venerdì 16 novembre 2018

La marijuana uccide le cellule tumorali, lo ammette US National Cancer Institute

Fonte: Il sapere è potere 2
Gli Stati Uniti possono essere a un passo verso la legalizzazione e l’uso ricreativo di marijuana, soprattutto ora che il National Cancer Institute (NCI) ha aggiornato il suo sito nella sezione FAQ (domande e risposte) per includere gli studi comprovanti che la cannabis possa essere riconosciuta come un rimedio naturale per il cancro.

La marijuana uccide le cellule tumorali?

Come riporta Infowars, NCI ha aggiornato la sua pagina per includere vari studi che rivelano come la cannabis “può inibire la crescita del tumore, e come la Marijuana uccide le cellule tumorali,provocando esattamente la morte delle cellule, bloccando la crescita delle cellule, e bloccando lo sviluppo dei vasi sanguigni necessari per i tumori per crescere”, e nel frattempo proteggendo cellule normali e sane.

l’NSC ha dichiarato:

“Uno studio di laboratorio di cannabidiolo (CBD) di recettori estrogeni positivi hanno dimostrato che le cellule del cancro al seno che sono negativi dei recettori degli estrogeni causano la morte delle cellule tumorali mentre ha scarso effetto sulle cellule normali del seno. Gli studi in modelli murini di cancro al seno metastatico hanno dimostrato che i cannabinoidi possono diminuire la crescita, il numero, e la diffusione dei tumori. ”

L’elenco completo fornito dal National Cancer Institute continua:

I cannabinoidi possono inibire la crescita del tumore, provocando la morte delle cellule, bloccando la crescita delle cellule, e bloccando lo sviluppo dei vasi sanguigni necessari per i tumori per crescere. Studi di laboratorio e su animali hanno dimostrato che la marijuana uccide le cellule tumorali, proteggendo le cellule normali.

I cannabinoidi possono proteggere contro l’infiammazione del colon e possono avere un potenziale nel ridurre il rischio di cancro al colon, ed eventualmente nel suo trattamento.

Uno studio di laboratorio di delta -9-THC in carcinoma epatocellulare (tumore del fegato), mostrò che le cellule tumorali sono state danneggiate o uccise . Lo stesso studio di delta-9-THC in modelli di cancro al fegato ha dimostrato di avere effetti anti-tumorali. Delta-9-THC ha dimostrato di provocare questi effetti agendo su molecole piccole che possono anche essere trovate a quelle più gravi di cancro ai polmoni e alle cellule del cancro al seno.

Uno studio di laboratorio di cannabidiolo (CBD) di recettori estrogeni positivi e le cellule del cancro al seno negativo dei recettori degli estrogeni ha dimostrato che ha causato la marijuana uccide le cellule tumorali mentre ha scarso effetto sulle cellule normali del seno. Studi del carcinoma mammario metastatico hanno dimostrato che i cannabinoidi possono diminuire la crescita, il numero, e la diffusione dei tumori.

Uno studio di laboratorio di cannabidiolo in cellule di glioma umano ha dimostrato che quando viene somministrato insieme con la chemioterapia, CBD può rendere la chemioterapia più efficace e aumentare la morte delle cellule tumorali senza danneggiare le cellule normali. Gli studi hanno mostrato che CBD insieme con delta-9-THC può rendere la chemioterapia più efficace.

Questi studi sono considerati dal NCI come preclinici. Erano tutti fatti usando animali. Secondo loro, nessuno studio clinico di consumo di cannabis per il trattamento del cancro negli esseri umani è stato mai pubblicato.

Delta-9-THC e altri cannabinoidi stimolano l’appetito e possono aumentare l’assunzione di cibo.

I Recettori dei cannabinoidi sono stati studiati nel cervello, nel midollo spinale, e nelle terminazioni nervose in tutto il corpo per capire il loro ruolo nella riduzione del dolore.

I cannabinoidi sono stati studiati per gli effetti anti-infiammatori che possono svolgere un ruolo nella riduzione del dolore.

Ma non è tutto, nel mese di aprile, il NIDA ha dichiarato:

“La prova da uno studio sugli animali suggerisce che gli estratti della pianta di marijuana possono ridurre una delle più gravi forme di tumori cerebrali. La ricerca nei topi ha dimostrato che questi estratti, se usati con le radiazioni, aumentato gli effetti cancro-uccisione della radiazione stessa. “

Come possono le agenzie governative concludere quanto sopra e la maggiorparte dei paesi al mondo ancora classificano la marijuana come una “droga senza scopi medicinali”? Forse questo video vi illuminerà sui veri motivi.

Nonostante i numerosi benefici dimostrati della marijuana, la maggiorparte dei Governi di tutto il mondo , inclusa l’Italia la mantengono illegale mentre dall’altro lato si approvano la prescrizione di farmaci costosi con più effetti collaterali e con molto meno ricerca.
 
 

giovedì 15 novembre 2018

Brexit, è il caos: perdite si fanno pesanti per sterlina e banche

Fonte: W.S.I. 15 novembre 2018, di Daniele Chicca

Dopo le dimissioni di tre ministri britannici, in opposizione al testo di un pre-accordo approvato dall’esecutivo di Theresa May, tra cui quello sulla Brexit e sull’Irlanda del Nord, il governo è sempre più in bilico.
Stavolta rappresentati dei Tories fautori della Brexiteer sembrano intenzionati a fare cadere sul serio la testa della leader dei conservatori, che prima del referendum aveva dichiarato di non essere a favore di un’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito, ma che si è ritrovata a dover gestire una situazione sempre più incandescente e confusa.
Il caos politico ha innescato un’immediata reazione dei mercati finanziari. Sul Forex la sterlina cede più dell’1% e scambia in area $1,2771, mentre il Ftse 100 cede più di un punto percentuale.
Per via delle incertezze sul futuro dei rapporti tra Londra e Bruxelles, buona parte degli analisti di Wall Street sono pessimisti sulle prospettive della valuta britannica e prevedono nuove giornate in rosso per sterlina e azionario.
Secondo ING la divisa potrebbe lasciare sul campo un ulteriore 3-4% dopo le dimissioni di Dominic Raab, il capo dei negoziati sulla Brexit. Con il suo addio aumentano infatti le chance di uno scenario ‘no-deal’ stando a quanto riferito dagli strategist Chris Turner e Petr Krpata. Un simile destino potrebbe essere riservato anche alla Borsa della City londinese.
A prendere il posto di Raab dovrebbe essere Michael Gove. Per lo meno gli è stato offerto l’incarico e pare essere il favorito al momento, stando a quanto riferito da fonti beni informate ai mezzi stampa locali.
Il caos legato alla Brexit pesa sulle contrattazioni di tutte le Borse in Europa, anche se sono i titoli inglesi quelli più tartassati dalle vendite. La lettera si abbatte sulle banche inglesi e specie su RBS (vedi grafico).
L’indice paneuropeo EuroStoxx 600 cede l’1% circa, ai minimi intraday dal 31 ottobre, pagando in particolare i ribassi pesanti della Borsa di Londra.

martedì 13 novembre 2018

Sanità, aumentare il potere delle Regioni potrebbe rivelarsi una fregatura per i cittadini

Fonte: Il Fatto Quotidiano Politica | 13 novembre 2018 


La questione del “regionalismo differenziato” di cui ho parlato nei precedenti post rischia di tradursi in un’autentica arlecchinata istituzionale e di rivelarsi come una falsa soluzione ai problemi innegabili di governo della sanità. Tradotto: una sonora fregatura per i cittadini e nello stesso tempo, una questione politica divisiva tra Lega e Movimento 5 stelle.
Il ministro degli Affari regionali Erika Stefani ha depositato presso la presidenza del Consiglio dei ministri la proposta di legge per la quale il Veneto si dovrebbe portare a casa ben 23 materie attualmente concorrenti con lo Stato tra le quali la sanità. Quindi il Veneto dovrebbe uscire dal servizio sanitario nazionale. Proposta, da quello che sappiamo, per il momento posta in stand by da numerose obiezioni avanzate da più ministeri (Salute, Infrastrutture, Mise e Lavoro, Ambiente e Giustizia).
Perché arlecchinata? La procedura per avere più materie da sottoporre all’autonomia regionale, prevista dalla legge, è uguale per tutti ma le Regioni sono libere di scegliere le materie devolvibili, tutte o in parte, e di scegliere aspetti cioè singoli problemi delle materie devolvibili. L’arlecchinata dipende dall’enorme variabilità delle richieste regionali e dall’impossibilità di dare loro risposte univoche e uniformi. Alle gravi diseguaglianze storiche che abbiamo già si aggiungeranno altre diseguaglianze facendo saltare di fatto il principio di universalità che il diritto alla salute richiederebbe.
Perché dico “una falsa soluzione”? Per tante ragioni:
– perché l’operazione deve avvenire a costo zero cioè alla crescita dell’autonomia regionale non corrisponderà un aumento dei finanziamenti. Il criterio che vale è quello della spesa storica. Se il Veneto fino ad ora per la sanità ha speso l’8%, d’ora in poi gli sarà permesso trattenere la cifra che potrà spendere come vuole, salvo il caso di un commissariamento se non rispetterà i famosi livelli essenziali di prestazioni (Lep) cioè non rispetterà i diritti di legge.
– perché i problemi di governo che hanno le Regioni non sono risolvibili come credono le Regioni solo con una crescita dei poteri. Questi problemi hanno a che fare con profondi mutamenti sociali e economici che richiedono soluzioni riformatrici, un modo di pensare diverso dal passato. Per questo la forma di governo va ripensata rivedendo i rapporti promiscui tra governo e gestione: la soluzione dell’azienda ormai dopo 26 anni di esperienza fa acqua da tutte le parti.
– perché la teoria del decentramento amministrativo non è più in grado di reggere il confronto con le famose sfide della complessità che dobbiamo affrontare.
– perché non ha senso dare più autonomia alle Regioni e riempirle, da Roma con lo spending power, di limiti e vincoli.
– perché, infine, la sostenibilità garantita con politiche di de-finanziamento ci sta mettendo in ginocchio e ormai ci impone di andare oltre il piccolo cabotaggio dell’amministrativismo e delle politiche locali, ecc ecc.
Due convincimenti: il regionalismo differenziato è una soluzione sbagliata a una questione, quella del governo della sanità. Per affrontarlo bisogna spostare la riflessione non sul terreno delle autonomie ma su quello della forma di governo più opportuna e più adeguata. Da questo scaturisce che non si può definire una nuova forma di governo della sanità senza prima scegliere la strategia alla quale si deve attenere. Un conto è definire il governo per gestire e amministrare la spesa e un conto è definire il governo per liberare risorse con degli interventi riformatori. Cosa vogliamo fare in futuro? Amministrare e basta? O riformare e amministrare il cambiamento?
Personalmente ritengo che esiste una mediazione possibile tra la teoria del regionalismo differenziato e la necessità di non rovinare un sistema sanitario – che deve restare – nazionale, solidale, universale. Le soluzioni ci sono. Tale mediazione va ricercata ora prima che non si rompano le relazioni nel governo e prima di dare il via a proposte di legge, che inevitabilmente darebbero luogo a conflitti non solo nella politica ma nel paese.
Alla Lega ricordo che è diventata un partito nazionale e che quello che si fa in Veneto si ripercuoterà nel resto d’Italia. Se il Veneto o altre regioni uscissero dal servizio sanitario nazionale peggiorerebbero le condizioni delle Regioni più deboli.
Al Movimento 5 stelle invece ricordo che l’autonomia è un valore ma essa non può essere fraintesa con l’arbitrarietà e non può essere il pretesto per mettere in piedi pericolose concentrazioni di potere o peggio ancora per amministrare le professioni quindi a scapito di altre autonomie. Un’autonomia che non genera autonomia è una finta autonomia. Oggi per ragioni di complessità le forme di governo di stampo centralistico – a qualsiasi livello siano collocate – devono aprirsi alla partecipazione delle professioni e dei cittadini. Quindi vanno ripensate nelle autonomie.
Cerchiamo insieme questa mediazione ed evitiamo di fare stupidaggini.
PS. Siccome non è agevole trattare in modo esauriente la questione del regionalismo differenziato in un post, rimando per gli approfondimenti agli articoli pubblicati on line su Quotidianosanità.it 

Politica | 13 novembre 2018

lunedì 12 novembre 2018

Manovra, la Ue difende se stessa. Tirarla per le lunghe potrebbe aggravare i costi per l’Italia

Fonte: Il Fatto Quotidiano Zonaeuro | 12 novembre 2018  

Domani il governo risponderà alla Commissione Ue, che nelle scorse settimane ha sottolineato non solo l’incompatibilità del Def italiano con le regole europee, ma anche che “per la prima volta un paese membro sceglie deliberatamente di divergere, anziché convergere, verso i suoi obiettivi di medio termine”. Obiettivi – scrive Marcello Messori su Repubblica – “unanimemente approvati (a torto o ragione)… al fine di rassicurare gli altri Stati membri sulla stabilità dell’Unione. La ragione del contendere non riguarda, quindi, pochi decimali (pur rilevanti) di deficit pubblico, ma i principi di fondo che stanno alla base del coordinamento europeo delle politiche fiscali nazionali”. Se l’Italia non modificherà la manovra, anche alla luce del mutato scenario macroeconomico internazionale, ciò “renderebbe inevitabile l’apertura della procedura per deficit eccessivo che… richiederebbe correzioni annue [fino a] 55-60 miliardi [per molti anni]… aprendo un grave conflitto e… minando [definitivamente] la sostenibilità del nostro debito pubblico. È quindi essenziale che non si arrivi all’attivazione della procedura. E la sola via aperta… è ridimensionare… il cosiddetto reddito di cittadinanza e la revisione della Legge Fornero… e garantire i limitati investimenti pubblici già preventivati”.
Quando da neo-laureato andai all’IUHEI di Ginevra mi obbligarono a prendere anche un corso non economico, e scelsi “The Great Powers and the Third World” tenuto da Harish Kapur, nell’ambito del quale preparai una tesi (che divenne poi un articolo per una rivista), dal titolo “US-Chile relations: a Simple Model“, nel quale studiavo – grazie soprattutto alla documentazione riservata del Dipartimento di Stato resa pubblica dal Senato Usa a seguito delle inchieste su Nixon – che cosa aveva indotto gli Usa a fare il possibile per destabilizzare il governo populista cileno di Allende (che pure in larga parte si era destabilizzato da solo, ma questo è un altro discorso). Risultò che le preoccupazioni americane erano nell’ordine quella strategica (fermare la penetrazione dell’Urss, e Cuba), economica (molte imprese americane stavano perdendo privilegi), ideologica (gli Usa “soffrivano” la polemica terzomondista contro l’imperialismo yankee ecc., e umanitaria (ma solo le amministrazioni democratiche Usa: si preoccupavano realmente, ma solo come subordinata, dello sviluppo dei paesi poveri, ma per il resto): le preoccupazioni di democratici e repubblicani erano sorprendentemente simili e stabili. Il modello poi ipotizzava la possibilità di generalizzare questi “moventi” a tutte (e due) le grandi potenze (“paesi core”) nei confronti di tutti i paesi “periferici”. Una conclusione era: “according to this model, the first best rational behaviour for a Latin American government would be to violate only one of the three first independent variables at a time, thus managing… the conflict with the U.S.”
L’implicazione di questi risultati per la nostra situazione (Ue/Bce = superpotenza core, Italia = paese periferico) è che se vai contro, simultaneamente, agli interessi strategici ed economici del core devi aspettarti una reazione negativa ‘rigida’ (difatti anche senza che la Unione europaea faccia nulla, i mercati finanziari se l’aspettano: la reazione esagerata degli spread non è spiegabile con un deficit al 2,5%); se poi aggiungi anche una polemica ideologica (che cerca di mobilitare il consenso dal basso contro l’area core) la reazione della superpotenza sarà ancora più forte. Aprire più fronti simultaneamente è sciocco.
Nel caso del governo italiano, attaccare le regole Ue simultaneamente sul piano pratico (con un Def “deviante”) e teorico (la proposta Savona di riforma dell’euro) è già difficile; aggiungere una polemica ideologico-politica (le dichiarazioni concitate e roboanti contro gli spread e i trattati Ue) minimizza le possibilità di successo dell’esperimento giallo-verde. Come quando la Germania attacca simultaneamente l’Inghilterra e la Russia.
Il che mi riporta a Messori: giustamente dedica il suo articolo alle questioni di princìpio (dell’Ue). Sono quelle ora che contano; e su di esse ormai non si può più fare marcia indietro ‘a parole’, senza ritirare anche – temporaneamente – una parte consistente della manovra. Le scelte della Ue non sono immuni dall’influenza della variabile ‘umanitaria’, cioè non è vero che ci vogliono male; è vero il contrario: ma solo come subordinata. La Ue difende se stessa, non tornerà indietro. Il bluff del paese periferico che pretende di muovere apertamente guerra alla superpotenza è ormai scoperto, continuare a tirarla per le lunghe avrà come unico effetto quello di aggravare i costi per il Paese.

Zonaeuro | 12 novembre 2018

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