sabato 9 marzo 2019

Italia e UE, rapporto in crisi: la battaglia è inevitabile

Fonte: W.S.I. 8 Marzo 2019, di Daniele Chicca

I rapporti tra Italia e Unione Europea non sono mai stati così incrinati. A compromettere le relazioni tra il blocco europeo e uno dei suoi paesi fondatori sono stati una serie di episodi critici. A esacerbare i quali contribuisce l’avvicinarsi dell’appuntamento con le elezioni europee per rinnovare l’europarlamento a fine maggio.
Il governo giallo verde, guidato da due partiti euroscettici, sta alzando i toni della campagna elettorale contro le forze filo europeiste. A crescere è anche la posta in palio. Mettendo in discussione l’unità europea, i cui trattati di Roma festeggiano questo mese i 62 anni, l’Italia spera di ottenere concessioni.
L’Europa da parte sua si troverebbe costretta a una scelta difficile nel prossimo futuro: salvare l’Italia oppure lasciare che esca dall’area euro. Una soluzione che Francia e Germania però non possono permettersi.
Crisi duplice: geopolitica e politico-economicaLa crisi è duplice, geopolitica e politico-economica. Sul primo aspetto, Roma sta sfidando Bruxelles su più fronti. Correndo il rischio di rimanere isolata. Lo sta facendo con un accordo con la Cina per la costruzione della Via della Seta, preso in maniera indipendente. Con il rifiuto a riconoscere la legittimità del leader dell’Opposizione Juan Guaidò in Venezuela o con le divisioni sulla gestione dei migranti.
Oppure ancora opponendosi alle nuove sanzioni contro la Russia. Oppure ancora dando il suo sostegno alle proteste anti governative dei Gilet Gialli in Francia. Quest’ultima mossa, di cui è responsabile la leadership del MoVimento 5 Stelle, ha spinto il governo francese a richiamare l’ambasciatore a Roma. Si è trattato di una decisione drastica e grave, che ha raggelato i rapporti diplomatici tra le due potenze europee.
Da un’altro punto di vista la crisi poggia le sue radici nell’economia. L’Italia è scivolata ancora una volta in recessione tecnica. Dopo quelle del 2008, del 2011 e del 2012. Le banche non hanno ancora risolto i propri problemi finanziari. La crisi dell’economia italiana, che come ha detto Mario Draghi sta rallentando quella di tutta l’area euro, rischia di mettere a repentaglio il sistema bancario europeo.
Scenario peggiore: bivio tra emulare la Grecia o ItalexitNello scenario peggiore, se le condizioni economiche e le tensioni politiche dovessero protrarsi nel tempo, Bruxelles a un certo punto dovrà prendere una decisione: salvare l’Italia e l’Europa da una nuova crisi, oppure dare una punizione esemplare al governo per le sue politiche economiche e geopolitiche indipendentiste e sovraniste. Nel primo caso si potrebbe aprire addirittura uno scenario simile a quello dell’ultima crisi in Grecia.
Anche il governo Conte si troverà davanti a un dilemma corneliano: piegarsi alla volontà europea e sconfessare l’opera compiuta fin qui, vendendo l’anima al “diavolo eurocrate”, oppure rifiutarsi di accettare l’aiuto di Bruxelles. In caso di Italexit, le conseguenze a breve termine sarebbero molto pesanti per gli italiani e i loro risparmi.
Entrambe le decisioni sarebbero dolorose. I problemi, come sempre, sono di natura principalmente economica. Negli ultimi 25 anni la crescita del Pil del’Italia è stata sottotono rispetto alla media europea. Ma prima, durante il boom economico degli Anni 60 e 70, l’economia andava a gonfie vele. Nel 1987 il Pil ha fatto persino meglio del Regno Unito.
Italia, la crisi del 2008 non è mai stata superataI tempi sono cambiati in fretta negli Anni 90 e già prima l’introduzione dell’euro nel 1999 l’economia era debole rispetto a quella degli altri stati membri fondatori dell’UE. La moneta unica e la globalizzazione hanno peggiorato le cose per un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni del Made in Italy e dagli affari delle piccole e medie imprese. Dall’avvento dell’euro l’Italia ha registrato un’espansione di appena il 9%.
La verità è che la crisi del 2008 in Italia non è mai stata veramente superata. Nonostante i tassi negativi in Eurozona, per le banche è più conveniente lasciare i soldi depositati presso i forzieri della Bce piuttosto che investire nelle aziende o famiglie italiane che potrebbero non riuscire a ripianare i debiti. I crediti deteriorati, sebbene siano stati ridotti negli ultimi anni, ammontano ancora a €185 miliardi (dati di fine 2017). È una somma record in UE e rappresenta un quarto dei non-performing loan totali dell’area euro.
La posizione dell’Italia da quando si è insediato il governo di M5S e Lega è quella di varare misure espansive malgrado i livelli alti di debito. Sfidando i vincoli di bilancio europei, la controversa manovra ha imposto un coefficiente deficit Pil più alto del 2% ne 2019 (2,04%).
L’idea dell’esecutivo è che per risolvere gli annosi problemi italiani bisogna aumentare gli investimenti, gli aiuti alla popolazione e gli incentivi del governo (vedi flat tax, reddito di cittadinanza e quota 100). Ma il debito è pari a più del 131% del PIL e la Commissione UE ha avvertito che potrebbe prendere provvedimenti disciplinari.
Banche francesi hanno centinaia di miliardi di debito italiano a bilancioAlla luce della minaccia dell’organo esecutivo dell’UE di avviare una procedura di infrazione, l’Italia deve fare una scelta. Consapevole che l’UE non può e non vuole spingere il paese in default, visto che a rimetterci sarebbero le banche tedesche e francesi, che hanno in pancia centinaia di miliardi di euro di debito italiano, può provare a forzare la mano.
La Commissione europea potrebbe rischiare di spingere il paese sull’orlo della bancarotta per portare a un cambiamento politico a Roma. Approfittando delle piccole crepe che si stanno aprendo in seno alla coalizione della maggioranza, per esempio sul caso della linea TAV Torino-Lione. L’Italia da parte sua potrebbe minacciare di dichiarare default sul suo debito, o l’uscita dall’euro.
Insomma, alla luce degli ultimi sviluppi macro e geopolitici, una partita del gatto e del topo tra Italia e Unione Europea sembra sempre più inevitabile.

giovedì 7 marzo 2019

Euro: chi sono gli italiani che si sono arricchiti con l’austerity

Fonte: W.S.I. 7 Marzo 2019, di Alessandra Caparello

Non tutti gli italiani hanno sofferto per l’euro e l’austerità. Secondo quanto riportato da Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su Libero Quotidiano la classe dirigente, sia imprenditoriale sia nei media, nella politica, nella magistratura, è fatta di gente che ha tanti soldi da parte.
“Il sistema dell’euro e dell’austerità preserva ed accresce i loro conti. Per loro la crisi è un fatto relativo, che non li tocca personalmente”.
Se negli ultimi dieci anni il Pil dell’Italia è aumentato di 100 miliardi, una cifra irrisoria, la ricchezza finanziaria invece (soldi, conti, titoli, polizze) è aumentata di 1,100 miliardi, dieci volte tanto. Secondo i due giornalisti difatti, gli italiani hanno una ricchezza netta (al netto dei debiti) pro capite tra le più alte al mondo, maggiore dei tedeschi e degli inglesi e leggermente superiore anche a quella dei francesi.
La ricchezza in banca è aumentata
La ricchezza in euro in banca invece, dopo esser scesa inizialmente sui 3,200 intorno al 2009 è tornata ad aumentare di 1,100 miliardi, e ora è di 4,300 miliardi. Questo perché i valori dei titoli sono aumentati sui mercati grazie alle politiche della Bce e perché gli italiani hanno risparmiato molto di più (…)
Il dato della ricchezza finanziaria mostra in definitiva una cosa, sottolineano i giornalisti. “Non è vero che tutto è andato male in questi anni, una parte della popolazione, quella più benestante e anziana non ha sofferto troppo”.
“Se parliamo della ricchezza immobiliare invece sì, in Italia i valori degli immobili sono scesi e non si sono più ripresi (…) la politica di austerità, a cui ci ha costretto l’Ue ha avuto l’effetto di far aumentare la rendita, la ricchezza finanziaria, a scapito della produzione e del lavoro.
La ricchezza, i “soldi in banca“, sono però sterili, non producono niente se non altri soldi tramite interessi e capital gain, che però alla fine sono una tassa indiretta su chi lavora e paga le tasse su quello che produce.

mercoledì 6 marzo 2019

Brexit, May flirta con i laburisti: promette diritti ai lavoratori

Fonte: W.S.I. 6 Marzo 2019, di Alberto Battaglia

Theresa May conferma la strategia, flirtare con i laburisti promettendo nuove tutele per la classe lavoratrice, in cambio di un prezioso voto a favore del Brexit deal. Il prossimo meaningful vote della Camera dovrebbe avere luogo entro il 12 marzo. Il primo ministro britannico ha ribadito la linea, in un tweet:
“Il Regno Unito ha una orgogliosa tradizione nell’aprire la strada ai diritti dei lavoratori. Ecco perché abbiamo promesso nuove misure per proteggere e migliorare tali diritti mentre stiamo lasciando l’Ue, dando al Parlamento, ai sindacati e alle imprese un maggiore ruolo nel plasmare i diritti dei lavoratori dopo la Brexit”, ha dichiarato May.
Downing Street afferma che dopo Brexit il parlamento britannico potrà votare i miglioramenti ai diritti dei lavoratori introdotti dall’Ue, una volta che la legge comunitaria non sarà più direttamente applicabile nel Regno Unito, ha spiegato Euronews.
Finora la posizione ufficiale del Labour si è dimostrata scettica in merito alle proposte di May, bollate come “retorica vuota”. Ma il parlamentare laburista, Jim Fitzpatrick ha commentato con favore il pacchetto del primo ministro, annunciando che potrebbe rendere meno indigesto il Brexit deal.
“Oggi il governo si è impegnato a introdurre nella legislazione il diritto, riconosciuto al Parlamento del Regno Unito, di prendere in considerazione eventuali cambiamenti futuri nella legislazione dell’Ue che rafforzino i diritti dei lavoratori”, ha scritto Fitzpatrick su Huffington Post. “Non solo, il governo si è impegnato ad adottare la ‘direttiva sull’equilibrio della vita lavorativa’, anche se entrerà in vigore dopo che il Regno Unito avrà lasciato l’Ue”. In conclusione “esaminerò nuovamente l’accordo sulla Brexit la prossima settimana – sostenuto dalle concessioni sui diritti dei lavoratori – e invito caldamente i miei colleghi parlamentari laburisti a fare lo stesso”.

martedì 5 marzo 2019

Il clima è cambiato. Le mosche lo hanno capito, Trump no

Fonte: Il Fatto Quotidiano Ambiente & Veleni | 4 Marzo 2019  

Capisce più una mosca o l’uomo più potente del mondo?
Sei a 2.100 metri, sui crinali della Val di Susa. Sei scappato per un attimo alle dispute sul Tav per cercare il freddo e la neve vicino alla baita dove da ragazzo venivi in vacanza. Non ci sono più le voci dei compagni di allora, soltanto il silenzio luccicante di mezzogiorno, un tramestio che viene dal bosco di larici. Forse un cervo. Stai lì, cerchi di non fare niente. Proprio niente, neanche pensare. Soltanto respirare, ascoltare, guardare. Esserci e basta. Per pochi minuti, giusto il tempo che le gocce cadendo dall’albero magari scavino un piccolo spazio anche nel ricordo. Poi tornerai a valle, laggiù dove vedi passare auto, muoversi puntini minuscoli. Ma per qualche minuto non ti riguardano, sei qui dove nessuno ti vede, nessuno sa che esisti. Proprio come una pianta, un sasso. Così.
Ma c’è qualcosa che ti distrae mentre cerchi soltanto di seguire le linee scure delle montagne. Un movimento minimo, quasi impercettibile. Si agita sulla neve, salta, sembra che voli. Non è una foglia, è vivo.
Pare proprio una mosca. Possibile? Qui, a più di duemila metri, in pieno inverno? Sì, e sembra più sorpresa di te. Zampetta cauta sulla superficie bagnata che a ogni passo potrebbe inghiottirla. La neve, probabilmente non l’ha mai vista prima. Eppure non è la sola, altri insetti sono usciti dai loro nascondigli, hanno lasciato l’involucro di larve e girano nell’aria. Mentre noi cerchiamo ancora l’inverno nella neve che si scioglie, marcisce (deslengue, direbbe De André in genovese); che seguiamo le piste fasulle tracciate dai cannoni.
Ma le mosche no, non si lasciano ingannare. L’inverno che forse non era mai davvero arrivato è già finito.  Non era mai successo. Le mosche all’inizio di marzo… in mezzo alla neve!
E allora te ne accorgi: questi insetti di un centimetro hanno capito qualcosa che noi non riusciamo ad accettare. È cambiato il clima, stanno cambiando il mondo e la vita. E siamo stati noi, se solo ti volti verso est vedi la cappa grigia dello smog che opprime la Pianura Padana e le città.  Sembrano dirti che soltanto chi se ne accorgerà per tempo riuscirà ad adeguarsi e magari a salvarsi.
Del resto lo scriveva anche Joseph Conrad nell’Agente Segreto: “Sentì contro il vetro di una finestra il debole ronzio di una mosca – la prima dell’anno – che annunciava l’avvicinarsi della primavera meglio di uno stormo di rondini. Quell’organismo minuscolo con il suo agitarsi inquieto”. Già, ma chissà se saremo abbastanza umili da ascoltare il consiglio di un insetto. La mosca che svolazza rattrappita cercando la cacca secca di una mucca ha capito quello che nemmeno il presidente Trump sembra aver ancora afferrato.
Ambiente & Veleni | 4 Marzo 2019

lunedì 4 marzo 2019

Germania difende Bail-in ma sua banca ha buco tre volte Banca Carige

Fonte: W.S.I. 4 Marzo 2019, di Alessandra Caparello

L’Unione Europea che si occupa dell’italiana Banca Carige dopo la ricapitalizzazione fallita di 400 milioni di euro dovrebbe volgere lo sguardo anche più a nord, in Germania, dove l’istituto NordLB deve fare i conti con un buco di bilancio potenzialmente tre volte più grande dell’omologo italiano.
Le autorità tedesche hanno stabilito che NordLB venga messa in sicurezza con 3,7 miliardi di euro complessivi, di cui 1,5 in arrivo dal Lander primo azionista, ossia la Bassa Sassonia. Altri 1,2 miliardi arriveranno invece dal fondo interbancario delle Sparkassen (le casse di risparmio tedesche). A ciò potrebbe aggiungersi un ulteriore miliardo di risorse pubbliche.
I risparmiatori non metteranno mano al portafoglio, dunque. Nel senso che a pagare saranno gli azionisti (pubblici). Il governo regionale (Land) detiene il 59%. Come per Alitalia è previsto un intervento della Commissione europea per eventuali misure compensative a favore del mercato.
C’è chi ha fatto notare che si tratta di un salvataggio che non segue le regole puntuali del bail-in, che prevedono, in caso di difficoltà di una banca, che siano anche gli obbligazionisti e i correntisti con oltre €100.000 a sborsare tale somma per coprire le lacune di finanziamento. Per cui a partecipare alle perdite sono, nell’ordine, azionisti, obbligazionisti e correntisti con oltre 100 mila euro. Cosa che non succederebbe per la NordLB, banca pubblica, che verrebbe salvata di fatto con i soldi dei contribuenti.
NordLB, verso aumento di capitale di emergenzaIl rapporto patrimoniale Tier 1 di dell’11,8% è abbastanza buono. Tuttavia la banca deve mettere da parte accantonamenti sui prestiti più alti del 43% di valore di facciata attuale. A causa dei bassi tassi di interesse, difficilmente la banca ci riuscirà in maniera organica. Il return on equity è di appena l’1,6%.
Portare i cuscinetti di copertura dei prestiti deteriorati a un più realistico 60% vorrebbe dire 1,2 miliardi di accantonamenti. In quel caso il CET1 di NordLB scenderebbe al 9,2%, sotto la soglia fissata dalle autorità di regolamentazione. Per rafforzarsi potrebbe fondersi con concorrenti più attrezzate come Commerzbank o la banca a controllo statale Helaba. Ma i colloqui in merito sono scemati.
In teoria se le cose rimanessero così, la banca dovrebbe ricorrere alla risoluzione di bail-in. Ma siccome tra i soci azionisti e i creditori figurano l’amministrazione regionale, cui fa una capo una quota del 59%, e casse di risparmio tedesche che rischiano di subire perdite pesanti qualora i 5,6 miliardi di capitale della banca andasse in fumo.
La banca sarà invece probabilmente salvata con fondi pubblici e gruppi di private equity che parteciperebbe a un aumento di capitale di emergenza.
Bail-in: le dichiarazioni del ministro tedescoProprio sul bail-in, in Italia hanno creato un caso le parole di Giovanni Tria. Il ministro delle Finanze e dell’Economia ha detto nei giorni scorsi che quelle norme furono un ricatto della Germania – e nella fattispecie del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble – nei confronti dell’allora titolare del MEF Fabrizio Saccomanni. Tria ha quindi invocato una revisione della disciplina.
Cosa tra l’altro sostenuta anche da tempo dal numero uno dell’Abi, Antonio Patuelli. Qualche giorno fa anche Bankitalia si è espressa in merito, affermando, tramite il responsabile della vigilanza della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo, che l’entrata in vigore del bail-in avvenuta nel 2016, è stata precipitosa.
All’epoca dei fatti contestati da Tria, Schaeuble diede nel marzo del 2016 la sua benedizione a un documento elaborato dal Consiglio dei cinque saggi economici che affiancano la Cancelliera Angela Merkel. Prendendo spunto dalla crisi del debito sovrano della Grecia, il testo forniva la sua ricetta affinché non si ripetesse mai più una crisi finanziaria.
Ministero Economia tedesco difende il bail-inPrima di consentire qualunque salvataggio pubblico con capitali dei contribuenti e degli Stati dell’Unione europea, sarebbero stati i creditori a dovere pagare il conto, come nei bail-in bancari.
Oggi Reuters riporta le dichiarazioni del portavoce del ministro tedesco delle finanze che difende a spada tratta le regole del “bail-in” definite uno strumento cruciale.
“Le regole del bail-in che abbiamo elaborato sono una delle lezioni chiave della crisi finanziaria: sono lì e saranno rispettate”.

domenica 3 marzo 2019

Le notizie sono diventate noiose

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia Occulta | 3 Marzo 2019 
La caratteristica principale delle notizie ormai è la ripetitività. Spieghiamo bene cosa significa questa frase. Dalla fase catastrofica o eccezionale di come gli eventi principali vengono riportati, vedi Brexit, elezione di Trump, vittoria elettorale del Movimento 5 stelle in Italia, incontro storico tra Trump e Kim e così via, si passa alla fase dello stallo, il tempo passa, previsioni e promesse non solo non si avverano ma vengono ripetute, rianalizzate, ri-interpretate continuamente senza mai arrivare a una conclusione, a una svolta. L’evento eccezionale finisce per essere spalmato nel tempo per mesi, anni, anche decenni (le conseguenze della crisi finanziaria). È come se le pagine della storia futura fossero state incollate e non si riuscisse a voltare pagina. Risultato: le notizie sono diventate noiose.
I temi che si dibattono sono sempre gli stessi sia a livello internazionale: i cambiamenti climatici, la guerra tariffaria tra Usa e Cina, la crisi dell’immigrazione, il ruolo predominante della Cina nell’economia mondiale, le tensioni nel Medio Oriente, l’avanzata del potere di Putin, persino l’Isis è una fenice che risorge continuamente dalle sue ceneri. Sia a livello nazionale: il reddito di cittadinanza, che fare della riforma Fornero, i rapporti tra Bruxelles e Roma, le previsioni al ribasso del Pil italiano. La storia è congelata come il castello dove per cento anni la bella addormentata giaceva insieme a tutti i suoi abitanti. Ma di principi in giro non se ne vedono!
Eppure il mondo continua a girare, le guerre ci sono e si combattono, le rivoluzioni avvengono, le alluvioni spazzano via intere regioni, i fuochi bruciano milioni di ettari di terra, i governi cadono e nuovi volti arrivano alla ribalta. Stranamente nessuno di questi cambiamenti è sufficiente a produrre una svolta. È come se tutto ormai sia scontato e la popolazione mondiale sia in preda a un virus micidiale, il cinismo.
In parte questo fenomeno è dovuto al bombardamento di fatti veri o finti da parte dei media, le celeberrime notizie delle 24 ore, inventate dalla Cnn. In parte i social media ci inchiodano di fronte alla ripetitività delle opinioni della moltitudine, gratuitamente offerte dagli influencer e dai loro follower, miliardi di persone che costantemente battono sulle tastiere dei telefonini o dei computer per divulgare le loro opinioni. In questa cacofonia verbale e visuale in cui tutti devono dire qualcosa o mostrare qualcosa, i fatti, la storia, quella vera, scompaiono. Non c’è da meravigliarsi, il nostro cervello è incapace di processare e assimilare un volume talmente vasto di informazioni, discernere tra quelle vere e false, dalle opinioni utili o inutili, dalle idee geniali e assurde. Insomma c’è troppa carne al fuoco.
Il lavoro del giornalista e della stampa seria in questo contesto diventa quasi impossibile. Dare la notizia ormai non basta più. Dopo pochi secondi i social media la riprendono e la riciclano come vogliono, dopo una mezzora i media tradizionali quella stessa notizia la devono rilanciare sui loro siti online e così si innesca un meccanismo perverso per cui ogni evento continua ad avvenire, a ripetersi in un tempo infinito durante il quale ogni possibile interpretazione viene pubblicizzata, manipolata, re-interpretata fino a quando il lettore, l’utente non ne può più e inizia a disinteressarsi del fatto.
La Brexit è l’esempio più lampante di questo fenomeno, nel Regno Unito la gente è stanca e stufa del tira e molla in Parlamento, dei bisticci tra Londra e Bruxelles, delle previsioni catastrofiche dell’uscita dall’Unione europea e delle dichiarazioni di indipendenza dei sostenitori della Brexit senza accordo. In questo modo la politica, già lontana dall’elettorato, se ne distacca completamente. È questo fenomeno nuovo, legato al trionfo della tecnologia mediatica, che paradossalmente si pensava avrebbe creato la democrazia diretta e dato potere vero alla moltitudine, che sta erodendo la democrazia, fomentando un qualunquismo da sfinimento.
In questo contesto un nuovo referendum nel Regno Unito non produrrebbe un risultato migliore del primo, anzi, molto probabilmente è vero il contrario perché c’è meno chiarezza sui pro e i contro della Brexit di quanta ce ne era due anni fa e perché meno gente andrà alle urne. Discorso analogo vale per la presidenza Trump, gli scandali sono talmente tanti che non hanno più effetto sull’elettorato.
Un esperimento da fare è il seguente: spegnere le app di Facebook, Twitter e delle varie emittenti della stampa sul telefonino e accedere alle notizie due volte al giorno, al mattino e alla sera. Altra strategia: guardare un talk show alla settimana invece di fare indigestione ogni giorno. Interessarsi alle notizie locali, che succede nella mia città, nel mio quartiere? Cosa si può fare per migliorare? Partecipare di più alla vita sociale locale, parlare con la gente, interagire di più. Ripartire dalla base, insomma. Chissà, forse dopo qualche mese saremo in grado di capire meglio cosa succede intorno a noi ed avere una nostra opinione.
Economia Occulta | 3 Marzo 2019

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