sabato 23 gennaio 2021

Coronavirus, i rischi e i costi delle misure di contenimento non vanno sottovalutati

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Andrea Bellelli Economia & Lobby - 23 Gennaio 2021

 

La gestione dell’epidemia di Covid-19 in corso è complessa e mentre le stime del rischio sanitario sono abbastanza attendibili, quelle dei costi connessi con le misure di contenimento sono al momento incerte. Purtroppo la stampa in Italia ha fornito informazioni largamente incomplete, anche perché alcuni rapporti erano stati secretati dal governo, e per valutare questi aspetti occorre riferirsi ad agenzie che scrivono in inglese.

In linea di massima la mortalità stimata per l’epidemia, in assenza di misure di contenimento, si attesta sullo 0,5% (si consideri come riferimento che la mortalità complessiva usuale nella popolazione dei paesi avanzati è di poco superiore all’1% all’anno). Le misure di contenimento possono abbassare questo tasso di mortalità probabilmente fino allo 0,15-0,2%, al prezzo però di prolungare la durata dell’epidemia. I costi economici dell’epidemia sono elevati, tanto in termini di mancato guadagno quanto di spese sanitarie, e le misure di contenimento li aumentano notevolmente sia per il loro costo intrinseco, sia perché aumentano la durata dell’epidemia che, nonostante la disponibilità del vaccino, difficilmente finirà prima di un anno ancora. In questo post presenterò le analisi di alcuni costi di queste misure, tratte dalla stampa internazionale.

Ci sono due punti preliminari da considerare:

1) Il bilancio dei danni sanitari direttamente causati dell’epidemia si basa non tanto sui decessi quanto sul calcolo degli anni di vita persi: ad esempio si può stimare che una persona che muore di Covid-19 a 80 anni abbia perduto circa 7 anni di vita; ovviamente l’epidemia costa milioni di anni di vita.

2) Un anno di vita ha un costo: per il cibo e le altre spese vive, ma anche per la salute (medicine, interventi sanitari, etc); quindi anche un danno o costo economico, se ingente, può essere misurato in anni di vita persi. E’ ingenuo pensare di separare il danno economico da quello alla salute, come è ingenuo pensare che si possa ovviare ai costi con prestiti internazionali o stampando moneta: non si può comprare ciò che non è stato prodotto o reso disponibile e quindi la diminuzione della produzione o del trasporto di beni di prima necessità non è rimediabile con strumenti finanziari. Molte stime indicano che il recupero del danno economico potrebbe richiedere fino a dieci anni, nei quali evidentemente sarà necessario operare risparmi sulla spesa pubblica e sui servizi, inclusa la sanità.

Il primo allarme lanciato dall’Onu riguarda la fame nel mondo: “Se la crisi sanitaria diventa una crisi economica, il calo di fondi e i problemi di trasporto possono causare milioni di decessi per fame“. Ovviamente risultano massimamente a rischio i paesi meno avanzati e i teatri di guerra, nei quali l’approvvigionamento alimentare era precario anche prima della pandemia. E’ importante considerare anche che le necessità alimentari sono tra quelle che impediscono i lockdown completi: di fatto soltanto circa il 50% dell’attività lavorativa può essere soppresso o svolto con modalità a distanza, e alcuni settori, come quello alimentare e quello dei trasporti, sono incomprimibili.

Altri allarmi riguardano anche i paesi più ricchi, soprattutto a causa della maggiore età media della popolazione. La spesa sanitaria in molti paesi avanzati si attesta attorno al 10% del Pil e una riduzione del Pil causata dalla misure di contenimento dell’epidemia non può non riflettersi sulla disponibilità delle risorse per la sanità. Anche in questo caso si può stimare un costo della vita umana: infatti l’aumentata speranza di vita della popolazione dipende anche dalle cure mediche disponibili e molti interventi sanitari hanno costi ben superiori a 30.000 euro per anno di vita guadagnato, fino ad oltre 150.000 euro per anno di vita guadagnato.

E’ chiaro che una riduzione del Pil si ripercuote in una perdita di anni di vita, anche se l’equivalenza tra i due parametri è variabile in funzione delle decisioni politiche sulla ripartizione della spesa pubblica: si può quantificare il costo di un lockdown tanto in milioni di anni di vita perduti quanto in miliardi di euro di Pil. Nei paesi meno avanzati, nei quali sia la spesa sanitaria che l’aspettativa di vita sono minori, si sono verificate a causa delle misure di contenimento dell’epidemia interruzioni di servizi sanitari essenziali, quali le vaccinazioni infantili, le cui conseguenze possono essere drammatiche.

Un altro aspetto degli effetti sanitari del danno economico è misurabile a livello dei singoli individui, piuttosto che della società: è infatti ben noto che l’aspettativa di vita correla positivamente con il livello di scolarità e con il reddito: un aumento del tasso di abbandono scolastico o una riduzione della disponibilità economica possono statisticamente associarsi ad una diminuzione dell’aspettativa di vita. Entrambi questi effetti sono esacerbati dalle misure di contenimento dell’epidemia, e quando ci si chiede perché sia importante riaprire le scuole se ne dovrebbe tenere conto. Purtroppo questi effetti sono difficili da quantificare e attribuire: la ridotta scolarità non figura tra le diagnosi di morte.

Una pandemia impone sempre scelte politiche molto difficili e analisi costi-benefici complesse; nella paura del momento è facile sopravvalutare il rischio connesso con la malattia e sottovalutare quello connesso con le misure per contenerla. E’ chiaro che le strade migliori richiedono compromessi, e il prolungamento della durata dell’epidemia causato dai tentativi di contenerla fa aumentare i danni collaterali. Inoltre i danni collaterali delle misure di contenimento si esplicitano sul lungo termine, anche a distanza dalla fine dell’epidemia.

giovedì 21 gennaio 2021

I cent’anni del Partito Comunista non si possono capire senza il sacrificio dei suoi militanti

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Politica - 21 Gennaio 2021 Mirco Dondi

Il Partito comunista (allora Partito comunista d’Italia) nasce ufficialmente a Livorno il 21 gennaio 1921, al termine del congresso del Partito socialista italiano. La scissione della corrente comunista è scontata già prima che inizino i lavori dei delegati al teatro Goldoni il 13 gennaio. A dicembre Amadeo Bordiga (che sarà il primo segretario del Pcd’I) ha già deciso l’uscita dal partito, in polemica con i socialisti massimalisti unitari di Giacinto Menotti Serrati, accusati di compromissione con il riformismo e di non aver saputo dare una guida alle agitazioni operaie e contadine del biennio rosso (1919-1920).

La frazione comunista ha il pieno sostegno dell’Internazionale comunista alla quale avevano aderito anche i socialisti di Serrati progressivamente emarginato dall’organizzazione.

Nell’autunno del 1920 la chiusura della lunga stagione di scioperi e di occupazione delle fabbriche sconta il disorientamento delle masse che avevano aderito alle agitazioni. Il nuovo Partito comunista, minoritario nella conta congressuale socialista, nasce con l’obiettivo di essere una formazione coesa (ma lo scontro con i bordighiani e il riflesso delle tensioni interne al Pcus sovietico dimostreranno il contrario), in grado di condurre con mano sicura un’eventuale nuova occasione rivoluzionaria.

Sono i quadri più giovani che compiono lo strappo dal Partito socialista e dalla sua tradizione politica, in una situazione nazionale ormai fortemente polarizzata sulle estreme. Antonio Gramsci, vero leader del partito, lamenta la “crisi strutturale dello Stato”. In quell’Italia, ancora ferita dalle lacerazioni lasciate dagli scontri sull’opportunità di partecipare alla Grande guerra, emergono due tensioni contrapposte: la prima guarda – da sinistra – a una trasformazione radicale dei rapporti economici e sociali, la seconda punta – da destra – a restringere gli spazi di democrazia e a consolidare il potere dell’Esecutivo.

Larga parte della classe liberale è sedotta dalle violenze e dalle illegalità compiute dallo squadrismo fascista. La via mediana alla democrazia è abbracciata da pochi. La rivoluzione in Italia, sul modello di quanto accaduto in Russia nel 1917, è un abbaglio, non ci sono le condizioni per realizzarla, ma il Partito comunista d’Italia nasce come organo della rivoluzione mondiale, per quanto i fuochi insurrezionali in Baviera e in Ungheria fossero stati soffocati nel 1919 e, nel marzo 1921, un altro tentativo rivoluzionario in Sassonia sia finito represso dai socialdemocratici.

Queste sconfitte non infrangono la chimera della rivoluzione che anima i comunisti europei, destinati a subire un più stretto controllo sovietico. L’utopia che si è mossa forgia un solido immaginario collettivo che prescinde dalla realtà: lontana dai lunghi stenti dell’economia sovietica negli anni Venti e dalle drammatiche purghe di Stalin negli anni Trenta. La Russia resta là, a indicare la via, simbolo di futura umanità, di solidarietà e di nuovi e più umani legami comunitari.

Senza la forza trainante di questo mito non si può cogliere quello che fu il Partito comunista italiano negli anni Trenta e Quaranta, non si può capire la disponibilità al sacrificio dei suoi militanti nell’intransigente opposizione al fascismo e nel movimento di Resistenza. Per i giovani, all’indomani della Liberazione, il Partito comunista – al contrario del Partito socialista – è il partito che non si è mai arreso pagando lo scotto più alto alla dittatura e alla lotta contro i nazifascisti.

Poi, nel dopoguerra, quel partito di rivoluzionari di professione si trasforma in un partito di massa, tale è l’obiettivo di Palmiro Togliatti enunciato a Salerno nel 1944. Dal Dna rivoluzionario, con il quale è sorto il partito, il rapporto con la pratica democratica non è né immediato né del tutto sincero, ma è imposto dalla situazione internazionale che impedisce uno sbocco rivoluzionario nel nostro Paese. Palmiro Togliatti, proprio in quel 1944, capisce il contorno d’azione nel quale si potrà muovere e lavora per trasformare l’originaria natura del partito cambiandone gli obiettivi e lanciando la parola d’ordine della democrazia progressiva.

Le successive segreterie di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer (che arriva a rinnegare l’Unione Sovietica) consolideranno questo percorso rendendo il Partito comunista italiano un vettore di democrazia che, nei suoi anni più luminosi, ha caratterizzato per efficienza e trasparenza le regioni e i comuni che ha amministrato rifuggendo da settarismi e astratti ideologismi, senza per questo dimenticare la tutela delle classi sociali più deboli.

domenica 17 gennaio 2021

I ‘patrioti’ Usa combattono nemici inesistenti. Che vivano fuori dalla realtà (come Renzi)?

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia Occulta - 17 Gennaio 2021 Loretta Napoleoni

In Italia c’è la crisi di governo e negli Stati Uniti c’è stato un tentativo di insurrezione contro lo Stato. La pandemia non ferma né i profittatori né gli stupidi, perché bisogna solo che essere stupidi a credere di poter rovesciare i risultati elettorali americani assaltando il congresso e facendosi i selfie nell’ufficio di Nancy Pelosi, il presidente della Camera. Naturalmente solo i profittatori tirano il tappeto da sotto i piedi del governo in un paese dove ogni giorno muoiono almeno 500 persone di Covid.

Se la classe politica italiana è conosciuta nel mondo per le pugnalate alla schiena di chi guida la nazione, che spesso portano ai rimpasti dei ministri o anche alla caduta dei governi, gli americani fanno sorridere per il loro sfrenato patriottismo. E’ importante sottolineare questo aggettivo perché essere patrioti non è un difetto, al contrario, riconoscersi nella propria nazione è segno che si è soddisfatti di come questa viene gestita, anche orgogliosi. Il problema è quando si immaginano nemici inesistenti che minacciano la patria, forze oscure contro le quali il vero patriota deve agire con forza e determinazione.

La retorica dell’ultra destra americana che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca è sempre stata intrisa di sfrenato patriottismo alimentato dalla certezza che i veri patrioti sono principalmente loro, i seguaci di gente come Steve Bannon, i bianchi ed gli ultra conservatori. Convincerli che le elezioni sono state frodate, che il vincitore è stato Trump e non Biden, è stato un gioco da ragazzi. Sui social l’ultradestra ha una vastissima varietà di canali di fake news dove circolano le storie più incredibili alle quali che chi li frequenta giornalmente crede ciecamente.

Nel 2016 Edgar Maddison Welch viaggiò dalla Carolina del sud a Washington D.C. Con sé portava pistole e fucili necessari per entrare a forza nella pizzeria Comet Ping Pong. Il motivo? Aveva letto su diversi siti che nel suo sotterraneo c’erano imprigionati bambini che venivano torturati durante cerimonie sataniche. Il giovane patriota li voleva liberare e sottrarre a Hillary Clinton, grande sacerdotessa dei riti satanici. Durante il processo Edgar Maddison Welch scoppiò in lacrime mentre spiegava di aver veramente creduto a quanto aveva letto e cioè che la Clinton bevesse il sangue dei bambini.

Storie assurde come questa sono all’ordine del giorno nel mondo della dietrologia dell’ultradestra americana, alimentano la certezza che l’America è costantemente al centro della lotta tra bene e male, tengono in vita l’idea che la rivoluzione e la guerra d’indipendenza siano realtà permanenti perché la nazione è costantemente nel pericolo di cadere vittima di nemici che la vogliono soggiogare. Che questi siano gli inglesi del 17esimo secolo, i giganti di Wall Street o Black Lives Matter è irrilevante, ciò che conta è sentirsi sempre nel mirino del nemico. Chiaro che il diritto alle armi contribuisce ad alimentare questa follia, bisogna averle per difendersi.

In passato gli ultras della destra non votavano, rifiutando di riconoscersi in uno dei due partiti ma da quando George W. Bush è arrivato alla Casa Bianca con i voti dei fondamentalisti cristiani il partito repubblicano ha iniziato a corteggiare l’estremismo di destra. E Trump ne è diventato il profeta, il messia della nebulosa di gruppi di esaltati come QAnon, i cui membri compaiono in prima linea nell’assalto al congresso, gruppi che credono nelle storie più assurde, inclusa quella che Trump sia stato scelto da Dio per riportare la nazione alla sua gloria, make America great again, insomma. Altro che patrioti, questi estremisti assomigliano ai seguaci dello Stato Islamico anche loro convinti di essere chiamati a combattere da Dio.

Possibile che nel XXI secolo nella nazione più ricca del mondo ci sia gente che ancora crede a queste assurdità? Incredibile, ma vero, come il tentativo di Renzi di far cadere il governo nel bel mezzo della terza ondata di pandemia perché non fa politica ma giocherella con Twitter. Viene spontaneo domandarsi se anche lui, come l’ultradestra americana, vive in un altro mondo dal nostro.

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