sabato 16 luglio 2016

Sprechi, carrette e Tav: la lotta di classe sui binari (Antonello Caporale)

5 mila km di rete lasciati morire – L’abbandono delle tratte locali, l’inferno dei pendolari e i progetti faraonici dell’Alta velocità.
Binario unico e, sempre più spesso, binario morto. Sono più di cinquemila i chilometri, ma il conto è decisamente sottostimato, di strade ferrate che vengono lasciate arrugginire, e ogni anno si allunga la lista delle stazioni chiuse, abbandonate, donate ai rovi. Tutti gli incidenti dell’ultimo quarto di secolo sono accaduti su tratte secondarie, e tutti i convogli squarciati sono classificati regionali. Non un euro di manutenzione, non un minuto di attenzione, non un alito di riflessione di quanto sarebbe potuto servire all’Italia avere collegamenti decenti, regolari, sicuri, di come le città avrebbero potuto vivere senza la pressione demografica di chi non ha altra scelta che popolare le periferie perché raggiungere casa è impossibile.
Ogni soldo solo sulle linee più remunerative
Volterra, da quando ha perso il treno, ha subìto il dimezzamento dei residenti: erano ventimila alcuni anni fa, oggi sono la metà. Ferrovie dello Stato, dove non può tagliare, rallenta le opere di manutenzione straordinaria. C’è una frana tra Rogliano e Soveria Mannelli, in Calabria. Sono anni che c’è e anni che nessuno se ne prende cura. È l’omicidio perfetto: la frana non viene riparata, il treno non passa, la linea invecchia, il bus sostitutivo si fa regola.
La scelta è stata cieca: infilare ogni soldo solo sulle tratte più remunerative e più ad alto costo. Collegamenti tra le principali città, e basta così. Sono 15 anni che l’Italia è infiammata dalle polemiche sulla congruità del Tav Torino-Lione. Dieci giorni fa, il ministro Delrio ha spiegato, con una certa naturalezza, che s’era trovato il modo per risparmiare circa 3 miliardi di euro senza nuocere al progetto di trasporto veloce. Così, all’improvviso! E come mai solo adesso?
Terzo valico, tunnel e miliardi alla cieca
E che dire dei costi del terzo valico: miliardi (cinque? sei? sette?) per perforare una galleria alle spalle di Genova. Un tunnel lungo più di 30 chilometri che sbuca nella piana di Alessandria per il trasporto merci. Un’opera faraonica e dichiaratamente esagerata. Non un pensiero, un convegno, una riflessione per rispondere all’obiezione di chi giustamente fa notare che sono già attive tre distinte linee ferroviarie su quella tratta e forse ammodernarle sarebbe costato assai di meno.
Un’Italia in carrozza e una a piedi. Una con l’aria condizionata e superveloce e una intruppata dentro vagoni del secondo dopoguerra. Ma ovunque, all’orizzonte, la linea dello spreco.
Dal Tirreno all’Adriatico non si passa, bisogna fare il giro lungo. In autostrada logicamente. Da Orte al porto di Civitavecchia, il flusso si blocca, quel che ci sta in mezzo, e siamo nella Tuscia viterbese, è mangiato dal tempo, sepolto dalla polvere. Una gran massa di quattrini è stata distrutta in una serie incredibile di malversazioni proprio per restituire ciò che oggi non c’è. L’incolpevole Sardegna è stata teatro della più possente devastazione ferroviaria. Siamo alla fine degli anni Settanta quando le Ferrovie dello Stato, le cui linee sono alimentate con energia a 3 kilowatt, decidono di sperimentare l’alimentazione a 25 kilowatt, molto diffusa nel resto dell’Europa. Scelgono la Sardegna come terra di conquista di questo vettore moderno e una tratta lunga 350 chilometri come teatro delle operazioni. Dopo qualche mese le locomotive, belle e nuove, vengono riportate in continente e trasferite in catene, come boss della mala, tra Foligno e Rimini.
L’odissea delle locomotive
Sono rimaste le 25 locomotive, pegno alla memoria, a dare fastidio. A chi smistarle? Tre macchine, sempre in ceppi, sono trasportate in Ungheria per invitare i magiari a verificarne la qualità. Tecnici italiani vanno in missione, e sembra un film di Totò e Peppino, un classico della commedia napoletana, per tradurre nella lingua locale le indicazioni tecniche stampate in italiano. Niente ancora, neanche i magiari ci stanno: quel presepe non piace a nessuno.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 13/07/2016.

venerdì 15 luglio 2016

.. a Nizza un lupo solitario

Certo, fa impressione la ferocia con cui la Francia è statra colpita nell'utltimo anno. Fa impressione e.. fa pensare.
A prima  impressione voglio solo proporre alcune domande che mi girano per la testa:
  1. Cosa si pagano a fare le tasse se è così facile bucare le maglie della sicurezza che lo Stato ci dovrebbe assicurare, guarda caso però quando vuole, leggi europei, lo Stato è davvero efficiente?
  2. E' così facile prendere un camion, un tir, e fare una strage sulla promenade di Nizza?
  3. Non c'erano lì poliziotti a proteggere e a vigilare che nessuno disturbasse la zona pedonalizzata?
  4. Nessuna avvisaglia, informativa, o altro che lanciasse un alert su questo lupo solitario?
  5. La tecnica usata, come ripetono a ogni pié sospinto, è quella usata dai gruppi del terrore in Israele, un mezzo che si lancia sulla folla (quindi nota a tutti eppure anche ieri ha funzionato).... però in Israele la sicurezza è quasi ovunque e qualche volta si riesce a fermarli. In Francia no?
  6. E' così peregrino pensare che, come da testimonianze sentite su sky, forse quel camion era stato fatto passare per inefficienza o per incuria o.. forse 'doveva' passare e le forze di sicurezza erano state dirottate in altre vie o zone (cosa non nuova visto che l'11/9 l'intera difesa aerea americana era occupata in una mega esercitazione ai confini del Canada che prevedeva.. l'attacco a ad aerei dirottati)?
Sono dietrologia lo so ma non posso non notare, a sostegno di questo domande, che man mano che è salita la protesta dei francesi contro i provvedimenti è aumentato anche il livello dello scontro.. qualcuno potrebbe pensare che 'gatta ci cova' ma siamo già nel campo dei complottisti e se è vero che sono idee estreme è anche vero che almeno una volta su due .. c'hanno preso almeno in parte non tanto nel denunciare quanto nel prevedere comportamenti parzialmente omissivi da parte degli organi preposti alla difesa degli stati nel 'dopo' di un qualche grave avvenimento che investe un paese.
Vedremo..

mercoledì 13 luglio 2016

Ue, ex numero uno della Commissione Barroso va a Goldman Sachs. Funzionari Ue: “Problema etico, rinunci a pensione”

di | 12 luglio 2016dal Fatto Quotidiano


Critiche bipartisan e la richiesta di rinunciare all‘assegno da 15mila euro che riceve ogni mese in qualità di ex presidente della Commissione Ue. Josè Manuel Barroso è nel mirino dopo che, venerdì scorso, la filiale europea della banca d’affari Goldman Sachs ha annunciato la sua nomina a presidente non esecutivo e advisor del gruppo. Il sindacato dei dipendenti delle istituzioni europee, Union for Unity (U4U), in una lettera aperta ha chiesto agli attuali commissari “una dichiarazione forte e decisioni appropriate” sulla questione: formalmente l’ex primo ministro portoghese è libero di passare al settore privato, perché sono passati più di 18 mesi dalla fine del suo mandato, ma da clamore il fatto che continui a percepire una somma mensile pari al 60% di quello che è stato il suo stipendio tra il 2004 e il 2014.
Secondo i firmatari “non si tratta di un banale conflitto di interesse“, ma di “un fatto che rischia di rendere ancora più impopolare la costruzione europea e screditare la nostra istituzione”, alimentando “la propaganda eurofoba”. Inoltre suscita “domande di ordine etico” perché Barroso ha presieduto l’esecutivo Ue “durante la crisi dei mutui subprime, di fatto una crisi bancaria in cui Goldman Sachs ha svolto un ruolo importante”.
Intanto, via Twitter, piovono attacchi da tutte le parti politiche: da Parigi la presidente del Front National Marine le Pen ha scritto che “non è una sorpresa per chi sa che la Ue serve alla grande finanza, non alla gente”, e il segretario di Stato francese per il Commercio estero Mathias Fekl (socialista) ha definito Barroso “rappresentante indecente di una vecchia Europa che la nostra generazione cambierà”. Secondo gli eurosocialisti francesi, che hanno diffuso una nota di commento, l’obiettivo dell’operazione “è chiaramente quello di evitare o aggirare la perdita del ‘passaporto europeo’, in seguito alla Brexit, per le banche basate nel Regno Unito”. Infatti Goldman Sachs International è basata a Londra e, stando alla stampa britannica, conta su Barroso per gestire le conseguenze del divorzio dall’Unione.
Secondo Gianni Pittella, presidente del gruppo dei socialisti e democratici all’Europarlamento, la scelta di Barroso è “deplorevole dal punto di vista politico e morale” e “dopo dieci anni di un governo mediocre dell’Ue, ora l’ex presidente sarà al servizio di quelli che puntano a minare le nostre regole e i nostri valori”. Transparency International ricorda che nel 2010 a Goldman Sachs fu attribuito dall’osservatorio Corporate Europe observatory il premio per il “peggior lobbista della Ue”. Hashtag: #revolvingdoors, cioè “porte girevoli”.
Ufficialmente la Commissione europea, attraverso il portavoce Margaritis Schinas, si è limitata a prendere atto della decisione di Barroso osservando che le “rigide regole” del codice di condotta fissato per i componenti dell’esecutivo europeo per le loro attività post-incarico “non sono state violate”. L’ex presidente ha chiamato Jean Claude Juncker “per comunicargli la sua decisione – ha aggiunto Schinas – e il presidente della Commissione non intende né fare commenti né dare giudizi” sulla decisione del suo predecessore.
di | 12 luglio 2016


 

Ue, ex numero uno della Commissione Barroso va a Goldman Sachs. Funzionari Ue: “Problema etico, rinunci a pensione”

di | 12 luglio 2016dal Fatto Quotidiano


Critiche bipartisan e la richiesta di rinunciare all‘assegno da 15mila euro che riceve ogni mese in qualità di ex presidente della Commissione Ue. Josè Manuel Barroso è nel mirino dopo che, venerdì scorso, la filiale europea della banca d’affari Goldman Sachs ha annunciato la sua nomina a presidente non esecutivo e advisor del gruppo. Il sindacato dei dipendenti delle istituzioni europee, Union for Unity (U4U), in una lettera aperta ha chiesto agli attuali commissari “una dichiarazione forte e decisioni appropriate” sulla questione: formalmente l’ex primo ministro portoghese è libero di passare al settore privato, perché sono passati più di 18 mesi dalla fine del suo mandato, ma da clamore il fatto che continui a percepire una somma mensile pari al 60% di quello che è stato il suo stipendio tra il 2004 e il 2014.
Secondo i firmatari “non si tratta di un banale conflitto di interesse“, ma di “un fatto che rischia di rendere ancora più impopolare la costruzione europea e screditare la nostra istituzione”, alimentando “la propaganda eurofoba”. Inoltre suscita “domande di ordine etico” perché Barroso ha presieduto l’esecutivo Ue “durante la crisi dei mutui subprime, di fatto una crisi bancaria in cui Goldman Sachs ha svolto un ruolo importante”.
Intanto, via Twitter, piovono attacchi da tutte le parti politiche: da Parigi la presidente del Front National Marine le Pen ha scritto che “non è una sorpresa per chi sa che la Ue serve alla grande finanza, non alla gente”, e il segretario di Stato francese per il Commercio estero Mathias Fekl (socialista) ha definito Barroso “rappresentante indecente di una vecchia Europa che la nostra generazione cambierà”. Secondo gli eurosocialisti francesi, che hanno diffuso una nota di commento, l’obiettivo dell’operazione “è chiaramente quello di evitare o aggirare la perdita del ‘passaporto europeo’, in seguito alla Brexit, per le banche basate nel Regno Unito”. Infatti Goldman Sachs International è basata a Londra e, stando alla stampa britannica, conta su Barroso per gestire le conseguenze del divorzio dall’Unione.
Secondo Gianni Pittella, presidente del gruppo dei socialisti e democratici all’Europarlamento, la scelta di Barroso è “deplorevole dal punto di vista politico e morale” e “dopo dieci anni di un governo mediocre dell’Ue, ora l’ex presidente sarà al servizio di quelli che puntano a minare le nostre regole e i nostri valori”. Transparency International ricorda che nel 2010 a Goldman Sachs fu attribuito dall’osservatorio Corporate Europe observatory il premio per il “peggior lobbista della Ue”. Hashtag: #revolvingdoors, cioè “porte girevoli”.
Ufficialmente la Commissione europea, attraverso il portavoce Margaritis Schinas, si è limitata a prendere atto della decisione di Barroso osservando che le “rigide regole” del codice di condotta fissato per i componenti dell’esecutivo europeo per le loro attività post-incarico “non sono state violate”. L’ex presidente ha chiamato Jean Claude Juncker “per comunicargli la sua decisione – ha aggiunto Schinas – e il presidente della Commissione non intende né fare commenti né dare giudizi” sulla decisione del suo predecessore.
di | 12 luglio 2016


 

martedì 12 luglio 2016

Clima, l’Italia sta peggio della media globale. Ispra: temperature a +1.58°C

12/07/2016 di triskel182
Cresce la distanza tra fatti e parole nella lotta al cambiamento climatico.Caldo record soprattutto nelle regioni settentrionali, e precipitazioni in calo: siccità al nord ed eventi estremi al Sud.
I cambiamenti del clima e il riscaldamento globale non rappresentano più una prospettiva lontana nel tempo e nello spazio ma una realtà con cui gli italiani stanno già facendo i conti, pagando un prezzo più salato rispetto alla media globale. A certificarlo con abbondanza di dati è l’XI rapporto della serie “Gli indicatori del clima in Italia” pubblicato oggi da Ispra, che illustra l’andamento del clima nel corso del 2015 e aggiorna la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia.
 

Frutto di indicatori di temperatura e precipitazione derivati da circa 1.100 stazioni distribuite sull’intero territorio nazionale, il rapporto sottolinea che «dal punto di vista termico il 2015 ha segnato il nuovo record della temperatura media annuale», record che finora apparteneva al 2014 e che probabilmente sarà di nuovo superato una volta concluso il 2016.
Per le sempre più esigue truppe degli scettici del cambiamento del clima, l’Ispra ricorda che «a livello globale (terraferma e oceani) il 2015 è stato l’anno più caldo dal 1880 ad oggi», apice di una serie che continua da lustri. «Dal 1986 l’anomalia termica media globale sulla terraferma è stata sempre positiva. Tutti gli anni successivi al 2000 ed il 1998 sono i più caldi dell’intera serie storica».
Questo a livello globale: in Italia sta andando peggio. Se nel 2015 «sulla terraferma l’anomalia della temperatura media globale rispetto al trentennio climatologico di riferimento 1961-1990 è stata di +1.23°C», in Italia questa è arrivata a +1.58°C. Lo stesso dicasi per quanto riguarda i nostri mari: «Il 2015 – sottolinea l’Ispra – si contraddistingue come l’anno più caldo dell’ultimo mezzo secolo anche per aver segnato il record della temperatura media annuale della temperatura superficiale dei mari che bagnano la nostra penisola: con un’anomalia media di +1.28°C, il 2015 si colloca infatti al 1° posto dell’intera serie dal 1961, superando i precedenti record del 2014 e del 2012. Negli ultimi 20 anni l’anomalia media è stata sempre positiva».
Ormai, più che anomalie si tratta del new normal portato dai cambiamenti climatici. Il cui effetto varia a seconda del contesto geografico lungo lo Stivale, mantenendosi però sempre pesante. Distinguendo tra macro-aree geografiche, l’anomalia della temperatura media annuale «è stata in media di +2.07°C al Nord, +1.70 al Centro e +1.28°C al Sud e sulle Isole». Non a caso i nuovi record di temperatura sono stati registrati «soprattutto sulle regioni settentrionali e sulle stazioni in quota dell’arco alpino».
Le stesse zone che, durante il 2015, per il mutare del clima sono state maggiormente colpite dalla siccità. Nell’ultimo anno le precipitazioni cumulate sono state complessivamente inferiori alla media climatologica del Paese di circa il 13%, ma anche in questo caso «il valore medio di anomalia annuale presenta sensibili differenze tra diverse aree del territorio italiano. Al Nord e al Centro il 2015 è stato nettamente meno piovoso della norma (rispettivamente -21% e -17%), al Sud e sulle Isole pressoché nella norma». Anche se in questa “norma” rientra ormai anche un’impennata degli eventi climatici estremi: seppur rimanga difficile «identificare in modo inequivocabile la presenza di trend nei dati delle serie locali di intensità pluviometriche su brevi intervalli di tempo», è un dato di fatto che le precipitazioni sono state mediamente inferiori alla norma quasi ovunque «con la notevole eccezione della Sicilia, che è stata teatro di un numero significativo di eventi estremi, soprattutto nel mese di ottobre. Altri episodi di precipitazione molto intensa e spesso concentrata in poche ore hanno interessato, nel corso dell’anno, diverse regioni italiane, consolidando la percezione di una tendenza all’aumento della frequenza e della intensità di eventi estremi».
A fronte di questo scenario a dir poco problematico, l’Italia istituzionale si muove come un giano bifronte. All’interno degli appuntamenti internazionali si fa portavoce di istanze progressiste promuovendo la battaglia contro i cambiamenti climatici, un fronte lungo il quale si muove però in retroguardia una volta entro i confini nazionali. L’Italia ha firmato l’Accordo di Parigi sul clima, che prevede di mantenere l’innalzamento delle temperature medie globali entro i +2 °C al 2100 (valore al quale le temperature italiane sono già pericolosamente vicine), ma ancora non l’ha ratificato in Parlamento. Il premier Matteo Renzi dichiara a New York che è obiettivo di governo «portare le rinnovabili al 50%», ma nel mentre le nuove installazioni nelle energie pulite crollano e le emissioni di gas serra nazionali tornano a salire (+2% nel 2015) mentre a livello globale sono stabili. Il ministro dell’Ambiente dichiara l’economia circolare una «scelta strategica che l’Italia ha compiuto», quando in realtà il Paese non dispone ancora di una qualsivoglia strategia per l’uso efficiente delle risorse naturali, e neanche conosce in dettaglio i flussi di materia che attraversano ogni giorno l’economia nazionale.
Una distanza tra fatti e parole che continua a crescere, e non è un caso che lo stesso stiano facendo le temperature registrate all’interno dei patri confini: a rimetterci continua ad essere lo straordinario territorio italiano e quanti lo abitano.
Da greenreport.it
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insomma i governi fanno.... gli affari ma la natura va altrove e noi siamo in mezzo presi come siamo da questa tenaglia perversa che non potrà che distruggere anche quel poco che si è fatto negli scorsi anni. Kyoto? ICC panel? Global Warming, ecc. son tutte cose che fanno parte di uno sfondo del problema: se ne parla ma non lo si affronta.. così non si va da nessuna parte.

lunedì 11 luglio 2016

L’Italia 2.0 è questa: salari fermi e produttività al palo (Marco Maroni)

09/07/2016 di triskel182
LO DICONO OCSE, INPS E ISTAT. Riforme inefficaci e povertà in aumento, siamo nella “trappola della bassa crescita”.
La produttività è piatta da 15 anni, i salari sono praticamente fermi, l’ineguaglianza dei redditi è in aumento e come tasso di occupazione siamo al terzo valore più basso tra i paesi sviluppati, dopo Grecia e Turchia. Inoltre, in Italia più di un giovane su quattro non lavora, né studia, né segue corsi di formazione, una categoria di disoccupati con scarsissime prospettive di lavoro, che è aumentata del 44% negli anni della crisi. Questa cruda descrizione della situazione italiana viene dall’Ocse, organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha presentato ieri l’analisi annuale sul mercato del lavoro.
La stagnazione salariale e la bassa produttività sono problemi che affliggono un po’ tutti i paesi sviluppati. Il fatto è che mentre alcuni stanno recuperando il terreno perso dal 2007, altri, come l’Italia, rimangono indietro. “Quasi 10 anni dopo l’inizio della crisi”, scrive l’Ocse dell’Italia, “la crescita dei salari in termini reali è debole, evidenziando il rischio di una stagnazione salariale duratura”. È la cosiddetta “trappola della bassa crescita”: i salari e l’occupazione sono bassi, le famiglie spendono meno, le imprese vendono meno e investono meno. A risentirne alla fine è anche la produttività. Perchè assumere lavoratori poco costosi e flessibili diventa spesso più conveniente che fare efficienza spendendo capitali in macchinari.
Le recenti riforme del lavoro, Jobs act in testa, non sembrano in grado di cambiare in meglio il quadro. La lieve crescita dell’occupazione è infatti legata agli incentivi degli sgravi contributivi e le nuove assunzioni a tempo indeterminato (ma interrompibili in qualunque momento, anche senza giusta causa) sono in buona parte la trasformazione di contratti a termine.
Ieri ha pubblicato il suo rapporto annuale anche l’Inps. I dati mostrano che quasi la metà dei contratti attivati con le decontribuzioni sono “stabilizzazioni di lavoratori all’interno della medesima impresa”. Inoltre, la stabilizzazione dei contratti di lavoro spesso non è accompagnata dal tempo pieno: “quattro lavoratori su 10 assunti con contratto a tempo indeterminato – segnala l’Inps – hanno impeghi part time”. Il risultato è sempre che le famiglie faticano ad arrivare a fine mese.
Che la trappola della bassa crescita sia particolarmente insidiosa in Italia e abbia costi sociali alti lo si è capito ieri anche dalle parole del presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, in un audizione al Senato, convocata in relazione al disegno di legge sul contrasto alla povertà presentato da Stefano Lepri(Pd). Alleva ha spiegato che oltre la metà delle famiglie italiane nel 2015 ha limitato le spese per il cibo e una su cinque ha provato a risparmiare anche sulle spese sanitarie. Il 63% cerca di fare economie su abbigliamento e calzature, uno dei settori di punta del made in Italy. Grandi sono le differenze tra regione e regione. La Calabria risulta essere la regione con la spesa mensile familiare più bassa, 1.729 euro, mentre Lombardia, Trentino – Alto Adige ed Emilia – Romagna sono le regioni con la spesa mensile più elevata, tutte e tre attorno ai 3mila euro.
A questa crisi finora non si è risposto in modo adeguato: “gli interventi sociali a sostegno delle Famiglie – ha spiegato Alleva – in Italia pesano per il 4,1% della spesa totale per le prestazioni sociali. Un valore tra i più bassi in Europa”. Va ricordato peraltro che l’Italia, a differenza di tutti gli altri paesi europei, eccetto la Grecia, non ha alcuna forma stabile di sostegno al reddito, il cosiddetto reddito di cittadinanza. Uno strumento che in tempi di crisi argina la caduta dei consumi.
Per gli analisti dell’Ocse, la via d’uscita dalla trappola sono politiche strutturali, che portino a una crescita sostenibile, in grado di assicurare benefici più equamente distribuiti, incluso un più ambizioso uso delle politiche di bilancio. E anche ulteriori riforme strutturali.
Dopo anni di catechismo neoliberista, dunque, l’ufficio studi dei paesi ricchi riconosce che senza mettere in campo l’intervento pubblico, dalla stagnazione secolare non si esce.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 08/07/2016.
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.. anche se non è l'intero articolo mi pare che dica molto sullo stato dell'arte nel quale si trova questo paese dopo anni di austherity, tagli, ritagli, frattaglie, malversazioni, evasione, elusione, clientelismo, corruzione, politici inetti, opposizioni incapaci di fare proposte e, nel caso dei 5STAR, afflitti dalla sindrome del conte ugolino, ecc. ecc. insomma siamo nei guai e siamo senza soldi: non tutti però perchè c'è chi ci sta bene in questo tempo di ladri legalizzati e farà di tutto affinché nulla cambi... a meno che.. ma è molto 'a meno che'...

domenica 10 luglio 2016

Dedicata a tutti gli IDIOTI della vostra vita.

Massimo Colapietro 5 luglio alle ore 22:53 · Facebook

"Quando Gandhi studiava giurisprudenza all'Università di Londra aveva un professore, Peters, che non lo sopportava; Gandhi, però, non era tipo da lasciarsi intimidire. Un giorno il professore stava mangiando nel refettorio e Gandhi gli si sedette accanto. Il professore disse: –Signor Gandhi, lei sa che un maiale e un uccello non possono mangiare insieme?– Ok Prof, sto volando via…rispose Gandhi, che andò a sedersi a un altro tavolo. Il professore, profondamente infastidito, decise di vendicarsi al successivo esame, ma Gandhi rispose brillantemente a tutte le domande. Allora decise di fargli la domanda seguente: – Signor Gandhi, immagini di stare per strada e di notare una borsa; la apre e vi trova la saggezza e molto denaro. Quale delle due cose tiene per sé?– Certamente il denaro, Prof. –Ah, io invece al posto suo avrei scelto la saggezza.– Lei ha ragione Prof; in fondo, ciascuno sceglie quello che NON ha!
Il professore, furioso, scrisse sul libretto la parola IDIOTA e glielo restituì. Gandhi lesse il risultato della prova e tornò subito indietro. –Professore, Lei ha firmato l’esame ma si è dimenticato di mettere il voto!


Gandhi
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ognuno di noi ha una sua nemesi, da tempo ho trovato la mia......

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