venerdì 20 ottobre 2017

In Italia l’inquinamento uccide più che negli Usa. 9 i milioni di morti nel mondo all’anno

Green report ([20 ottobre 2017]) di Luca Aterini

Quindici volte più di guerre e conflitti, oltre il triplo rispetto a Aids, tubercolosi e malaria messe insieme: è l’inquinamento il grande killer che l’umanità si auto-inflitta, in grado di provocare (nel solo 2015) 9 milioni di morti premature a livello globale, il 16% di tutti i decessi nel mondo. In altre parole, un sesto di tutte le morti al mondo, quota che sale ancora (dati Oms) a 12,6 milioni allargando il quadro a tutte le morti legate a cause ambientali evitabili. Una tragedia che dunque ci riguarda tutti, ma è tutt’altro che cieca. Il 92% delle morti legate all’inquinamento è circoscritto ai Paesi a reddito medio-basso, e ovunque l’aria, l’acqua e il suolo inquinati opprimono in particolar modo le minoranze e gli emarginati. L’apoteosi dell’ingiustizia che travalica la morte.

È un mondo sporco e cattivo quello descritto dalla prestigiosa rivista medico-scientifica The Lancet, la cui Commissione sull’inquinamento e la salute ha appena pubblicato il suo ultimo rapporto. Una pubblicazione che giunge in un’Italia già asserragliata dallo smog ben prima della consueta emergenza invernale, anticipata quest’anno da caldo e assenza di piogge – anch’essi fenomeni legati all’impatto dell’uomo sull’ambiente, attraverso il cambiamento climatico. Un’emergenza che, in ogni caso, parte da lontano. Gli stessi dati elaborati da Lancet ci descrivono come un Paese dove il numero di morti attribuibili all’inquinamento ogni 100mila abitanti (si veda l’immagine a lato, ndr) è superiore a quello registrato in buona parte d’Europa – Francia, Spagna, Portogallo o l’intera Scandinavia, ad esempio – ma anche a quello che affligge l’intero continente americano, Stati Uniti compresi.
«Anche in Italia – commenta al proposito il leader dei Verdi, Angelo Bonelli – un decesso ogni sei è attribuibile all’inquinamento. Infatti secondo l’Istat, la mortalità nel 2014 nel nostro paese è pari a 598.670 morti, e se confrontiamo questo dato con le vittime per inquinamento (secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente) si registra nel 2014 il più alto numero di decessi di sempre pari a 95.930 a causa delle Pm 2,5, NO2 e O3». Si tratta di una realtà molto costosa, oltre che dolorosa, da accettare. A livello globale le perdite di benessere economico legate all’inquinamento sono stimate in 4,6 trilioni di dollari, ovvero il 6,2% della produzione economica mondiale.
Mentre l’inquinamento domestico dell’aria e dell’acqua o le forme di inquinamento associate a profonda povertà e stili di vita tradizionale stanno lentamente diminuendo, l’inquinamento atmosferico, l’inquinamento chimico e l’inquinamento del suolo sono tutti in aumento. Il più grande problema è ancora rappresentato dall’inquinamento atmosferico, individuato come causa di 6,5 milioni di morti all’anno nel mondo, seguito dall’inquinamento idrico e del suolo (1,8 milioni di decessi) e da quello legato al posto di lavoro (0,8). Anche l’inquinamento chimico rappresenta un dramma in crescendo: come ricorda Lancet, oltre 140mila nuovi prodotti chimici e pesticidi sono stati sintetizzati dall’uomo a partire dal 1950, e di questi 5mila che sono stati prodotti in gran volume sono anche stati ampiamente dispersi nell’ambiente rendendosi responsabili di un’esposizione umana «quasi universale». Non sappiamo neanche bene quali siano i loro effetti: meno della metà di questi prodotti chimici sono stati sottoposti a test rigorosi in merito a sicurezza e a-tossicità, divenuti obbligatori sono negli ultimi 10 e anni e solo in pochi paesi ad alto reddito al mondo.
Per quanto drammatica, quella che stiamo vivendo non è una storia dal destino segnato. «La buona notizia – osservano da Lancet – è che un sacco di inquinamento può essere eliminato, e che la prevenzione dell’inquinamento può essere molto conveniente». È la storia a dimostrarlo. negli Stati Uniti, ad esempio, le concentrazioni di sei comuni inquinanti atmosferici sono diminuite di circa il 70% dall’approvazione del Clean air act nel 1970 e, da allora il Pil Usa è aumentato di quasi il 250%: ogni dollaro investito nella lotta contro l’inquinamento dell’aria negli Stati Uniti migliora non solo la salute, ma porta anche benefici economici pari 30 dollari.
Si tratta di continuare a credere, investendo in ciò che già abbiamo dimostrato essere possibile, anche in Italia. Se nel mondo ben l’85% del particolato atmosferico insieme all’inquinamento da ossidi di azoto e zolfo arriva dai combustibili fossili e (nei paesi poveri) da biomasse, come ricordato da ultimo in seno al ministero della Salute in Italia i principali interventi per migliorare la qualità dell’aria devono concentrarsi sul traffico veicolare e sul riscaldamento residenziale: è una partita che possiamo vincere, ma dove occorre investire capitale economico e politico. E oggi il secondo sembra scarseggiare ancor più del primo.

giovedì 19 ottobre 2017

Farmaci, come lo Stato può trasformarli da costo in risorsa

di | 19 ottobre 2017  Il Fatto Quotidiano

Il mercato dei farmaci generici (legali) nel mondo sta vivendo da tempo un autentico boom. Secondo le stime di Quintilesims, riprese da L’economia, l’inserto del lunedì del Corriere della Sera, il mercato dei farmaci generici dovrebbe passare nel mondo dai 267 miliardi di dollari del 2013 ai 442 del 2018, con una crescita annua stabile al 10,6%. Tra i Paesi in forte crescita per il mercato degli equivalenti. Il Giappone punta a raggiungere i dieci miliardi di dollari/anno nel 2018 e di arrivare all’80% delle prescrizioni nel 2020.
I dati pubblicati in questi giorni sulla evasione fiscale attestano che anche in Italia spendiamo non meno di 11,8 miliardi di euro (e in contanti) all’anno per farmaci generici, ma non si tratti di quelli legali ma di quelli psicoattivi affidati in monopolio alla malavita organizzata (mafia, camorra, ndrangheta), di fatto come un brevetto senza scadenza grazie al vigente, quanto inutile, proibizionismo.
L’intera spesa farmaceutica pubblica italiana nel Sistema Sanitario Nazionale (SSN) si aggira ormai a circa 17,7 miliardi di euro/anno (dati 2016). E’ veramente atroce essere quindi costretti alla semplice considerazione che in Italia il consumo di droga in spesa contante equivale a circa i due terzi dell’intera spesa farmaceutica pubblica del SSN. E’ una cifra assolutamente eccezionale e troppo spropositata sulla quale non possiamo continuare tutti a chiudere gli occhi senza fare nulla per contenerla. Non possiamo lasciare che la spesa per droga appartenga solo alla narrazione coraggiosa di Roberto Saviano senza trarne, da tecnici, le necessarie conseguenze di proposte operative politiche.
I nuovi farmaci oncologici, specie quelli che si basano sulla attivazione del sistema immunitario, mostrano un profilo di efficacia interessante ma pongono un serissimo problema di sostenibilità economica dell’intero sistema sanitario pubblico. Occorrono con urgenza non meno di due miliardi di euro l’anno per evitare entro i prossimi due anni il sostanziale collasso dell’equilibrio gestionale della intera spesa farmaceutica.
E’stato proposto (Cipomo) un incremento della tassazione sulle sigarette per recuperare risorse per garantire le migliori cure innovative ai nostri malati di cancro. Ma non sono d’accordo: oltre a essere moralmente non etica come medici, non consentirebbe un recupero adeguato di risorse economiche e avrebbe come unica conseguenza l’incremento del contrabbando.
Il prossimo 12 novembre 2017 sarà una data importante per sottolineare quest’anno d’oro dei farmaci generici, droghe comprese. Dopo quello dei viagra, in quella data scadrà anche il brevetto del Cialis, farmaco per la disfunzione erettile: è stato calcolato che il risparmio per le tasche dei consumatori potrà arrivare anche al 60% del costo attuale. Si stima quindi un risparmio non inferiore ai 600 milioni l’anno “cash” per il solo Cialis.
Lo Stato italiano decenni fa non si vergognò di diventare “spacciatore di droghe” producendo in monopolio sigarette “nazionali”. In questo momento storico in cui lo Stato sta perdendo il proprio equilibrio economico, in particolare per l’esplosione dei costi dei farmaci innovativi sotto brevetto (quasi esclusivamente oncologici), magari si decidesse di trasformare il “costo” farmaco in “risorsa” farmaco, come accade già da tempo in diversi altri Paesi nel mondo.
Sia per farmaci generici efficaci ma venduti  in “outbranding” su Internet senza garanzie di qualità certificata – come i farmaci contro la disfunzione erettile – ma soprattutto per farmaci generici psicoattivi a noi meglio noti come “droghe di abuso”, è giunta l’ora di assicurare una produzione di qualità che per un monitoraggio efficace (almeno 1 consumatore su 4 di farmaci per la disfunzione erettile ha meno di 40 anni e ne fa uso a scopo ricreazionale e non terapeutico) e che lo Stato entri in produzione diretta:
1. i farmaci generici efficaci in qualità produttiva ( tipo cialis e viagra per intenderci)
2. di farmaci biosimilari a basso costo (esempio fattori di crescita ematopoietici)
3. farmaci generici psicoattivi (droghe di abuso tipo hashish) al duplice scopo di recuperare ingenti risorse economiche per sostenere il Sistema Sanitario Pubblico e dall’altro sottrarre ingenti risorse economiche alla malavita organizzata.
Entro due anni il SSN sarà ufficialmente in default innanzitutto per eccesso di spesa farmaceutica ospedaliera oncologica. Allora, se non ora quando?
di | 19 ottobre 2017

mercoledì 18 ottobre 2017

WiFi, crackato il protocollo WPA2

Punto Informatico di Alfonso Maruccia


Il ricercatore Mathy Vanhoef ha svelato al mondo i primi dettagli di KRACKs (o Key Reinstallation Attacks), un modo per sfruttare le gravi vulnerabilità individuate nel protocollo di sicurezza WiFi Protected Access II (WPA2). Si tratta di un problema che coinvolge l'intera industria tecnologica, visto che gli attacchi dovrebbero funzionare su tutte le moderne reti WiFi protette tramite WPA2 e non solo. Ma è ancora presto per farsi prendere dal panico.

Come aveva già anticipato lo US-CERT poche ore prima della pubblicazione del sito Web di KRACKs, le vulnerabilità di sicurezza individuate da Vanhoef riguardano la gestione a "quattro stadi" delle chiavi crittografiche durante la fase di handshake della connessione: durante il terzo stadio, la chiave può essere inviata più di una volta e, con i dovuti accorgimenti, può essere compromessa in maniera completa.
Un malintenzionato a conoscenza dei dettagli delle 10 vulnerabilità usate da KRACKs potrebbe in teoria violare la sicurezza di qualsiasi dispositivo che supporti i segnali WiFi, dice il ricercatore, con tutti i sistemi client soggetti all'abuso (dai gadget mobile Android a Windows passando per OpenBSD) e possibili azioni malevole che includono il furto di dati sensibili e finanziari, installazione di malware, controllo della connessione e molto altro ancora.
il resto su Punto Informatico
 

martedì 17 ottobre 2017

Domanda di petrolio raggiungerà il picco entro il 2030

WSI 17 ottobre 2017, di Alberto Battaglia 
La domanda di petrolio potrebbe raggiungere i livelli massimi entro 13 anni, per via della continua crescita nella diffusione delle auto elettriche e di motori sempre più efficienti sotto il profilo energetico. E’ quanto prevede la Wood Mackenzie in un report nel quale viene previsto il picco della domanda di oro nero entro il 2030. Attualmente, dei 96 milioni di barili consumati ogni giorno, 60 sono destinati al trasporto. “Stiamo diventando sempre più efficienti nell’uso dell’energia”, ha dichiarato l’analista di Wood Mackenzie, Alan Gelder, “le economie crescono in modo meno dipendente dal petrolio e la sua importanza dovrebbe declinare nel tempo”.

L’impatto sulle compagnie petrolifere potrebbe essere grave, se si considera che già adesso gli utili sono ben più modesti rispetto a una decina di anni fa: alcune fra le maggiori compagnie petrolifere (Exxon, Shell, BP, Total, Chevron, Petrobas e Statoil) avevano registrato complessivamente profitti a 99,2 miliardi di dollari nel 2004, mentre nel 2016 la cifra è scesa a 10,5 miliardi.

In prospettiva, il grosso dei cambiamenti avverrà quando le auto elettriche diventeranno mainstream: “Dopo il 2025 le vendite di auto elettriche decolleranno. Più in là si va nel futuro, più saranno le auto elettriche”, ha aggiunto Gelder aggiungendo che entro il 2030 le vetture ibride plug-in avranno una quota globale di mercato del 10%. Alcuni Paesi come Francia e Regno Unito hanno già previsto per il 2040 l’addio alla vendita di nuove auto a benzina e diesel; questo genere di provvedimenti dovrebbe accelerare il passaggio alle auto elettriche.

Un aspetto messo in evidenza dal report riguarda anche le entrate fiscali legate alle tasse sui carburanti: la riduzione nelle vendite di auto dotate dei motori tradizionali rappresenta una sfida per le casse pubbliche, visto che ogni anno il Regno Unito incassa dalla vendita di benzina e gasolio 28 miliardi di sterline. In Italia, l’Iva e le accise sulla benzina hanno portato nelle casse dello stato 38,7 miliardi di euro nel 2016.

Vivere e morire a .... Malta

Ci sono criminali ovunque si guardi adesso, la situazione è disperata". E' la frase finale dell'ultimo post pubblicato sul suo blog dalla giornalista, mezz'ora prima di rimanere uccisa...... non stiamo parlando dell'Italia ma di Malta, ridente isola del Mediteraneo e nuova meta del turismo europeo, e dove con una bomba nell'auto una blogger, che indagava e faceva denunce contro la corruzione imperante e l'affaire migranti, è stata uccisa. La cronista, 53 anni, aveva indagato sul coinvolgimento di personalità maltesi nei cosiddetti Panama Papers (MaltaFiles), un’inchiesta internazionale indipendente secondo la quale “lo Stato nel Mediterraneo fa da base pirata per l’evasione fiscale in Ue“. E nelle quali nel 2016 era spuntato il nome della moglie del premier laburista maltese, Joseph Muscat, che ha sempre respinto ogni accusa.
.... insomma da un lato potremmo dire che non siamo soli e dall'altro che sempre più è necessario un cambio culturale altrimenti non come italiani o maltesi o europei.. ma come razza umana non abbiamo alcun futuro!!!

domenica 15 ottobre 2017

LE VITTIME DELLA THYSSEN SENZA GIUSTIZIA (PAOLO GRISERI)

IL MINISTRO della Giustizia Andrea Orlando ha sollecitato il governo tedesco ad eseguire la sentenza nei confronti dei vertici Thyssen responsabili del rogo di Torino del 6 dicembre 2007, della morte di sette dipendenti tra atroci sofferenze e della loro agonia durata settimane. Il fatto che anche Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz scontino la pena in carcere, come stanno facendo i loro colleghi italiani condannati in via definitiva diciassette mesi fa, è un principio di civiltà. Un atto di giustizia non solo nei confronti dei familiari delle vittime ma anche, e forse soprattutto, nei riguardi degli italiani e dell’idea stessa che esista un’Europa unica, uniforme nei diritti e nei doveri.

Senza colpevoli di serie A, che rimangono a casa anche dopo una condanna a nove anni di reclusione, come sta accadendo ad Espenhahn, e colpevoli di serie B che dal giorno successivo alla condanna definitiva trascorrono le notti nelle carceri della Penisola.
Per il momento il passo del ministro italiano è una semplice raccomandazione. Non ci sono ragioni, si faceva osservare ieri negli ambienti di via Arenula, per ritenere che il governo di Berlino non intenda eseguire la sentenza nei confronti dei cittadini tedeschi. Ma quello di Andrea Orlando è, al tempo stesso, un avvertimento. L’Italia non può accettare che di fronte a una tragedia dal forte impatto sull’opinione pubblica, come fu il rogo di Torino, possa prevalere e vincere l’ambiguità. Ancora ieri, a dieci anni dal dramma, la madre di una delle vittime, Giuseppe Demasi, quasi implorava che «tutti i condannati paghino per quel che è accaduto. Ce lo chiedono i nostri figli morti, la giustizia è per loro».
Demasi fu l’ultimo ad andarsene. Aveva 26 anni. Furono due mesi di calvario, uno stillicidio di drammi familiari con i funerali che percorrevano le vie del centro cittadino a cadenza settimanale. Chi ha vissuto quei giorni e chi ha partecipato anche da lontano a quel dramma collettivo non può accettare oggi che i principali colpevoli escogitino furbizie levantine, sperino nella lentezza della burocrazia, tentino di farla franca aggrappandosi alle lungaggini di una traduzione dall’italiano al tedesco. Gli stereotipi sono sempre da rifuggire ma è un fatto che nel caso della Thyssen la giustizia di Roma è stata più rapida e inflessibile di quella di Berlino. Per ridare forza all’idea di Europa, oggi non certo in salute, serve che queste ambiguità vengano spazzate via in fretta.
Articolo intero su La Repubblica del 13/10/2017.

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