” ha commentato Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. Sottolineando che “alla luce del nuovo rapporto Ipcc, i governi dovranno aggiornare e migliorare i propri piani d’azione per mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto il grado e mezzo”.

domenica 4 agosto 2019

Tassi di interesse negativi, così si puniscono i risparmiatori invece di premiarli

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia Occulta - 4 Agosto 2019 Loretta Napoleoni
Questa settimana la Federal Reserve americana ha tagliato i tassi d’interesse dello 0,25%. Tutti se lo aspettavano ma questo non significa che il ritorno alle politiche monetarie espansionistiche non faccia paura in un momento come questo, quando i tassi negli Stati Uniti sono vicini allo zero e l’economia si dice cresca su base annuale del 3%. Tradizionalmente il tasso d’interesse è lo strumento primario, insieme alla pressione fiscale, per aiutare l’economia a superare periodi recessivi o per combattere l’inflazione. Da più di un decennio, infatti, da quando l’economia mondiale è scivolata sulla buccia di banana dei mutui sub prime, le banche centrali hanno perseguito politiche monetarie espansioniste, con modestissimi risultati però. Alcune hanno addirittura abbassato i tassi al di sotto dello zero, tra queste c’è la Banca Centrale Europea, e le banche centrali dei paesi scandinavi, quella del Giappone e quella della Svizzera.
Il perdurare dei tassi d’interesse negativi e gli scarsi risultati di questa politica hanno scardinato alcuni principi economici, così il risparmiatore invece di essere premiato viene punito. Poiché il denaro non frutta o frutta molto poco gli investitori si sono riversati sui beni immobili e sul mercato azionario, il finanziamento del debito pubblico è diventato sempre più difficile al punto che bisogna creare condizioni ad hoc vantaggiose per le banche affinché lo sottoscrivano (si pensi al meccanismo creato dalla Bce per acquistare titoli di stato dalle banche).
Queste distorsioni possono diventare pericolose qualora perdurino nel tempo. Ed ecco perché dopo più di un decennio economisti e banchieri centrali hanno iniziato a interrogarsi su quali manovre alternative possono essere usate per continuare a sostenere l’economia mantenendo i tassi intorno a zero o anche sotto zero ma evitando gli effetti negativi di questa politica sui risparmiatori. Il problema fondamentale, infatti, sono i risparmiatori, specialmente quelli piccoli e medi. Tra le proposte ventilate c’è l’introduzione di due tassi paralleli, uno per i risparmiatori, positivo, e uno per le banche, intorno a zero o negativo. Il primo genera profitti e il secondo riduce i costi di chi paga mutui e interessi sui prestiti. L’effetto congiunto dovrebbe far aumentare la spesa poiché il reddito disponibile salirebbe. Secondo questo schema la banca centrale per stimolare l’economia e contrastare le spinte recessive può far si che il tasso d’interesse sui depositi rimanga costante o che si alzi mentre quello sui prestiti scende.
Altra proposta interessante proviene dall’esperienza australiana. Durante la crisi del credito del 2007-2008 il governo ha distribuito soldi alla popolazione per evitare un crollo simile a quello avvenuto nel mercato immobiliare americano. Gli assegni inviati hanno evitato la catastrofe, motivo per cui oggi alcuni economisti suggeriscono di fare altrettanto. Non si tratta di lanciare bigliettoni dall’elicottero Bce, ma di sostenere la base della piramide del debito onde evitare che ci crolli addosso.
Dal Giappone arriva una terza alternativa: acquistare con i soldi stampati dalla banca centrale, e quindi attraverso il Quantitative Easing, le azioni detenute dagli investitori. In altre parole liquidare l’investimento che costoro hanno fatto fuori dal sistema bancario a causa dei tassi negativi. Il problema è l’alta concentrazione di investimenti sul mercato azionario. I grossi risparmiatori detengono la maggior parte dei pacchetti azionari e quindi la monetizzazione dei loro portafogli premierebbe principalmente i ricchi piuttosto che i piccoli e medi risparmiatori.
Naturalmente tutte queste proposte per funzionare al massimo hanno bisogno di politiche fiscali diverse da quelle attuali. L’idea che la tassazione debba essere il più possibile piatta per far sì che l’effetto cascata, il celeberrimo trickle down effect, funzioni non sta né in cielo né in terra dal momento che negli ultimi venti anni questo principio ha solo aumentato vertiginosamente le diseguaglianze economiche e prodotto la fuga dei cervelli. In Europa fino a ora soltanto il governo polacco ha concesso l’esenzione fiscale ai giovani laureati che decidono di rientrare in patria. Uscire dalla spirale recessiva è possibile anche con i tassi d’interesse intorno alla zero, o sotto zero, ma per farlo bisogna tassare pesantemente chi si è arricchito grazie alle anomalie economiche degli ultimi decenni, stampare denaro, insomma non basta, è necessario redistribuirlo tutto, non solo quello fresco delle presse.
Sarà interessante vedere come le nuove leadership europee, dalla Commissione fino alla guida della Bce, affronteranno il prossimo autunno il perdurare del clima recessivo, se avranno il coraggio di essere innovative e di lavorare per le masse invece che per le élite.

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