Fonte:
Il Fatto Quotidiano Zonaeuro | 27 Giugno 2019
Stop TTIP
di Monica Di Sisto
“Siamo
a un bivio. L’Unione Europea non può permettersi di abbandonarsi a
argomenti populisti e protezionisti sulle politiche commerciali,
un’area in cui i risultati dell’Ue sono
innegabili.
Dobbiamo avvantaggiarci della situazione politica odierna nei Paesi del
Mercosur e non lasciare che questa finestra di opportunità si chiuda”.
Parole della democratica cristiana
Angela Merkel che,
in una lettera del 20 giugno scorso all’uscente presidente della Commissione Ue Claude Juncker,
pubblicata da Politico, intima senza mezzi termini di chiudere prima dell’addio definitivo alla Commissione Ue il controverso
Trattato di liberalizzazione commerciale e degli investimenti tra Europa e Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay). Secondo Merkel, apprendiamo, il populismo si batte a colpi di accordi con l’autoritario presidente brasiliano
Jair Bolsonaro,
che con il suo arrivo ha accelerato il negoziato in corso da oltre
venti anni. I suoi predecessori avevano avanzato lenti, tra timori e
resistenze, per i possibili impatti ambientali e sociali legati a una
prevista intensificazione degli scambi di prodotti agricoli e
alimentari, latte e carni ma anche soia e canna da biodiesel, parti di
auto, auto e meccanica. Merkel motiva la scelta, senza tante perifrasi,
con “un accesso privilegiato a
un mercato di 260 milioni di consumatori per le nostre aziende”, e si porta dietro nella richiesta i premier socialisti spagnolo
Pedro Sanchez e portoghese
Antonio Costa, il premier della Repubblica Ceca
Andrej Babis, duramente contestato in questi giorni per frode, quello della Lettonia
Krisjanis Karins, il primo ministro svedese
Kjell Stefan Löfven e quello olandese
Mark Rutte.
A lei oppone la “controspinta” del premier francese
Emmanuel Macron che, unendo la sua firma a quella del primo ministro polacco
Mateusz Morawiecki, del premier belga
Charles Michel e del loro collega irlandese
Léo Varadkar,
ha chiesto invece a Juncker di rispettare precisi limiti di mandato:
valutare gli effetti cumulativi delle quote negoziate nei vari accordi
firmati alla spicciolata dall’Unione, soprattutto sulla tenuta del
settore agricolo; una più forte garanzia delle norme sanitarie,
fitosanitarie, del benessere degli animali e ambientali; la coerenza
politica tra gli obiettivi strategici dell’Ue in materia e le
responsabilità in materia di cambiamenti climatici, per evitare il
prevedibile
dumping ambientale che arriverà alle
imprese europee con questa ulteriore liberalizzazione. Al momento, però,
le preoccupazioni di Macron sono considerate
marginali dai negoziatori e il trattato dovrebbe arrivare indisturbato a conclusione
entro la fine della settimana,
senza alcuno dei meccanismi di controllo vincolante dell’impatto sulla
sostenibilità sociale e ambientale chiesti da molti anni dalle
organizzazioni internazionali.
Il governo italiano, che apertamente non si schiera, con il sottosegretario
Ricardo Merlo ha parlato con il ministro dell’Economia brasiliano
Paulo Guedes a cento rappresentanti delle imprese italiane in missione in Brasile sottolineando che “
l’Italia guarda con molto interesse all’evoluzione del progetto politico e economico di Bolsonaro visto che le economie dei due Paesi sono assolutamente complementari”.
Oltre 340 organizzazioni della società civile europea, italiana e del Mercosur,
però, hanno messo nero su bianco le loro preoccupazioni contro
l’aggravamento delle violazioni dei diritti sociali e dell’ambiente
soprattutto in Brasile e nella regione Amazzonica, a seguito
dell’approvazione del trattato. L’attacco alle politiche sociali, la
chiusura seriale di associazioni e realtà indigene, l’incarceramento e
le morti misteriose di attivisti e leader, l’abolizione del dipartimento
per le politiche su clima e ambiente, responsabile
dell’implementazione dell’
Accordo di Parigi suggerirebbero, secondo le oltre 300 realtà, di non correre a chiudere un accordo tanto
invasivo.
La stessa valutazione indipendente di impatto del trattato richiesta dalla Commissione europea e chiusa prima dell’arrivo di Bolsonaro alla guida del Brasile, segnala molti potenziali problemi a fronte di uno
0,1%
di aumento presunto del Pil europeo in un periodo di 10 anni
dall’entrata in vigore nella formulazione più liberista possibile. Per
l’Europa il colpo principale lo subirà, e molto secco, il settore
agricolo, zootecnico e della trasformazione piccola, media e di qualità,
con una concorrenza diretta e insostenibile sui produttori di materie
prime e una prevedibile – ulteriore – depressione dei prezzi interni,
concentrazione e sottoccupazione. In cambio si facilita un maggiore e
più economico accesso delle aziende europee del settore metalmeccanico,
chimico e farmaceutico – strategiche per la Germania – al ricco mercato
latinoamericano. Il Brasile in particolare, in generale la
controparte, lo pagherà in termini di impatti sociali e ambientali, con
una più intensa, prevista,
deforestazione, e un
aumento progressivo delle emissioni contro le quali la valutazione
raccomanda di prevedere l’inserimento di un meccanismo di valutazione e
monitoraggio.
Al momento, però, nelle bozze circolate
informalmente fino a oggi, di meccanismi vincolanti non c’è traccia, e
si approfitta da parte europea dell’insensibilità del leader brasiliano
alla materia per tenere le mani delle imprese il più slegate
possibile. “Un trattato commerciale non può risolvere
tutte le miserie del mondo. Ma possiamo creare un contesto per discuterne”,
ha tagliato corto la commissaria uscente al Commercio Cecilia Malmstrom
che vuole appuntarsi sulla giacca questo successo costi quel che costi.
E della presunta “Europa campione dell’ambiente” per il momento è
tutto.
Zonaeuro | 27 Giugno 2019