giovedì 23 novembre 2017

Pensioni, sette riforme in 25 anni. Più che leggi sono toppe

Fonte: Il Fatto Quotidiano
di | 21 novembre 2017

La trattativa tra governo e sindacati sull’aumento dell’età pensionabile e altre particolarità del sistema pensionistico non è la prima né sarà l’ultima di una interminabile serie di diatribe su interventi grandi e piccoli sulla previdenza/assistenza che si susseguono ormai da anni a distanza letteralmente di mesi, senza che si venga mai a capo di una eventuale riforma che non richieda almeno ulteriori ritocchi nel medio termine.
Solo per ricapitolare, abbiamo avuto:
1992 Riforma Amato
1995 Riforma Dini
1997 Riforma Prodi
2001 Riforma Berlusconi
2004 Riforma Maroni
2007 Riforma Damiano
2011 Riforma Fornero
Sette riforme in 25 anni, più vari ritocchi minori qua e là, una ogni poco più di tre anni in media e non è ancora finita.
Ci sarebbe da pensare che siamo governati da incapaci che si succedono al potere da diverse parti politiche e che, tra altro, adottano talvolta una sorta di spoiling system legislativo in base al quale quello che ha fatto la parte avversa deve essere per definizione cancellato. Scaloni, poi scalini, divieto di cumulo, poi cumulo lecito, pilastri integrativi puramente previdenziali, contributi di solidarietà, invece, completamente assistenziali, finestre fisse, poi mobili, poi interventi con preavviso di meno di trenta giorni, per cui a un nato il 1° gennaio 2012 fu detto nel dicembre 2011 che la sua data di pensione slittava di quattro anni, in disprezzo a qualsiasi forma di programmazione della propria anzianità e della propria vita.
Escludendo che tutti i riformatori del sistema pensionistico abbiano agito per incapacità, malafede, per interessi di parte, per motivi elettorali o presi dal panico per motivi finanziari non sempre sostanziati – anche se, a mio avviso, alcuni siano arruolabili in una o più di queste compagini -, deve esserci un motivo di base nel sistema che impedisce la riforma una volta per tutte e con criteri se non condivisibili da tutti – se mi tocchi personalmente, per definizione, squalifico l’intervento come sbagliato – almeno logicamente ispirati a un unico fondamento che, possibilmente, dovrebbe trovare riscontro nelle regole nelle quali la società si riconosce e nella Costituzione che dovrebbe esserne la rappresentazione giuridica.
E infatti: “c’è del marcio in Danimarca”.
Ci sono due tare fondamentali che impediscono di mettere mano al sistema pensionistico in modo definitivo, anche sopportando un po’ di ricorso alla piazza e la perdita di consenso elettorale.
La prima è il mantenimento – non colposo, ma intenzionale – della commistione tra previdenza e assistenza. Ancorché per l’Inps le due cose siano contabilmente ben separate, la vera commistione è ideologica: nel sentire comune – e niente viene fatto per cambiarlo – i comparti previdenza e assistenza sono permeabili e risorse possono essere spostate dall’uno all’altro quando invece la previdenza dovrebbe essere vista come la restituzione di un accantonamento (diritto individuale) e l’assistenza come la risposta a un bisogno sociale (diritto collettivo). Questa commistione impedisce sia gli interventi – facili – sulla previdenza allo scopo di commisurare in modo effettivo la prestazione con i contributi versati, sia quelli – più difficili perché costosi – sull’assistenza, allo scopo di garantire la sussistenza di tutti gli anziani.
La seconda tara è l’applicare ai cittadini pensionati, in materia di socialità, regole diverse dal quelle che si applicano agli altri cittadini. La nostra Costituzione prevede che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Come si vede, non v’è traccia di contributi diversificati se non in base al reddito percepito; diversamente è ormai prassi consolidata applicare alle (sole) pensioni meccanismi addizionali di re-distribuzione del reddito che si sommano alla progressività fiscale esercitata su tutti i cittadini e che si articolano in modi diretti – contributi di solidarietà – o più subdoli e a effetto permanente – blocchi della perequazione.
Queste due gravi distorsioni di pensiero prevengono la possibilità di riformare l’assistenza identificando in modo certo la dimensione dei diritti costituzionali per i cittadini sprovvisti dei mezzi necessari “al mantenimento e all’assistenza sociale” – Art. 38 -, coniugandola con il “ dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” – Art. 4 – e quella di riformare la previdenza riconoscendone una buona volta le caratteristiche assicurative – tanto versi, tanto avrai; tanto più avrai mensilmente per quanto meno tempo lo riceverai – di un accantonamento da ritenersi sacro e inviolabile e non soggetto ad altre fiscalità che non quelle universalmente riconosciute valide per tutti i cittadini.
Il tutto è complicato dall’inevitabile sistema a ripartizione che fa sì che i contributi dei lavoratori scompaiano in tempo reale nella voragine dei conti dello Stato e che gli attivi siano convinti a pensare di stare pagando le pensioni degli anziani, tra l’altro ritenendo che questo sia iniziato solo in tempi recenti quando, viceversa, lo schema si replica generazione dopo generazione da sempre.
Pertanto, ciclicamente, ci troviamo a discutere di riforme e riformine, di piccoli e grandi interventi che non sono di per sé né giusti né sbagliati, ma semplicemente fuori luogo perché toppe applicate a un pasticcio di base, in un panorama complessivo di totale assenza di chiarezza sui criteri fondanti; le toppe raramente creano un patchwork artistico, quasi sempre tamponano un problema e, se sovrapposte, aggiungono bruttura a bruttura.
di | 21 novembre 2017

martedì 21 novembre 2017

Ucraina 2014: “cecchini di Maidan pagati dagli Usa e pro-Europa”

21 novembre 2017, di Alberto Battaglia  
Fonte: WSI
L’inchiesta di un giornalista italiano indipendente, andata in onda su Matrix (Canale 5) alcuni giorni fa, asserisce di aver raccolto alcune testimonianze in grado di riscrivere la verità ufficiale su quanto avvenuto in Ucraina nel febbraio 2014, nel massacro di piazza Maidan che precedette di poche ore la fuga del presidente filorusso Viktor Janukovyč. Il reporter di guerra, Gian Micalessin, dopo “un anno” di ricerche ha rintracciato tre soggetti che affermano di esser stati parte del corpo a cui fu comandato di sparare, dai tetti, sulla folla di manifestanti pro-europei che cercava di esercitare pressioni su Janukovyč.
Chi avrebbe organizzato quest’operazione? Secondo questa ricostruzione, non i russi, ma alcuni loro noti oppositori. I soggetti in questione (tre georgiani, di cui due residenti in Macedonia, a Skopje, l’altro in un Paese dell’Est tenuto riservato) affermano di essere stati assoldati da uomini vicini alla rivolta contro Janukovyč, in particolare da uomini vicini all’ex presidente georgiano Saakashvili. Quest’ultimo, noto oppositore della Russia di Putin, sarebbe poi diventato fra il 2015 e il 2016, governatore della regione ucraina russofona dell ‘Oblast’ di Odessa (prima di perdere la cittadinanza ucraina). Le tre fonti parlano rendendo noto il loro nome e a volto scoperto, affermando di essersi recati in ucraina tramite passaporti falsi. La tesi sostenuta da Micalessin, come scritto in un post sul suo profilo Facebook è che “dietro la strage di dimostranti non c’erano gli uomini del presidente filo russo Janukovyč, ma i capi dell’opposizione appoggiata dall’Unione Europea”. Se la notizia fosse ulteriormente confermata, capovolgerebbe la tesi secondo la quale sono stati la polizia e i cecchini di Janukovyč ad aprire il fuoco contro l’opposizione, macchiandosi un delitto talmente grave da segnare per sempre la fine politica del leader filorusso. Uno dei tre intervistati, Alexander Revazishvilli, è un ex tiratore scelto dell’esercito georgiano protagonista della sparatoria di Maidan. Lui come gli altri due sarebbe stato reclutato da un uomo di fiducia dell’ex presidente georgiano, Mamuka Mamulashvili, un consigliere militare di Saakashvili che poi combatterà contro i filorussi nel Donbass, in seguito alla rivolta di Maidan. “Siamo partiti il 15 gennaio e sull’aereo ho ricevuto il mio passaporto e un altro con la mia foto, ma con nome e cognomi differenti. Poi ci hanno dato mille dollari a testa promettendo di darcene altri cinquemila più in là. (…) “Il nostro compito”, spiega Alexandeer, “era organizzare delle provocazioni per spingere la polizia a caricare la folla. Fino alla metà di febbraio però non c’erano molte armi in giro. Si utilizzavano al massimo le molotov, gli scudi e i bastoni”. Soltanto più tardi la squadra reclutata da Mamulashvili sarebbe stata dotata di armi, usate per sparare alla cieca sulla folla sottostante, dall’alto di alcuni edifici intorno alla piazza.
Rimandimo al video dell’inchiesta per ulteriori dettagli di una vicenda che, comunque, appare ancora da chiarire a fondo (è difficile verificare autonomamente le affermazioni fornite dai tre), resta che il presunto artefice della destabilizzazione del presidente Janukovyč, Saakashvili, si è recentemente lanciato in una campagna che dovrebbe sfidare la leadership ucraina, di cui un tempo era stato alleato. Cosi l’Associated Press, il 20 novembre:
In una nuova sfida alla leadership ucraina, il leader dell’opposizione Mikhail Saakashvili, ex presidente della Georgia, ha detto lunedì che l’Ucraina ha bisogno di un nuovo governo ed è pronto a guidarlo. L’affermazione di Saakashvili, ex alleato del presidente ucraino Petro Poroshenko che ha messo in scena una serie di proteste contro di lui, arriva quando la nazione è alle prese con enormi problemi (…) Saakashvili, che si è dimesso nel 2016 un anno dopo che Poroshenko lo aveva nominato governatore della regione ucraina di Odessa, ha condotto proteste contro Poroshenko, accusandolo di stallo nelle riforme e della copertura della corruzione. Poroshenko ha revocato a Saakashvili la cittadinanza ucraina quest’anno, ma Saakashvili si è fatto strada attraverso il confine con la Polonia a settembre”.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
in realtà questa notizia era già passata ma non sui media ufficiali tranne, se ricordo ben, il Fatto Quotidiano che pubblicò non solo documenti e foto ma pure una telefonata fra esponenti del governo lituano e alcuni rappresentanti UE nel quale si evidenziava chiaramente che tutti ne erano a conoscenza. L'obiettivo quindi era eliminare l'influenza russa e il, ritenuto, filo-russo Presidente regolarmente eletto!!! Dovremmo sempre fare attenzione a quanto ci viene raccontato, sempre.. perchè sempre più spesso quel che, ingenuamente, crediamo i buoni troppo spesso si rivelano i peggiori dei peggiori!!!

lunedì 20 novembre 2017

Black Friday (o Black November): sconti ma anche truffe. Come difendersi





Il Black Friday si avvicina. Il 24 novembre è il giorno più atteso dai fanatici dello shopping e non solo. Come da tradizione rigorosamente importata dagli Stati Uniti, in quel giorno moltissimi negozi reali e virtuali faranno sconti da periodo di saldi. Anche se ormai più che di Black Friday si dovrebbe parlare di Black November.

Sarà la crisi che non passa, sarà la competizione tra rivenditori anche online, fatto sta che sono molti i commercianti che hanno iniziato a praticare prezzi ribassati da giorni. Qualcuno li chiama “mid season sales”, ma il risultato è sempre lo stesso: sconti per chi vuole comprare. Ikea, per esempio, ha lanciato i “black days”, la piattaforma online ePrice la “black hour”.
E coloro che vogliono comprare sono molti soprattutto in questo periodo che precede il Natale: tra regali e cambio di stagione gli acquisti da fare possono essere molti. Ma se le offerte non mancano, bisogna stare attenti alle truffe, come sottolinea il Sole 24 Ore:
i giorni del Black Friday e del Cyber Monday, infatti, sono molto propizi per le truffe online, con un aumento considerevole soprattutto del phishing (il metodo delle mail esca con link fasulli).

Per proteggersi dalle truffe gli esperti di Kaspersky Lab consigliano di prendere le seguenti precauzioni:

  • non cliccare su alcun link ricevuto da persone sconosciute o su link sospetti inviati da amici sui social network o via email. Potrebbe trattarsi di link nocivi, appositamente creati per scaricare malware sui dispositivi o per rimandare a pagine di phishing che mirano a rubare le credenziali degli utenti;
  • non inserire i dettagli della carta di credito su siti sconosciuti o sospetti, per evitare di farli cadere nelle mani dei cyber criminali. Se questi siti offrono offerte vantaggiose che sembrano troppo buone per essere vere, probabilmente appartengono ai criminali;
  • controllare sempre che il sito sia autentico prima di inserire le proprie credenziali o informazioni personali (è meglio controllare almeno l’url). I siti fasulli potrebbero sembrare proprio come quelli autentici; installare una soluzione di sicurezza sui propri dispositivi, con tecnologie integrate progettate per prevenire le frodi finanziarie.

domenica 19 novembre 2017

Vault 8/ Hive, la CIA impersonava Kaspersky

di Elia Tufarolo
Fonte: Punto Informatico

Roma - Nei giorni scorsi WikiLeaks ha creato una nuova serie di pubblicazioni, Vault 8, dedicate a materiale classificato di proprietà della CIA. All'interno di Vault 8 saranno pubblicati esclusivamente i codici sorgenti relativi ai prodotti e alle soluzioni già rilasciate dall'organizzazione attraverso la serie Vault 7.

La prima di queste pubblicazioni rivela per l'appunto il codice sorgente di Hive, l'infrastruttura di command-and-control di cui WikiLeaks aveva pubblicato diversi manuali qualche mese fa.

Hive è una piattaforma di comunicazione che veniva utilizzata dalla CIA in modo da avere un canale di comunicazione tra gli operatori dell'agenzia e i malware installati sui computer bersaglio delle operazioni. Il duplice scopo del canale sicuro fornito da Hive era quello di inviare comandi e di esfiltrare dati.
Il funzionamento di Hive è il seguente: i malware comunicano in HTTPS con dei server nascosti della CIA, chiamati Blot: come tramite della comunicazione vengono utilizzati dei server VPS, appositamente anonimizzati con l'utilizzo di domini di copertura; tra i server VPS e i server Blot vi sono una serie di connessioni VPN.

I server Blot utilizzano la non comune opzione del protocollo HTTPS "Optional Client Authentication", in modo da ingannare gli eventuali utenti che stiano visitando i domini registrati dalle VPS, dirigendo il loro traffico Internet su dei server di copertura che contengono dati non sensibili; i malware, invece, effettuano la loro autenticazione per mezzo di un certificato e il loro traffico viene direzionato su un gateway di gestione chiamato Honeycomb.

Tuttavia, la notizia più significativa relativa a questo ennesimo leak riguarda uno dei certificati utilizzati dalla CIA per operazioni di questo tipo: un "fake" registrato a nome di Kaspersky Lab e firmato dalla certificate authority sudafricana Thawte Premium Services.

Eugene Kaspersky, CEO e fondatore di Kaspersky Lab, ha recentemente dichiarato su Twitter di non avere niente a che fare con il suddetto certificato.

In conclusione, WikiLeaks dichiara che i contenuti relativi alla serie Vault 8 non conterranno vulnerabilità di tipo 0-day; per quanto riguarda Hive è possibile scaricare il repository git, su cui sono disponibili diversi branch e la history dei commit.

Elia Tufarolo

Fonte Immagine

test velocità

Test ADSL Con il nostro tool potrete misurare subito e gratuitamente la velocità del vostro collegamento internet e ADSL. (c) speedtest-italy.com - Test ADSL

Il Bloggatore