sabato 6 marzo 2021

Rispunta la “task force” ma questa volta a pagamento..

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano | 6 Marzo 2021

 

“La task force di Conte è una pazzia” tuonava prima di Natale Matteo Salvini. “No alle task force, sì al Mes” gridava Matteo Renzi solo lo scorso dicembre. Tre mesi dopo non abbiamo il Mes ma abbiamo una nuova task force, solo che è fatta di consulenti esterni e quindi a pagamento. Il governo Draghi ha scelto infatti di affidare alla statunitense McKinsey la consulenza per la messa a punto del Recovery plan per l’utilizzo dei fondi europei. Eppure la lista di chi ha polemizzato contro la formula della task force, uno sui punti su cui più se battuto per attaccare il governo Conte, è lunghissima. “Un modo per aumentare poltrone e consulenze”, secondo Teresa Bellanova. “Inutile spreco”, “No all’ennesima inutile task force” sono alcune delle dichiarazioni di alcuni esponenti del Partito democratico. Antonio Misiani, senatore Pd, in mattinata ha invitato Draghi a non disattendere l’impegno: “La governance del Pnrr è incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti aveva detto Draghi al Senato. Se lo schema è cambiato, va comunicato e motivato al Parlamento”, ha scritto su twitter.

La scelta del presidente del Consiglio non sembra in effetti delle più felici, quanto meno per la tempistica. A lungo McKinsey è stata considerata la più prestigiosa società al mondo nel suo campo, che è poi quello di suggerire ad aziende e governi come aumentare i profitti e ridurre le spese. Ma negli ultimi tempi nubi sempre più cupe si stanno addensando sulla società statunitense. Dal coinvolgimento nella crisi dei farmaci oppioidi negli Usa, agli stretti legami con regime autoritari come quello dell’Arabia Saudita di Mohammed Bin Salaman, il principe ereditario implicato nell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi.


Il ruolo nella tragedia degli oppioidi – La reputazione di MkKinsey è così compromessa da aver spinto due dei più importanti quotidiani del mondo, il New York Times e il Financial Times a pubblicare editoriali in cui si invita la società ad agire per arginare la progressiva erosione di credibilità. Il mese scorso la società ha patteggiato una multa da quasi 600 milioni di dollari con 47 stati americani per il ruolo avuto nella crisi dei farmaci oppioidi. “Hanno messo il profitto davanti alla vita delle persone”, ha detto Phil Weiser, procuratore generale del Colorado, uno degli stati più colpiti. McKinsey è stata infatti per 15 anni consulente della casa farmaceutica Purdue che commercializzava il farmaco OxyContin. Si stima che la dipendenza da questo medicinale abbia causato sinora la morte di 232mila persone. McKinsey ha suggerito tra l’altro di aumentare il dosaggio delle singole pillole per incrementare i guadagni e ha fornito indicazioni di marketing su come neutralizzare gli appelli contro la commercializzazione del medicinale delle madri di ragazzi morti per overdose di OxyContin.

“Risparmiare sul cibo per i migranti” – Tra i tanti carichi assunti dalla società c’è stato anche quello di consulente dell’ Immigration and Customs Enforcement (ICE), ente statunitense che si occupa della gestione dei flussi migratori. Incarico per cui la società ha incassato 20 milioni di dollari. Nelle sue raccomandazioni per gestire al meglio le strutture di accoglienza McKinsey ha proposto tra l’altro di risparmiare sul cibo per i migranti e di inviarli in zone rurali del paese per minimizzare la spesa. Un trattamento che ha messo a disagi molti funzionari della struttura. Il contratto si è interrotto nel 2018 dopo che il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sulle disastrose condizioni dei centri di accoglienza.

L’associazione no profit di giornalismo investigativo ProPublica ha creato una pagina web in cui sono raccolti tutti i disastri riconducibili al ruolo avuto da McKynsey. Molto si capisce già da titoli come “New York ha pagato milioni a McKinsey per un piano per ridurre la criminalità che invece è aumentata”. Il sito ricorda anche come nell’ultimo anno la società abbia fatto incetta di contratti per aiutare i governi a rispondere alla pandemia e tracciare i contagi, con risultati molto discutibili.

Arabia e Sudafrica – Nel 2016 McKynsey ha perso molti dei suoi clienti in Sud Africa dopo essere stata coinvolta in una vicenda di corruzione che ha portato alle dimissione del capo del governo di Pretoria Jacob Zuma. McKinsey aveva infatti stretto un alleanza con la società di consulenza Trillian della famiglia sudafricana Gupta che ha sfruttato le sue relazioni con Zuma per accaparrarsi illegittimamente commesse da 1,6 miliardi di dollari. McKinsey ha accettato di restituire al governo sudafricano 100 milioni di dollari e si è pubblicamente scusata con la popolazione del paese. Dal 1974 è presente in Arabia Saudita con un ruolo che è andato via via crescendo nel corso degli anni. Fino alla messa a punto nel 2015 il documento “Saudi Arabia beyond oil” commissionato dal principe Mohammed Bin Salman e in cui si suggerisce come reinventare l’economia saudita spezzandone la dipendenza dal petrolio.

Il disastro Enron del 2002 – Non che anche in tempi meno recenti McKinsey non sia stata protagonista di vicende poco edificanti. Basti ricordare il crack del colosso dell’energia statunitense Enron del 2002. Fu proprio McKinsey ad aiutare Enron a “reinventarsi” da gruppo che vendeva energia e gestiva gasdotti a società specializzata nella speculazione sui prezzi energetici utilizzando sofisticati strumenti finanziari. Del resto lo stesso numero uno di Enron Jeff Skilling proveniva da McKinsey. Finì malissimo: bancarotta, 20mila persone per la strada e senza pensione e Skilling condannato a 24 anni di prigione. Il crack spazzò via dal mercato la storica società di revisione Arthur Andersen incaricata di controllare i bilanci di Enron, mentre McKinsey riuscì a defilarsi quasi indenne, grazie soprattutto agli accordi che abitualmente firma con i suoi clienti in cui specifica che quelle fornite sono “semplici opinioni”.


Il mercato globale della consulenza vale circa 150 miliardi di dollari all’anno, McKinsey non diffonde dati ufficiali sui suoi ricavi, che vengono comunque stimati intorno ai 10 miliardi di dollari. Al primo posto davanti a Boston Consulting che si ferma a 8,5 miliardi. Il gruppo ha una lunga tradizione di “porte girevoli” con governi e grandi aziende. Il ministro per l’Innovazione digitale e la transizione ecologica Vittorio Colao è ad esempio uno dei tanti “ex”

mercoledì 3 marzo 2021

Contagi e vaccini, vi racconto le differenze abissali tra Italia e Regno Unito

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Società - 28 Febbraio 2021 Loretta Napoleoni

Dopo un lungo e durissimo lockdown londinese e la prima vaccinazione sono rientrata in Italia per alcune settimane. La cronistoria del mio viaggio e di ciò che ho visto di certo non fa notizia, ma ho pensato di raccontarla per illustrare le differenze abissali tra l’Italia ed il Regno Unito in materia di gestione del Covid e vaccinazioni.

La prima cosa che balza agli occhi quando si atterra in Italia è la confusione di ordinanze. Non esiste una regola applicata a tutta la nazione, ma tante, diverse, in costante cambiamento a livello regionale, provinciale e persino comunale. E questo è un male perché la gente si perde e finisce per non sapere cosa deve fare. In secondo luogo, in Italia si riempiono moduli su moduli che nessuno ha idea se servano davvero o se finiscano nel riciclaggio della carta, ma alla fine c’è poco controllo dei movimenti. Infine, a differenza del Regno Unito, in Italia si ha la netta sensazione che il virus non sia poi così pericoloso, che il peggio sia passato e quindi sia giusto riprendere le vecchie abitudini.

Faccio un esempio: in aereo da Londra non c’erano inglesi, a loro è vietato viaggiare, mentre a noi italiani è permesso grazie al nostro passaporto. Atterrati a Milano, come di prassi, la British Airways ha specificato che avrebbero sbarcato per file, hanno chiamato le prime sei, io ero alla undicesima e diverse persone intorno a me si sono alzate. Quando ho fatto notare che non era il nostro turno sono stata aggredita. Un signore che mi aveva riconosciuta, anche se avevo due mascherine, ha urlato che mi ha sempre detestata perché scrivo per questo giornale.

Sul bus e in fila per il controllo passaporti nessuno ha mantenuto la distanza sociale, erano tutti belli appiccicati gli uni agli altri, pronti per schizzare fuori dall’aeroporto. Alla fila per il tampone le solite lamentele, e quando la polizia ha fatto passare una famiglia con un bambino piccolo sono partite le occhiate di disapprovazione. Nessuno a Linate ha voluto vedere i risultati del mio tampone londinese, né il certificato di vaccinazione, ma si sono presi l’autocertificazione senza neppure leggerla; quando ho chiesto quando avrei avuto i risultati del tampone che mi stavano facendo, mi hanno risposto “se è negativa mai”. E così, sono uscita dall’aeroporto. Perché vivo nel Regno Unito da quarant’anni non mi è neppure passato per la testa di non fare la quarantena. Nessuno però ha controllato, né chiamato, avrei potuto infischiarmene, insomma!

Finita la quarantena sono andata a vedere cosa succede nelle stazioni sciistiche della Lombardia, che sono aperte fino a lunedì. Nel weekend fiumi di gente si sono riversati lungo le strade, bar strapieni fino alle 18:00; da quell’ora in poi quelli degli hotel si popolano dei loro clienti, nessuno controlla se con loro ci sono amici non residenti nell’albergo. Discorso analogo vale per i ristoranti degli alberghi dove i clienti mangiano ai tavoli decisamente non distanziati. E non potevano mancare tra i commensali i raccomandati del luogo, lascio alla vostra immaginazione la scelta di chi sono costoro.

Secondo punto cruciale: le vaccinazioni. Nel Regno Unito la politica perseguita da Boris Johnson è stata la seguente: lockdown totale, vaccinazione a tappeto e riapertura graduale dopo aver vaccinato tutti gli operatori sanitari, quelli che hanno più di 60 anni e chi è a rischio a causa di patologie specifiche. È chiaro che questo programma ha funzionato benissimo perché ci sono i vaccini. Ed è bene spiegare il motivo: ci sono perché, a differenza di Bruxelles, Londra li ha ordinati e pagati prima che venissero approvati dalle autorità preposte, ha rischiato e ne è valsa la pena. La storia che non ci sono vaccini a sufficienza perché le case produttrici li hanno venduti a caro prezzo, anche agli inglesi, è una frottola, in Italia come in Francia, Spagna e nel resto dell’Unione Europea i vaccini scarseggiano perché Bruxelles li ha ordinati tardi.

Anche per le vaccinazioni in Italia ci sono mille regole, a seconda delle regioni o di chi è a capo del governo, ma così non si va bene avanti. Di certo il fatto che io, 65enne, sia stata vaccinata a Londra un mese e mezzo fa e mia madre 88enne residente a Roma lo sarà il 30 marzo non depone a favore del sistema italiano. Tralascio l’assurdità di far prenotare gli ultra-ottantenni online, mi piacerebbe sapere quanti lo hanno fatto da soli… Nel Regno Unito il sistema è infinitamente più semplice: i medici di base chiamano le persone seguendo un ordine specifico, identico in tutto il paese. Le vaccinazioni vengono somministrate in posti diversi, dagli ambulatori agli stadi. Un sistema elettronico nazionale fa sì che, una volta chiamati, ci si vaccini in 20 minuti: 5 per avere l’iniezione e 15 di osservazione, nel caso si verificasse uno shock anafilattico. Non si compila nessun documento, né si mostrano le tessere sanitarie, basta il nome, il cognome e la data di nascita e il sistema viene aggiornato. Si potrebbe anche parlare delle liste di attesa alle quali ci si può iscrivere per avere alla fine della giornata le dosi restanti dei vaccini, quelli che devono essere scongelati a 6 dosi alla volta, ad esempio.

Ma basta quanto detto per illustrare ai lettori perché le cose funzionano meglio nel Regno Unito e quali sono i veri problemi del contagio e delle vaccinazioni in Italia.

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