venerdì 4 marzo 2016

l'uomo, l'iniziato, il Dio: 1 e 2

E se? E' questa la domanda che si dovrebbe porre lo storico; e per la verità dovrebebro porsela anche i comuni mortali....... E se ci trovassimo di fronte a una forzatura? E se i Vangeli così come li conosciamo sono "montati e riadattati" a uso e consumo delle istituzioni religiose a scapito della vera fede?
Queste due clip cercano di aprire gli orizzonti proprio su questi temi in maniera intelligente partendo dall'ennesima scoperta di un vangelo, nemmeno recentissima peraltro, scritto da Giuda Tommaso (FONTE: WIKIPEDIA,  NAG HAMMADI) che, per i vangeli ufficiali è ricordato soprattutto per essere quello che dubitò che fosse davvero il redento messia quello che era di fronte a lui ... fino a mettergli la mano nel costato, che era il fratello del messia, anzi un gemello (in senso spirituale), e che ci racconta un altra storia, del tutto diversa dove il dio non è quello che ci raccontano e il messia era un uomo, pio ma pur sempre un uomo, un ebreo che parlava agli ebrei.... la gnosi cercava giusto questo, la Chiesa nascente no: dura fu la lotta ma gli gnostici non solo furono sconfitti, grazie anche a Costantino (che si fece cristiano solo in punto di morte), ma annientati fisicamente, uccisi. Si erano dimenticati quanto avevano sofferto e ora facevano le stesse cose che avevano subito.... per tacere dell'oscuro evo cui diedero vota dove delle precedenti culture non rimase nulla: nemmeno i mattoni si sapevano più costruire, immaginate cose molto più terrene; come non cogliere le assonanze con l'evo attuale?
D'altronde ammettere che erano politeisti quando cercavano di affermare il principio del dio unico, era dura... così come ammettere che si cercava di far vedere all'uomo ombre quando la realtà era alle spalle..... era dura e ci son riusciti, per ora
Il resto lo lascio a voi, se ne avete voglia, considerarlo: non è necessario esternarlo qui ma soprattutto nel vostro intimo, se lo siete, di credenti e se non lo siete di osservatori interessati visto come si sta cercando, e riuscendo, di cancellare quelle conquiste di civiltà raggiunte nel 70ennio precedente....
BUONA VISIONE
questo è il primo

e questo il secondo

l'argomento è davvero interessante e intrigante e non può non solleticare la vostra curiosità....
fate con calma, c'hanno messo duemila anni per arrivare a sto punto!!!!
buon week end

giovedì 3 marzo 2016

Fusione Stampa-Repubblica: la fabbrica delle notizie

di | 3 marzo 2016 il Fatto Quotidiano

Nanni Moretti incolla su un grande foglio bianco titoli di giornali. Titoli diversi di testate diverse, ma articoli uguali. I giornali sono uguali, dice lui nel film Aprile. Uguali, cioè omogenei, sovrapponibili, ugualmente omissivi su una vicenda, parimenti entusiasti su un’altra. Il giornalismo ha la responsabilità di illustrare la realtà, conoscerla anzitutto e indagarla anche nelle sue pieghe più segrete e inconfessabili.
Il giornalista deve dire la verità, o almeno quel che a lui appare come verità. Ma può – se è disonesto – anche tacerla, ridurla, ometterla. E addirittura trasformarla. Dare per vero il falso o accreditare l’opposto: costruire su una suggestione la realtà. Il vizio tragico dell’informazione è che essa faccia rima con manipolazione. L’unica possibilità per contrastare la possibile manomissione della realtà è che le fonti di informazione siano plurime, abbiano distinte capacità di analisi e di critica, distinti editori, differenti interessi culturali e politici. Come ci insegna Moretti non è il numero di giornali in vendita ad alzare il livello e la qualità delle notizie che si offrono.
Con internet la faccenda si complica ancora di più. Nell’età della notizia istantanea, della comunicazione istantanea, del riscontro istantaneo, il mercato delle notizie poggia apparentemente su un numero indefinito di fonti. Ma la quantità di esse non equivale a fornire a ciascuna la medesima attendibilità. La crescita esponenziale delle notizie farlocche sulle quali si incardinano migliaia di commenti e prese di posizione nasce dall’assoluta incontrollabilità delle fonti. Perciò quelle più accreditate avranno il privilegio di costituire lo scheletro sul quale poggerà la prevalente narrazione quotidiana. I fatti riferiti, e per come vengono riferiti, saranno oggetto dei commenti dei cittadini, dei tanti come voi che su una vicenda esprimono, in modo equilibrato o rozzo, con prudenza o sicumera, il proprio giudizio.
Di oggi l’ufficializzazione della fusione per incorporazione dei gruppi Espresso e Itedi, editrici di La Repubblica, La Stampa e Secolo XIX. Due dei tre principali gruppi editoriali del Paese si fondono, e il terzo, Rcs, sarà detenuto ancora per qualche mese da uno dei due protagonisti della fusione.
Già ora, già oggi è evidente che i commenti e i giudizi principali su questa grande operazione industriale e culturale provengono da giornalisti che sono dipendenti delle società protagoniste della vicenda. Esiste come dato oggettivo un’alterazione della percezione obbligata dallo status di chi racconta una vicenda che lo riguarda. Dirà tutto ciò che pensa? Oppure, come è più plausibile, non espliciterà le proprie riserve? O anche, come forse è sicuro, sarà chiamato a riferire di questo fatto e a commentarlo colui che più è vicino per sentimento o interesse alla voce del padrone?
E se l’industria editoriale diviene un oligopolio, un potere spartito tra pochi, che ne sarà della qualità dell’informazione, della sua libertà? E se aggiungiamo che nelle mani del governo c’è il cosiddetto fondo dell’editoria, soldi da assegnare alle imprese che fanno comunicazione, quanto potrà essere grande il rischio di un condizionamento che si abbatterà in modo così pesante sulla fabbrica delle notizie, se il fabbricante è uno solo o quasi?

di | 3 marzo 2016

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allora in una società di libero mercato a domanda e offerta, teoricamente, multiple dove chi agisce in essa scambia con i consumatori  le "informazioni" in modo da permettergli di "scegliere" al meglio i prodotti contendendosene le scelte quanto sta accadendo nell'editoria, con il venir meno della pluralità dell'offerta, viene anche meno il presupposto base del mercato che ne è la basse.... a maggior ragione quando si vive dove il medium principale è proprio il network dei media e le informazioni che forniscono: sono loro che spostano voti e opinioni (anzi spesso la cosiddetta "pubblica opinione" è una figura retorica usata per fare da velo ai media); sono loro che hanno il compito di "watchdog (mai visto in italia tranne rarissime eccdezioni)"; sono loro che danno al consumatore le news, ma:
  1. se i media networks sono essi stessi strumenti di gruppi finanziari- industriali che li posseggono;
  2. se non assolvono al compito precipuo, watchdog, ma si fanno, spesso anche al di là delle intenzione del dominus del momento, portatori dei desiderata del mainstream politico-finanziario;
  3. se la comunicazione è già viziata dal possesso di pochi, non editori puri, che tendono al monopolio dell'informazione;
  4. se il consumatore, ex cittadino consapevole, si trova prigioniero di un sistema dove non solo c'è il pensiero unico ma c'è anche l'informazione unica..
possiamo ben pensare che la società viene sempre di più plasmata da quei pochi a scapito di quel pluralismo che è la base della democrazia e delle società complesse è solo un sogno... se mai volessimo aspirarea questo sogno dovremmo difendere con le unghie e con i denti la "rete" digitale e impedire che venga colonizzata, divisa, piegata agli interessi di quei pochi, e dei sodali della politica, perchè una volta persa non ci resterebbe nemmeno quel piccolo angolo di libertà individuale con cui tanto si sciacquano la bocca i soloni del libero mercato=democrazia......

mercoledì 2 marzo 2016

I 135 motivi per votare si al referendum contro le trivelle

sapete che ad aprile c'è il referendum per dire no alle trivelle? Si? No?
ecco qualcosa su cui riflettere...
da blog no all'italia petrolizzata











Eccoci qui, le 135 piattaforme marine e le 3 unita' galleggianti di stoccaggio nel nostro Mar Adriatico, nel Mar Ionio e nel Canale di Sicilia.

Le tre unita' galleggianti altro non sono che navi FSO o FPSO:
Vega (Pozzallo, Sicilia), RospoMare (Vasto, Abruzzo) e Aquila (Brindisi, Puglia)

Sono 135, ed altrettanti motivi per dire "si al mare pulito" e no alle trivelle di Renzi, della Guidi, di Galletti e di tutti i politici pseudo-amanti del mare che del mare italiano non amano, non conoscono e non meritano niente.


martedì 1 marzo 2016

Economia italiana in ripresa? Ecco alcuni dati

di | 27 febbraio 2016 dal Fatto Quotidiano
Quale può essere la realtà appresa leggendo le affermazioni di fonte governativa e le informazioni estrapolabili da Banche dati indipendenti? La curiosità ci ha spinti ad analizzare la reale situazione economica italiana, in un periodo di eventi favorevoli dell’economia mondiale, quali il basso prezzo del petrolio, le politiche di allentamento quantitativo delle Banche Centrali ed i conseguenti bassi tassi di interesse sul debito pubblico.
Nel mese di gennaio, secondo quanto rilevato da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, la richiesta di elettricità in Italia ha fatto registrare una flessione dell’1,0% a parità di calendario rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Considerando che quest’anno il mese di gennaio ha avuto un giorno lavorativo in meno (19 vs 20), la domanda complessiva di energia elettrica pari a 26,3 miliardi di kWh corrisponde a una flessione dell’1,7% rispetto a gennaio 2015. Queste sono le variazioni di consumo negli ultimi 3 anni.

A parte il periodo estivo 2015 molto caldo, sembra che non vi sia ancora una forte inversione di tendenza in atto. Ovviamente possiamo ipotizzare che di anno in anno, la rete e i comportamenti degli italiani diventino più “parsimoniosi” e efficienti ma di certo non al punto di mettere insieme crescita economica con minori consumi di energia.
Il settore industriale che dovrebbe essere trainante per la nostra economia, ‘dovrebbe’…

Se sale il consumo di petrolio a gennaio, come rileva il comunicato stampa dell’unione Petrolifera, meno bene sono andati i prodotti autotrazione, con la benzina che nel complesso ha mostrato un calo del 6,3% rispetto a gennaio 2015 (livello più basso da 10 anni).

Come d’altronde il gasolio per autotrazione, che registra un – 2,6%

La domanda totale di carburanti (benzina + gasolio) nel mese di gennaio risulta pari a circa 2,3 milioni di tonnellate, di cui 0,6 milioni di tonnellate di benzina e 1,7 di gasolio autotrazione, con un calo del 3,5% (-82.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2015.
Se poi mettiamo insieme il dato sul consumo di energia con quello sul consumo di carburanti con il calo del consumo di carburante diesel, un evento raro in un trend di continua sostituzione di motori a benzina con quelli diesel, si può temere che l’Italia sia tornata in recessione.
A dicembre il fatturato dell’industria, al netto della stagionalità, registra una diminuzione dell’1,6% rispetto a novembre (-1,7% sul mercato interno e -1,4% su quello estero). Nella media del 2015 il fatturato segna un aumento dello 0,2%, sintesi di una flessione sul mercato interno (-0,2%) e di un incremento su quello estero (+1,2%).
Negli ultimi tre mesi, l’indice complessivo registra una flessione dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti (-0,3% per il fatturato interno e +0,6% per quello estero). Sulla flessione trimestrale pesa la dinamica negativa delle vendite di prodotti energetici, al netto dei quali il fatturato risulta, complessivamente, in crescita (+0,5%).
Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del 3,0%, con un calo del 2,7% sul mercato interno e del 3,2% su quello estero. A dicembre gli indici destagionalizzati del fatturato segnano flessioni congiunturali per l’energia (-4,6%), per i beni strumentali (-2,2%), per i beni intermedi (-1,2%) e per i beni di consumo (-0,7%).
L’incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+10,5%), mentre la maggiore diminuzione riguarda la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-17,2%). Gli ordinativi totali segnano una diminuzione congiunturale del 2,8%, sintesi di una flessione del 4,8% degli ordinativi interni e di un aumento dello 0,2% di quelli esteri. Nel confronto con il mese di dicembre 2014, l’indice grezzo degli ordinativi aumenta dell’1,5%.
La tabella successiva mostra cosa è successo in termini comparati negli ultimi 25 anni alla Produzione Industriale Italiana:

Dobbiamo tornare agli anni ’70 per osservare livelli come quelli di oggi.
Parlando ora di politica, la spesa pubblica, elevatissima e causa di una pressione fiscale abnorme, non accenna a calare. Lo scorso anno essa è aumentata di 52 miliardi di euro e le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi. Rispetto al 2014, nel 2015 le uscite correnti del bilancio pubblico sono passate da 483,8 miliardi a 536,4 miliardi, mentre le entrate tributarie suono salite da 407,5 miliardi a 433,4 miliardi. Questi i dati di una analisi del Centro studi di Unimpresa sull’andamento del bilancio pubblico nel 2015 e nel 2014.

Con numeri come quelli esposti, l’esigenza essenziale dello Stato per rendere sostenibile il suo bilancio, sarebbe quella di un buon aumento del pil, aiutato da una riduzione delle spese in conto capitale, stante una situazione di bassi tassi perdurante per il tempo del Quantitative easing.
L’Ufficio studi della Cgia ricorda che dall’inizio della crisi (2007) ad oggi, nel nostro Paese il pil  è sceso di oltre 8 punti, i consumi delle famiglie di 6,5 punti e gli investimenti quasi 27,5 punti percentuali. La disoccupazione, invece, è pressoché raddoppiata. Se nel 2007 ammontava al 6,1%, il dato medio del 2015 dovrebbe attestarsi all’ 11,4%.
Per recuperare il terreno perso ci vorrà molto tempo. Se nel prossimo futuro il pil crescesse di almeno 2 punti ogni anno, il nostro Paese  tornerebbe alla situazione pre-crisi solo nel 2020. E così non sarà; l’Ocse rivede al ribasso le sue stime per il Pil italiano per il 2016, prevedendo una crescita all’1%, 0,4 punti percentuali in meno rispetto all’outlook di novembre. Confermata invece la stima di +1,4% per il 2017.
Sia nel 2016 sia negli anni successivi (2017 e 2018) le entrate totali delle pubbliche amministrazioni dopo la legge di Stabilità non caleranno e anzi continueranno ad aumentare. Saliranno di 10,6 miliardi nel 2016 rispetto al 2015 (da 788,7 a 799,3 miliardi), di 20,7 miliardi nel 2017 rispetto al 2016 e di 25 miliardi nel 2018 rispetto al 2017.
Riccardo Pizzorno per @SpazioEconomia
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si dice sempre che è bene far parlare i dati... bene eccoli

lunedì 29 febbraio 2016

Il grande occhio che tutto vede

Essere sicuri. Vivere sicuri. Un mondo sicuro. Ecc. La retorica della sicurezza è all'ordine del giorno visto che tutti, Stati e privati, si affannano a volerci vendere allarmi o cassette di sicurezza o rafforzare apparati a difesa del cittadino: tutti si preoccupano del nostro quieto vivere. E a guardare quest'elenco non gli si potrebbe dare torto, visti i miliardi spesi.. ma prima di passare a leggere chiediamoci: se siamo così tutelati da organi, pubblici e privati, al punto che per ognuno di questi organi non ci sono limiti legislativi (son tutti al limite della legge) reali, come mai ci sono ancora attentati terroristici proprio a casa nostra?
E' essere complottisti sospettare che sono solo soldi spesi male per favorire questa o qiella lobby o, ogni tanto e per proprio tornaconto (o fini inconfessabili), si stacca, volutamente, la spina? Snowden, Wikileaks in fondo non sono la prova provata della malafede, sempre per fini superiori rivolti al bene comune, che non è assolutamente tutto oro quel che luccica ma solo pirite?
Addirittura è nato un mercato della sicurezza in cui agiscono sia gli Stati che i privati... e che privati.. vere e proprie multinazionali della sicurezza; mercato che ha una forte domanda a fronte di un offerta altrettanto forte!!!!
Ok guardate un pò qua:
  1. I.A.O. o Information Awareness Office. (Wikipedia) E' il grande fratello dell'elettronica e se ne seppe l'esistenza quando il new york times il 13/2/2002 ne parlò in un articolo da cui si evinceva che quest'organo aveva, in pratica schedato 500 mln di persone. Era nato per difendere la sicurezza americana ma si scoprì che li schedava...... la sua attività, a livello ufficiale s'interruppe nel 2003 a seguito dell'approvazione di una legge del Congresso americano che prendeva atto delle reiterate violazioni della privacy dei cittadini americani soprattutto. Infatti fu "chiuso" ma subito dopo nacque il...
  2. T.I.A. o Total Information Awareness; nato immediatamente dopo in pratica ne ha preso l'eredità continuando nella stessa attività senza soluzione di continuità (leggete al link di wikipedia, ce n'è di che preoccuparsi!!!)
ebbene se avete letto wikipedia al link suindicato ne avete di che riflettere sul grado di sicurezza (a questo punto mi chiedo di chi e per chi)  raggiunto dall'apparato che ci dovrebbe proteggere.. 'dovrebbe' appunto perchè in realtà non sembra proprio che vada così visto il proliferare dei terrorismi e della rete in cui si sono immersi per portare a termine i loro inumani progetti: se ci sono programma in grado di scannerizzare simultaneamente milioni di conversazioni traducendole quasi in tempo reale in qualunque punto del pianeta o di vagliare in pochi secondi i vari tag e trend tag dei social network o di fotografare un metro quadrato da 20 km di altezza, come mai cadono sempre da pero quando una bomba scoppia o un aereo si schianta su un grattacielo? Qui le cose son due: o tutto l'apparato è un bluff e serve solo a spendere soldi (che potrebbero essere meglio impiegati) o ..... in realtà la loro funzione è un altra e non ha nulla a che vedere con la sicurezza dei cittadini ma con altro e quell'altro, quando vien fuori, è a dir poco inquietante perchè svela un mondo dove non sempre i buoni sono i nostri e i cattivi sono quelli nella trincea di fronte o, per dirla con il torturatore di winston nel romanzo di Orwell '1984', non sempre 2+2 fa 4, qualche vota fa tre e qualche volta fa 5 ......

domenica 28 febbraio 2016

Trattato Usa-Ue sul commercio, le trattative si fanno al buio e la democrazia è ridotta a zerbino

di | 28 febbraio 2016 dal Fatto Quotidiano
Nelle aule di liceo che frequentai molto tempo fa era celebre la risposta di uno studente alla domanda di letteratura greca sul poeta Callino: “Di Callino non si sa quasi niente”. Null’altro seppe aggiungere, ma era la verità: infatti sono giunti sino a noi soli pochi frammenti dei suoi versi. La risposta purtroppo sarebbe la stessa se la domanda fosse fatta oggi sul Trattato Transatlantico (Ttip) che per noi, a nostra insaputa e forse contro di noi, stanno discutendo a Bruxelles i negoziatori della Commissione Ue e quelli degli Usa. Sono ormai tre anni che i negoziati procedono e in questi giorni, fino a venerdì, hanno luogo nuovi incontri.
L’ampiezza degli argomenti e la profondità delle conseguenze che il Ttip potrà avere sulla nostra vita sono enormi: questo trattato commerciale non riguarderà questo o quel prodotto, ma praticamente tutti i prodotti e anche certi servizi, farà cadere non solo tutte le residue barriere doganali, ma anche le limitazioni che si frappongono a motivo di regolamentazioni diverse, frutto di anni di modifiche e messe a punto a volte sapienti. Si avrà un’area di libero scambio e per questo le regole sulle due sponde dell’Atlantico dovranno essere o unificate o armonizzate e questo non si può fare se non trascurando le peculiarità delle singole produzioni: saranno favorite le produzioni di massa, cioè le grandi aziende, e l’omologazione verso il basso della qualità, ossia il basso prezzo.
I danni prevedibili per le produzioni di qualità, le tipicità di cui il nostro Paese va orgoglioso, e da cui trae molto in termini economici, sono praticamente incalcolabili. Già ora la concorrenza a nostro danno è falsata in mezzo mondo da prodotti agricoli che echeggiano, nel nome e nella presentazione, i sapori del nostro territorio. L’Italian sounding è un fenomeno che danneggia le nostre esportazioni e rischia di trovare un consolidamento se non verranno trovati giusti modi di rispetto. Eppure, più che il trattato stesso sconcerta il modo con cui vengono condotte le trattative. Una carenza di trasparenza studiata scientificamente, in cui viene negata la conoscenza dell’effettivo procedere dei testi non solo al comune cittadino, ma perfino ai rappresentanti del popolo eletti democraticamente.
Per loro è stata studiata una severa procedura di ingresso a una “sala di lettura” in cui possono accedere su domanda, ma senza alcuno strumento che consenta la trascrizione dei testi, perfino carta e matita. Questo grado di segretezza è degno di una organizzazione carbonara e non di una istituzione come la Commissione europea. Purtroppo queste procedure possono esistere grazie all’indifferenza dell’opinione pubblica, tenuta all’oscuro quanto è possibile. Esistono, è vero, movimenti contrari, che hanno manifestato più volte in tutta Europa: in Italia, però, siamo parecchio indietro, nonostante gli sforzi dei volenterosi.
La minaccia peggiore che potrebbe venirci dall’approvazione del Trattato, almeno per quel poco che se ne sa, potrebbe venire da una specie di mordacchia che il Trattato potrebbe imporre alle legislazioni nazionali: il Ttip, una volta approvato dall’Europarlamento e ratificato dai Parlamenti nazionali, entrerebbe in vigore e darebbe luogo a regolamenti europei vincolanti per il legislatore nazionale. Fin qui tutto normale, potrebbe dirsi. Se non fosse che esiste una clausola particolare, quella denominata ISDS, che prevede l’istituzione di un tribunale speciale accessibile all’investitore estero che si ritenga danneggiato dalla nuova regolamentazione nazionale.
Potrebbe agire direttamente contro lo Stato che non abbia “rispettato” il Trattato ed esigere multe astronomiche, caso che già si è verificato in analoghi Trattati che prevedono questa clausola. Si comprende bene che questa è una prospettiva del tutto favorevole alle già potentissime società multinazionali, capaci di operare su grandi aree geografiche, con bilanci talvolta superiori a quelli degli Stati in cui sono presenti. Sarebbe troppo facile ricordare i danni sociali generati da analoghe circostanze in altre parti del mondo, magari in Chiapas, Messico.
Sul tema di questi negoziati è sconcertante il silenzio dei media, preoccupante il disinteresse che mostrano le istituzioni, avvilente la non conoscenza da parte di gran parte dell’opinione pubblica. Un tema grave è lo sbilanciamento degli interessi in seno ai negoziatori. Oltre alla commissaria Ue per il Commercio, Cecilia Malmstroem, decisamente favorevole, e al capo dei negoziatori, Ignacio Maria Bercero, ci sono i negoziatori dei vari direttorati di Bruxelles interessati al Ttip, e bisognerebbe sapere quali sono gli atteggiamenti. Di certo gli esperti scelti per la consulenza hanno una provenienza decisamente sbilanciata verso il nord-ovest dell’Europa. Siamo ancora in tempo per rimediare: è bene non aspettare che la Commissione ci confezioni un pacco di soluzioni dalle conseguenze imprevedibili, un pacco che i Parlamenti potranno solo prendere o lasciare. La democrazia ridotta allo zerbino fuori dalla porta di casa.
di Giovanni Bottazzi
da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2016

di | 28 febbraio 2016
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che fine ha fatto la democrazia? Ricordate quando dicevano che esisteva un equazione 'mercato=democrazia'? Ora quell'equazione si dinmostra per quella che è... una balla. Il mercato per definizione ha nulla a che fare con la democrazia: non è un caso che le aziende vanno laddove pagano meno la manodopera e di solito son paesi dove la democrazia non esiste come non esistono nè sindacati nè altro; e nemmeno è un caso che i govderni hanno liberalizzato il mercato del lavoro e tutto il resto sennò come si fa a competere? Ecc. Ecc. son cose che sapete queste...vero?

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