venerdì 7 aprile 2017

I salari dimezzati dalle tasse l’ Italia è sopra la media Ue (ROSARIA AMATO)

Corte dei Conti: fra imposte e contributi 10 punti oltre gli altri paesi europei Per le imprese il distacco con le concorrenti tocca il record del 25 %.
ROMA – Avanti verso la crescita, ma il sistema italiano presenta ancora molti «limiti e distorsioni », a cominciare da un carico fiscale da record che pesa sulle imprese per 25 punti in più rispetto alla media Ue. Lo denuncia la Corte dei Conti nel Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica. Anche i lavoratori sono molto penalizzati. Infatti « il 49% prelevato a titolo di contributi e di imposte eccede di ben dieci punti l’onere che si registra nel resto d’Europa».

I questi giorni in effetti il governo sta lavorando a un’ipotesi di taglio del cuneo fiscale, ponendo particolare attenzione ai neoassunti sotto i 35 anni e ai redditi fino a 40.000 euro. Quanto alle imprese, è stata azzerata l’Irap e dall’inizio di quest’anno l’Ires, la tassa sulle società, è scesa dal 27,5 al 24%. Ma evidentemente non è abbastanza: la pressione fiscale in Italia, ricorda la Corte, «è tra le più elevate tra i paesi Ue (42,9% del Pil)». E le tasse sono tante e tali che essere a posto con tutti gli adempimenti costa all’imprenditore italiano «269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto al suo competitore europeo».
La Corte chiede una seria revisione del sistema, che poggi su basi certe: la riduzione della pressione fiscale è un «obiettivo raggiungibile solo attraverso un ridimensionamento della spesa». Altrimenti si rischia di proseguire con interventi parziali, che non incidono sugli squilibri di fondo: «Occorrerà stabilire anche se e come rivedere le misure che hanno portato ad un’attenuazione del prelievo su specifiche categorie di contribuenti». E continueranno a esserci eterne pendenze irrisolte, come quelle delle clausole di salvaguardia. Non bisogna fare troppo affidamento sul contributo delle privatizzazioni, né sui proventi della lotta all’evasione fiscale. Serve invece un progetto organico, che permetta in primo luogo anche di «porre il debito su un sentiero discendente, non troppo ripido ma costante, procedendo speditamente alle azioni di riforme strutturali per sostenere la crescita e migliorare, anche sotto questo profilo, le condizioni di sostenibilità della finanza pubblica».
Le condizioni ci sono: «Nel 2016 la crescita ha ripreso vigore – dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – i primi segnali dell’anno in corso sono molto incoraggianti, siamo in una fase di transizione verso una crescita più robusta e sostenuta grazie anche ai significativi progressi in termini di riforme strutturali». Lo conferma anche l’Istat, nella nota congiunturale: «In Italia l’andamento dell’attività economica risulta positivo, in un contesto di aumento della profittabilità delle imprese e di intensificazione dell’attività di investimento ». Un clima che si riflette anche nella fiducia dei consumatori e delle aziende, in crescita. Meglio non rimandare: la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, chiede infatti di «aprire subito, senza aspettare il 2018, una fase di confronto con il governo sulla riforma dell’Irpef per ridurre la pressione fiscale sul lavoro dipendente, sulle pensioni e sulle imprese che assumono ed investono in innovazione e ricerca».
Articolo intero su La Repubblica del 06/04/2017.
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.. e la serie continua

giovedì 6 aprile 2017

Dagli sconti fasulli sull’rc auto ai farmaci. La svolta mancata della legge mille lobby (Patrizia De Rubertis)

Vorrei, ma non posso – Attesa la norma per i bus low cost e per la tutela Mediaset.Qualcosa è slittato, diventato oggetto di un’altra delega, cancellato o addirittura va contro lo spirito della legge”. Il paradosso del ddl concorrenza per l’Istituto Bruni Leoni è chiaro: “Rischia di introdurre elementi anticoncorrenziali”. Parcheggiato in Senato da 8 mesi, e dopo due anni dall’uscita di Palazzo Chigi, non rappresenta più quel disegno di legge, frutto delle segnalazioni dell’Antitrust, che dovrebbero produrre importanti ricadute economiche sui consumatori. E come ha ironizzato il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, grande sostenitore delle liberalizzazioni, “più che una legge annuale sta diventando un piano quinquennale”.
“Una vicenda che rasenta il ridicolo”, dice il relatore Salvatore Tomaselli. E il riferimento va alle ostilità dei partiti e delle lobby, che ora potrebbero opporsi al voto di fiducia sul testo.
Negli ultimi giorni si è, infatti, discusso sull’inserimento della norma anti-scorreria e del salva Flixbus. La prima riguarda le scalate finanziarie (si legga Vivendi-Mediaset) e fissa obblighi di trasparenza quando la partecipazione in una società quotata supera il 5% (o il 10%). L’altra norma dovrebbe cancellare il blocco per i bus low cost di Flixbus, previsto dal Milleproroghe. E che limita la possibilità di operare su tratte interregionali solo alle società che si occupano principalmente di trasporto. Non, quindi, alla piattaforma tedesca che trasporta ogni anno 3,5 milioni di fuori sede visto che si appoggia a piccole società italiane.
Se le novità sull’energia sono tra le più discusse (dal 1° luglio 2018 verrà abolito il regime di maggior tutela per l’elettricità), il capitolo farmacie è il più corposo. Il ddl concorrenza prevede che possano essere di proprietà anche di società di capitale, sebbene con un limite del 15%-20% delle farmacie regionali esistenti, ma i cui soci potranno anche non essere farmacisti abilitati. In pratica, “viene premiata solo la logica del profitto, con la spinta a un oligopolio che metterebbe fuori mercato il singolo farmacista”, accusa la federazione delle parafarmacie (Fnpi). Poi c’è la questione dei farmaci di fascia C con obbligo di ricetta (servono a curare mal di denti e dolori muscolari) che possono essere venduti solo in farmacia. Medicinali talmente diffusi che ogni anno fanno spendere agli italiani 3 miliardi di euro. Ma, anche se dal 2012 il decreto Cresci Italia ha concesso alle farmacie la possibilità di praticare sconti su questi farmaci, poche lo fanno. E le parafarmacie stanno alla finestra sperando che nel ddl concorrenza venga inserita la possibilità di vendita a tutti.
Così come il provvedimento potrebbe essere il veicolo per l’introduzione di un registro sulle concessioni balneari auspicato dal ministro Calenda. In Italia non esista un dato su quanto le singole 25mila concessioni paghino allo Stato. Complessivamente sono 104 milioni di euro, ma la media del pollo di Trulissa non è un principio di equità. E intanto il rischio è che sdraio e ombrellone continuino a restare care per i bagnanti.
Sul fronte delle assicurazioni, sono due le principali novità: gli sconti sull’Rc auto agli automobilisti virtuosi nelle province con il tasso di sinistri più elevato e gli sconti per chi installa la scatola nera (le frodi assicurative costano 12 miliardi l’anno). Ma secondo i Consumatori, gli sconti sono positivi solo per gli automobilisti virtuosi del Sud e l’obbligatorietà della scatola nera potrebbe vanificare qualsiasi riduzione delle tariffe. Inoltre, denunciano, “gli elevati costi di installazione, manutenzione e gestione potrebbero ricadere sugli automobilisti attraverso incrementi occulti”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 04/05/2017.
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giri e rigira i costi son sempre 'sociali'..

mercoledì 5 aprile 2017

Dalla legge Biagi al Jobs Act l’occupazione resta al palo (VALENTINA CONTE)

ROMA – Siamo tornati al 2004. Stesso tasso di occupazione, il 57,5%. Stesso basso livello di classifica in Europa. Soltanto che oggi fanno peggio di noi solo Grecia, Turchia e Macedonia. Allora in coda c’erano Croazia, Bulgaria, Malta e Polonia, poi risorte. Ma cos’è successo nel frattempo?
Sette governi di centrodestra e centrosinistra. Tre importanti riforme del lavoro, dalla legge Biagi al Jobs Act, passando per la Fornero. Bonus e incentivi a profusione. E la crisi più profonda dal Dopoguerra che ha distrutto un quarto della produzione industriale, zavorrato di cinque punti gli investimenti, incenerito oltre un milione di posti e quasi nove punti di Pil.

«Abbiamo insistito troppo nel regolamentare un mercato del lavoro già flessibile da tempo e ci siamo concentrati di meno sulle politiche di sostegno alla crescita», ragiona Maria Cecilia Guerra, senatrice pd ed ex sottosegretario al Lavoro nel governo Letta. «Ma è la crescita che trascina l’occupazione, le imprese assumono se hanno domanda. E invece abbiamo moltiplicato le tipologie contrattuali mirate solo a garantire un costo del lavoro più basso. Mentre da anni non si parla più di politiche industriali». Un’ossessione che ha attraversato tutte le legislature, quella del costo del lavoro da comprimere, fino all’uso e abuso dei voucher.
Depotenziare l’articolo 18. Era iniziata così, con Berlusconi al comando e le piazze infiammate dalla Cgil. È finita con l’articolo 18 abolito dal Jobs Act di Renzi. E i voucher cancellati dalla sera alla mattina, per evitare un altro effetto Cgil, questa volta nelle urne del referendum. Eppure il livello di occupati è rimasto lì. «Ma la qualità è profondamente cambiata», analizza Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro con Prodi premier, tra 2006 e 2008. «Ai tempi, lo stock occupazionale era caratterizzato per lo più da contratti a tempo indeterminato. Ora sappiamo dall’Istat che basta lavorare un’ora a settimana, pagata con voucher, per rientrare in questa percentuale».
Vero è che tra 2004 e 2017 l’occupazione italiana somiglia a un’onda più che a una linea piatta. Con un massimo nel 2008 (58,6%) e un minimo nel 2013 (55,5%). Tre punti pesanti persi nella crisi. E che faticosamente gli incentivi di Renzi provano a recuperare. Invano, fin qui. Unica differenza, tra oggi e allora, in quel 57,5% di reflusso è la sfumatura rosa: tre punti in meno di uomini occupati (da 69 a 64%), tre in più di donne (da 45 a 48%).
«Il Jobs Act non sta producendo gli effetti sperati, dobbiamo dirlo», prosegue Damiano. «La logica degli incentivi spot era sbagliata. Finiti quelli, cresce il lavoro a termine e autonomo». Va detto che senza bonus, forse oggi neanche avremmo un 57,5% di occupati. Di qui in avanti, certo non basta. «Le imprese vanno favorite e accompagnate nei percorsi di investimento», insiste Guerra.
Articolo intero su La Repubblica del 04/04/2017.

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.. e il giornalista ha dimenticato, volutamente o meno non so, la legge Treu.

martedì 4 aprile 2017

Arriva la mazzata elettrica. Milioni di clienti senza tutela (Giorgio Meletti)

Il governo Gentiloni vuole imporre all’Italia la libera concorrenza a colpi di voti di fiducia. Ma il disegno di legge “concorrenza” che domani va in aula al Senato sta spaccando lo stesso Pd. Il relatore Salvatore Tomaselli vuole che il testo torni in Commissione. Gli scissionisti di Articoli 1-Mdp, guidati in questa vicenda da Pier Luigi Bersani, stanno contrattando il loro voto di fiducia chiedendo concessioni al ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che sta scrivendo il maxi-emendamento per il voto di fiducia.
Non si capirebbe tanta agitazione senza guardare ai contenuti della legge, e in particolare a quello più discutibile: in nome di una febbre liberalizzatrice si vogliono prendere 24 milioni di piccoli consumatori di elettricità fino a oggi serviti dalla tariffa base detta “di maggior tutela” e scaraventarli nel mercato libero, in balia di 400 rivenditori di elettricità che si contendono a colpi di imbrogli e bugie i clienti da spennare facendo pagare loro l’elettricità più di prima.
Quando è stato liberalizzato il mercato elettrico è stato istituito l’Acquirente Unico, ente pubblico che compra l’elettricità all’ingrosso per le famiglie e le imprese che non hanno scelto un nuovo fornitore in regime libero ma si sono tenute il vecchio. In pratica lo Stato ha costituito un gigantesco gruppo d’acquisto con 24 milioni di partecipanti che riesce a spuntare il prezzo più basso. I 12 milioni di utenti che hanno ceduto alle asfissianti telefonate dei call center che ti promettono mirabolanti risparmi pagano l’elettricità il 20 per cento in più, secondo dati dell’Autorità per l’energia contestati dagli uomini di Calenda.
Comprensibile che solo un terzo dei consumatori italiani abbia scelto il libero mercato. Meno comprensibile la ragione per cui il governo ha deciso una polpottiana liberalizzazione forzata: dal 1 luglio 2018 finisce il regime di maggior tutela e i 24 milioni di renitenti alla concorrenza, se non avranno scelto un nuovo fornitore entro quella data, verranno consegnati in massa a un unico fornitore che praticherà tariffe così alte da rieducarlo al culto del libero mercato. È scritto nel testo su cui Calenda vuole mettere la fiducia: “a condizioni che incentivino il passaggio al mercato libero”.
Per Gianni Girotto e Gianluca Castaldi, senatori M5S, “l’eliminazione del mercato elettrico tutelato avrà il solo effetto di far impennare il costo della bolletta per milioni di famiglie e imprese”. Ma lo stesso Bersani, insospettabile in quanto padre della liberalizzazione elettrica, ha denunciato pochi giorni fa che si sta puntando “a superare l’acquirente unico in una forma che crea un’ottima occasione per qualche azienda e un rischio serio per i piccoli consumatori”. Si noti di passaggio che secondo dati dell’Autorità per l’Energia un italiano normodotato impiegherebbe circa 6 ore a capire che cosa c’è scritto nella sua bolletta elettrica, e quindi dovrebbe prendere qualche giorno di ferie per studiare la convenienza di un passaggio che nel migliore dei casi (secondo il governo) gli consentirebbe un risparmio del 5-10 per cento sulla bolletta.
Le aziende che guardano alla “ottima occasione” sono Sorgenia e Edison, le uniche società grosse a non avere una propria rete di distribuzione. La prima, oggi presieduta dal renziano Chicco Testa, per un soffio mancato ministro dello Sviluppo economico quando fu poi preferito Calenda, è quanto resta dell’avventura elettrica della famiglia De Benedetti. Schiacciata sotto la mole di 2 miliardi di euro di debiti, la società è stata abbandonata al suo destino dai De Benedetti ed è finita tra le braccia delle banche creditrici, capitanate dal Monte dei Paschi esposto per oltre 600 milioni. In pratica la liberalizzazione forzata di Calenda potrebbe aiutare il risanamento di Mps a spese di qualche milione di famiglie.
La Edison è controllata da Edf, il monopolista francese dell’elettricità. Insieme a Sorgenia puntano a fare man bassa delle aste con cui il governo affiderebbe pacchetti di milioni di clienti al miglior offerente.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 04/04/2017.

lunedì 3 aprile 2017

Dalla Coca Cola ai biberon – cosa mettiamo in bocca – Report del 03/04/2017 – Anticipazioni

La santa trinità: zucchero, grasso e sale
Le industrie alimentari sanno come stimolare il nostro gusto, il punto G del gusto: con zucchero grasso e sale. Le industrie, grazie a questa santa trinità ci guadagnano, noi consumatori ci perdiamo però.
IL perché lo racconterà questa sera Sabrina Giannini nella sua rubrica sull’alimentazione “Indovina chi viene a cena”.

Cosa c’è dietro il successo della Coca Cola?
Continuiamo a parlare di zuccheri: durante i mesi di Expo, i visitatori della fiera mondiale (che doveva essere volano del PIL, dell’occupazione..) venivano accolti anche dagli stand di Coca Cola, McDonald’s ..
Ai bambini che venivano in visita veniva offerto un menù da queste multinazionali, nonostante uno dei temi della fiera riguardasse la sana alimentazione.
Sana alimentazione che dovrebbe limitare l’uso di grassi e di zuccheri raffinati.
Come gli zuccheri contenuti nella bevanda più famosa del mondo, la Coca Cola: negli spot si vede un’allegra famiglia che pasteggia con una bella bottigliona di Coca sulla tavola.
Per mettersi bene in mostra negli spazi espositivi di Expo, Coca Cola Ms Donald (e Ferrero) hanno sborsato una cifra stimata in 20 ml di euro.
Una grande operazione di marketing che ha generato pure qualche confusione: a poche decine di metri dal Mac, si trovata lo spazio di Carlo Petrini di Slow Food.
Tutto a posto? Tutto corretto? Zucchero si o zucchero no?
Come ha fatto Coca Cola a conquistarsi questi spazi, non solo in Expo, ma anche nel mondo, essendo una delle bevande più vendute al mondo?
Quali i segreti del successo commerciale e quali i segreti dentro gli stabilimenti della Coca Cola anche in Italia?
Claudia Di Pasquale è autrice del servizio che ha cercato di fare luce su questi segreti, girando per il mondo, da Atlanta a Marcianise, a Caserta.
La scheda del servizio: DIO COCA COLA DI Claudia Di Pasquale
La Coca Cola è la più venduta al mondo: circa due miliardi di bottiglie al giorno, cinquecento marchi distribuiti in duecento Paesi. Per capire come è diventata la numero uno abbiamo fatto un viaggio negli Stati Uniti, nella sede storica di Atlanta, dove c’è la cassaforte che conserva la sua formula magica, il primo segreto del suo successo.L’inviata di Report ha viaggiato tra Canada, Messico, Colombia, Mauritania e poi negli stabilimenti italiani di Nogara (VR), Oricola (AQ), Marcianise (CE) e nella Sibeg di Catania.

L’uso delle concessioni delle falde, il braccio di ferro con le autorità sanitarie che tentano di limitare i danni dello zucchero introducendo la tassa sulle bevande gasate e zuccherate, i finanziamenti e le sponsorizzazioni, le spy stories: sotto la lente di Report sono passate tutte quelle strategie che hanno consentito alla Coca Cola di mantenere il primato per centotrenta lunghi anni. Report ha poi fatto analizzare il contenuto della Coca Cola, e di alcuni degli altri duecento prodotti di punta dell’azienda di Atlanta. I risultati nell’inchiesta.
Cosa c’è dentro i biberon?
In un precedente servizio di Claudia Di Pasquale, Report si era occupata dei rischi nei prodotti di plastica, che assimiliamo nell’uso quotidiano entrandone in contatto.
La tenda per le docce, il packaging delle cialde del caffè, la plastica con cui si confezionano insaccati, formaggi, lo yougurt, gli imballaggi dei surgelati, fino alle bottiglie di plastica.
L’inchiesta odierna di Emanuele Bellano si occuperà in particolare dei biberon, quelli trattati con Ossido di Etilene, giudicati cancerogeni dall’OMS: non dovrebbero più essere usati negli ospedali ma, siccome siamo in Italia, alle ASL non è arrivata comunicazione..
La scheda del servizio: BIBERON A TUTTO GAS DI Emanuele Bellano
Cinquecentomila neonati italiani ogni anno succhiano, direttamente dai biberon dell’ospedale, residui di ossido di etilene, un gas cancerogeno secondo l’Oms. Oltre un anno fa, la direzione prevenzione sanitaria del ministero della Salute aveva raccomandato di non utilizzarli se non in casi particolari, ma alle Asl italiane non è stato comunicato e nel frattempo gli appalti sono andati avanti. Sette milioni di biberon e tettarelle trattati con l’ossido di etilene continuano ad essere utilizzati negli ospedali italiani, anche se in Europa già dal 2007 è vietato sterilizzare con questo gas i contenitori ad uso alimentare. Com’è possibile?
Infine, per la serie, onore al merito: PRESENZE INGIUSTIFICATE DI Antonella Cignarale
Ai professori universitari la legge Gelmini aveva bloccato gli scatti di stipendio per cinque anni. Allora per compensarli è stato stanziato un incentivo una tantum di 108 milioni che ogni ateneo distribuisce ai più meritevoli con le proprie regole. A Perugia per esempio l’incentivo va da ottocento a cinquemila euro. ma capita che i soldi se li intasca anche il luminare che non si fa mai vedere in facoltà, mentre i docenti che si impegnano restano esclusi.
Da unoenessuno.blogspot.it
 
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