Fonte: Il Fatto Quotidiano Società | 2 Luglio 2019 Diego Fusaro
Dopo la soglia epocale del 1989, si è registrato l’avviamento della quarta guerra mondiale, come l’ha battezzata Costanzo Preve.
Successiva alla terza (la cosiddetta “Guerra Fredda”), è la guerra che
la vincente monarchia talassocratica del dollaro ha dichiarato a
chiunque non pieghi al nuovo ordine mondiale, ad esso sottomettendosi
docilmente. È, per sua essenza, il bellum permanente che il Leviatano a stelle e strisce ingaggia contro gli oppositori della mondializzazione con capitale a Washington:
suddetti oppositori o si rassegnano al loro inedito ruolo di colonie
periferiche o terminano le loro esistenze terrene mediante l’intervento
degli eserciti del Bene made in Usa.
Figura centrale della nuova mise en forme
del conflitto, il nuovo imperialismo etico con democrazia missilistica
incorporata, decreta che sono “governi legittimi” sempre e solo quelli
che traggono la propria legittimità dal Fondo Monetario Internazionale
e non certo dalla volontà politica del popolo sovrano. Santificato dal
clero intellettuale composto da assordanti megafoni dell’atlantismo
mondialista e neocoloniale, il Leviatano a stelle e strisce sempre di
nuovo ricorre alle guerre umanitarie e alle sovversioni colorate per
giustificare e nobilitare l’espansionismo neocolonialistico.
Una tale superbia,
gravida di irresponsabilità, richiama magneticamente alla mente le
parole del Trattato politico (VII, 27) di Spinoza: “La superbia è
propria dei dominanti” (dominantibus propria est superbia).
Il pacifismo è, a tutti gli effetti, l’ideologia di giustificazione dell’imperialismo Usa, ossia della santificazione della sola violenza legittima dei dominanti: esso destruttura lo ius resistentiae e il suo fondamento, per cui alla violenza è giusto reagire con la violenza (vim vi repellere licet).
Figura, di fatto, come l’introiezione, da parte dei dominati,
dell’ordine dominante, che chiede di essere “pacificamente” accettato
così com’è, senza sollevazioni e senza spirito di scissione.
In questa luce di neo-colonialismo occultato e incensato come “interventismo umanitario”
deve essere letta, tra l’altro, la normalizzazione euro-atlantica delle
aree dell’ex Unione Sovietica, nel frattempo sprofondata nell’abisso
post-1989.
L’espansione della Nato a Est avvenne per il tramite dell’adesione all’Alleanza atlantica, instrumentum
privilegiato dell’imperialismo geopolitico alla mercè degli interessi
del cosmomercatismo finanziario della monarchia a stelle e strisce, da
parte delle repubbliche ex-sovietiche di Georgia e Ucraina, successivo a
quello del 2004 dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania.
L’obiettivo era, chiaramente, la rioccupazione dello spazio geopolitico
post-sovietico, includendo nell’alleanza atlantica la Moldavia, la Georgia e l’Ucraina e sottraendo territori e influenza alla Russia visibilmente depotenziata dopo il 1989.
Mediante le “rivoluzioni colorate”
– la nuova forma del golpe postmoderno –, vengono metodicamente
rovesciati i governi non allineati e non ancora retti dalla norma della
free market democracy.
In seconda battuta, tali aree vengono
depredate mediante speculatori d’ogni sorta, presentati sotto la
categoria – nobilitante quanto fuorviante – di “investitori stranieri” (o, non di rado, di “filantropi”). Fu, tra l’altro, il caso della Serbia post-1999,
grazie alla rivoluzione colorata gestita dal gruppo Otpor
(“resistenza”), la srl della rivoluzione, scuola del golpe postmoderno a
beneficio del nuovo ordine mondiale. Essa era composta da ammiragli
del mondialismo, da alfieri della modernizzazione capitalistica e da
araldi del liberalismo cosmopolitico a open mind e open society
illimitate. Costoro erano foraggiati a flusso continuo della finanza
internazionale e appoggiati ideologicamente a reti unificate dal circo
mediatico e dal clero postmoderno (la rete televisiva atlantista MTV in
prima fila).
Fu quanto avvenne, ad esempio, con la “rivoluzione delle rose” in Georgia
nel 2003, per il tramite di un regime change anti-russo e
filo-atlantista. Fu, ancora, quanto si verificò con le cosiddette
“primavere arabe”, il cui obiettivo corrispondeva alla dissoluzione dei
nazionalismi arabi e all’occidentalizzazione dei Paesi con politica e
immaginario non ancora integralmente saturati dalla forma merce .
Società | 2 Luglio 2019
Nessun commento:
Posta un commento