sabato 3 giugno 2017

Legge elettorale, com’è fatto il sistema venduto per tedesco che tedesco non è..

di | 2 giugno 2017  Il Fatto Quotidiano

Ancora una volta lo chiamano “tedesco” e ancora una volta non c’entra niente. Lo chiama così Matteo Renzi, lo chiama così Silvio Berlusconi, lo chiama così Beppe Grillo che, anzi, ha parlato di tedesco quando ha fatto votare ed approvare agli iscritti M5s il via libera all’intesa tra i tre Grandi del Parlamento. Ma col tedesco la legge elettorale in discussione alla Camera non c’entra niente. Di sicuro c’è che il nuovo sistema che ha già raggiunto un record: è il più contorto e complicato della storia della Repubblica che oggi festeggia il compleanno. Di sicuro si tornerà alle nottate elettorali e ai calcoli che non finiscono nemmeno all’alba. Di sicuro allungherà la vita all’eterna promessa: “Avremo un vincitore la sera delle elezioni”. Col cavolo: un vincitore quella sera non ci sarà. “Garantisce governabilità e rappresentanza” assicurano tutti quelli che la sostengono. Ma se c’è una cosa certa è che con questa legge la notte delle elezioni non si saprà quale maggioranza sosterrà quale governo, ma che sicuramente ci sarà ben oltre metà del Parlamento composto da nominati dei dirigenti di partito.
Cos’ha di tedesco, dunque, questa legge? “Nulla – dice in un’intervista al Fatto il costituzionalista Andrea Pertici – tranne la soglia di sbarramento al 5 per cento”. “Non è il sistema tedesco” conferma Walter Veltroni in un’intervista al Corriere della Sera. “Non c’è la sfiducia costruttiva – sottolinea – Ci sono 5 anni di fibrillazione e lacerazioni interne ai partiti, che con il proporzionale si sentiranno liberi di fare tutto quel che vogliono. C’è il trionfo del trasformismo. Già in questa legislatura ci sono stati 491 cambi di casacca; figuriamoci nella prossima”.
L'intero articolo su Fatto Quotidiano.. con annesso in basso un link al secondo capitolo ancora più interessante di questo.
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Se queste sono le premesse, stavolta faranno a meno del mio voto e del mio tempo per andarci.....

mercoledì 31 maggio 2017

M5S + sinistra: si può?

di | 31 maggio 2017  Il Fatto Quotidiano

Ieri Marco Travaglio ha immaginato, o per meglio dire auspicato, quello che sarebbe di gran lunga il migliore scenario possibile post-elezioni. Ve lo riassumo: si va a votare a ottobre con il sistema tedesco, che è peraltro una legge discreta. Ovviamente c’è il rischio che venga snaturato, per esempio con i capilista bloccati (li prevede il “Rosatellum”, e già il nome fa schifo) o con uno sbarramento al 3% invece del 5% per fare un contentino a nessuno (cioè Alfano, che comunque forse non raggiungerebbe neanche il 3%).
Le tre maggiori forze (PD, M5S, centrodestra) non sono in grado di governare da sole. Qui qualcuno dirà “Noi arriveremo al 50% più uno”, ma di fronte alle dichiarazioni lisergiche non ha senso controbattere. Quindi si riparte col Renzusconi, proseguendo l’inciucione che va avanti da 6 anni (Monti ruleZ). Questo scenario è il peggiore possibile. Quindi accadrà, perché l’Italia politicamente non è redimibile, altrimenti non avrebbe sopportato per decenni i Mussolini, gli Andreotti, i Craxi, i Berlusconi e i Renzi. Oltretutto c’è chi afferma che, “perdendo” con il 30/35% dei voti, i 5 Stelle sarebbero nella condizione ideale: forti nel fare opposizione, ma senza responsabilità nazionali. Sarebbero liberi di vedere il sicuro sfacelo altrui, macinerebbero ulteriore esperienza per poi battere cassa alle elezioni del 2022 (o molto prima). Possibile.
Marco ieri ha proposto l’unica alternativa: le frattaglie di sinistra si uniscono, da Bersani a Pisapia a Civati a Fratoianni eccetera; trovano un leader credibile, sperando nell’effetto Melenchon; e raccattano un 5-10%. A quel punto i 5 Stelle, qualora baciati da un largo consenso (e non è affatto detto), dovrebbero bussare alla porta della sinistra, per fare un governo di scopo con pochi punti fondamentali. Per esempio reddito di cittadinanza, seria legge anticorruzione, legge sul conflitto di interessi, lotta all’evasione, recupero del sommerso, abolizioni dei vitalizi e più in generali degli sprechi, interruzione delle cosiddette “grandi opere” (inutili). Eccetera. Non un’alleanza pre-elettorale, ma un accordo programmatico post-elettorale limitato ad alcuni punti. Del resto, nel Parlamento Europeo, il M5S vota quasi sempre con la sinistra (alla faccia dell’alleanza tattica con Ukip) e il Pd quasi sempre col centrodestra: “Renzusconi” esiste già e l’unico a non averlo capito è Zucconi. Tale accordo, per quanto complicato per motivazioni personali ma pure politiche (pensate alla tematica migratoria e a quella europeista), sarebbe possibile. E sarebbe bello. Ma non credo che accadrà. Per questi motivi.
il resto del'articolo sul Fatto Quotidiano

martedì 30 maggio 2017

Risparmio e Pir, l’ultima trovata del Tesoro per rilanciare l’economia a spese delle famiglie

di | 30 maggio 2017  Il Fatto quotidiano

Si chiamano Piani individuali di risparmio (Pir). E sono l’ultima trovata del Tesoro per racimolare denaro fra i risparmiatori nell’intento di finanziare le imprese e sostituire il più possibile il credito bancario. Non è detto però che siano un affare per i piccoli investitori che da un lato non pagheranno tasse sui rendimenti, ma dall’altro non avranno garanzie su guadagni e capitale. Come nel caso dei fondi di investimento, i ritorni dei Pir sono infatti legati a doppio filo con la performance delle aziende su cui il gestore deciderà di puntare investendo in azioni ed obbligazioni.
A differenza degli altri prodotti finanziari in circolazione, i Pir hanno come maggior vantaggio l’esenzione dall’imposta sui redditi da capitale (26% per azioni e bond, 12,5% per i titoli di Stato). A patto di non toccare i soldi per almeno cinque anni. Inoltre promettono rendimenti cospicui, anche se non stellari. I gestori dei Pir proposti dalla società di gestione di risparmio di Banca Intesa, Eurizon, prevedono, ad esempio, un rendimento annuo fra il 3 e il 7 per cento. Si tratta di guadagni consistenti in tempi di tassi bassi. Ma non è tutto oro quel che luccica: questi prodotti che, al momento, sono distribuiti da banche e assicurazioni, ma che ben presto faranno capolino anche allo sportello postale, potrebbero riservare sorprese inattese ad un risparmiatore poco avvezzo al gergo finanziario.
Innanzitutto il rendimento atteso non è una certezza, ma una previsione lorda di redditività. Dall’eventuale guadagno bisognerà poi sottrarre le commissioni bancarie che, a seconda dell’intermediario e del prodotto, variano fra l’1,15 e il 5 per cento. Inoltre, si dovranno anche detrarre le spese di gestione che variano fra l’1 e il 2,5 per cento del capitale investito. Nel caso poi la performance del Pir sia positiva, va anche detratta una commissione di risultato che varia fra il 10 e il 25 per cento. Così alla fine la convenienza rispetto ad un buon conto deposito o ad un altro prodotto finanziario è tutta da verificare.
... Il resto sul Fatto Quotidiano
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in ogni caso, anche senza voler leggere l'intero articolo, a me pare chiaro che stanno per l'ennesima volta truffandoci!!!!

lunedì 29 maggio 2017

Da “delinquente naturale” ad alleato abituale del Pd: ricordate chi è Berlusconi (Gianni Barbacetto)

Amnesie – Il Caimano torna sulla scena come interlocutore dell’ex rottamatore per fare la legge elettorale e da argine al “populismo”. Ma il suo passato è tutto una macchia.Silvio torna. Sì, Berlusconi si prepara a essere di nuovo al centro della vita politica italiana. Come leader del suo schieramento, che non ha trovato un “federatore”. Ma anche come interlocutore privilegiato, anzi unico, del centrosinistra di Matteo Renzi, per fare la legge elettorale. Intendiamoci: nel centrosinistra per vent’anni hanno ripetuto che non bisognava demonizzarlo. Ma allora almeno qualcuno c’era a ricordare ogni giorno i conflitti d’interessi, le amicizie pericolose, le indagini penali. Del resto, occupava la scena politica e parlare con lui, se non trattare con lui, poteva apparire scelta obbligata.
Oggi invece il sistema politico di cui Berlusconi era diventato il perno è saltato, la scena è cambiata, le sue forze si sono ridotte, le sue schiere sfrangiate, il bipolarismo non c’è più. Eppure c’è chi cerca un nuovo patto del Nazareno. Il leone è invecchiato, ha incassato sonore sconfitte, si è indebolito politicamente, è stato sostituito da nuovi narcisismi a Palazzo Chigi. Ma tutto questo sembra valergli una sanatoria generale, una amnistia della memoria. Il Caimano è dimenticato, oggi Silvio è un partner strategico con cui Renzi può fare argine al male assoluto: il “populismo”. Forse vale però la pena di fare un esercizio di memoria e di ricordare chi è Silvio Berlusconi, il politico unfit all’estero, pregiudicato in Italia.
La sentenza che lo butta fuori dalla scena politica (per ora) è del 1 agosto 2013: la Corte di cassazione conferma 4 anni di pena per frode fiscale. Perché ritiene provato al di là di ogni ragionevole dubbio che Berlusconi, quando già era in politica e formalmente non più alla guida delle sue società, abbia nascosto cifre imponenti al fisco italiano e agli altri azionisti di Mediaset. La condanna riguarda “solo” 7,3 milioni di euro, occultati negli anni 2002 e 2003. Altri 6,6 milioni (del 2001) sono stati cancellati dalla prescrizione. Ma in totale, scrivono i giudici, “le maggiorazioni di costo realizzate negli anni” sono di ben “368 milioni di dollari”. Nella sentenza di primo grado, i giudici scrivono che l’imputato ha una “una naturale capacità a delinquere”. Può essere richiamato in scena, come alleato politico, un personaggio che ha nascosto al fisco 368 milioni di dollari?
Ma è lunga la storia imprenditoriale e politica di Berlusconi, che spesso coincide con la sua storia giudiziaria: 35 procedimenti penali, sette prescrizioni, una amnistia, due proscioglimenti per leggi modificate su misura in corso d’opera, quattro processi ancora in corso. Tra questi, il Ruby 3, per aver pagato testimoni affinché mentissero al processo Ruby 1 (per concussione e prostituzione minorile, nel quale è stato assolto anche grazie al cambiamento della legge sulla concussione).
Certo è stata ormai dimenticata la sentenza che condanna il suo vecchio avvocato, Cesare Previti, per aver comprato la sentenza che ha fatto diventare proprietà di Berlusconi la Mondadori, la più grande casa editrice italiana. Per lui è arrivata la prescrizione, grazie alle attenuanti generiche: ma che la sentenza sia stata comprata da Previti, per Berlusconi e con i soldi di Berlusconi, è provato, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Per non andare troppo indietro nel tempo, della Prima Repubblica possiamo qui ricordare solo una delle mazzette che hanno fatto la storia di Tangentopoli: ma è la mazzetta più grande pagata a un singolo uomo politico, 23 miliardi di lire a Bettino Craxi, segretario del Psi e gran protettore del Silvio Berlusconi diventato padrone unico delle tv private italiane. Il processo All Iberian si è concluso con un’ennesima prescrizione (grazie alla generosità del giudice che gli ha concesso le attenuanti generiche, dimezzando così i termini), ma il finanziamento illecito dei 23 miliardi è stato riconosciuto provato. Delicato il capitolo palermitano della irresistibile ascesa dell’imprenditore diventato politico.
È in carcere per mafia Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi e ideatore di Forza Italia, condannato nel 2014 a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, per aver fatto da mediatore tra Silvio Berlusconi e Cosa Nostra, a cui giungevano finanziamenti da Arcore. Ma già una sentenza irrevocabile del 1997 stabiliva, condannando per associazione mafiosa l’uomo d’onore Pierino Di Napoli, che certamente la Fininvest di Silvio Berlusconi versava ogni anno 200 milioni di lire a Cosa Nostra per la “protezione delle antenne tv in Sicilia”. I soldi passavano da Dell’Utri al suo amico Gaetano Cinà, che poi li consegnava a Pierino Di Napoli, il quale andava dal boss Raffaele Ganci con un sacchetto di plastica e gli diceva: “Raffaele, questi i soldi delle antenne”. Poi – dice la sentenza – Ganci si presentava da Totò Riina e gli consegnava il pacchetto: “Zu’ Totuccio, vedi che Pierino ha portato i soldi delle antenne”. (Particolare temporale: i versamenti sono continuati anche dopo il 1992, anno della strage in cui è morto Giovanni Falcone, di cui ora Berlusconi si dice tifoso. Tanto tifoso da continuare a versare 200 milioni ai suoi assassini).
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 25/05/2017.

domenica 28 maggio 2017

Economia e conti pubblici, privatizzazioni a favore di cosa?

di
di Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia
Abbiamo appena ottenuto l’ok alla manovra correttiva di Bilancio da parte dell’Unione Europea e già il pensiero è rivolto alla nuova legge di Bilancio da approvare in autunno. Tanto difficile da confezionare che le forze politiche stanno pensando di anticipare le elezioni ad una data anteriore, giusto per non perdere voti. Volgiamo l’attenzione alla (solita) voce dei Bilanci statali dedicata alle privatizzazioni. Quelle che la dottrina individua come dismissioni o cessioni di quote partecipative, perché le privatizzazioni tramite cambio di veste giuridica delle società per ora non ci riguarda.
Di “privatizzazioni” cominciano a parlare i documenti ufficiali di programmazione economica nel 1992, anche se le norme che regolano la vendita di società pubbliche (sia una quota del capitale che l’intera partecipazione) sono quelle del Regolamento generale di contabilità dello Stato (art. 37 del R.D. 827 del 1924).
Quelle prime privatizzazioni italiane recavano la firma di Giuliano Amato e Mario Draghi. Lo Stato allora controllava ancora quasi tutto il sistema produttivo e bancario: banche, ferrovie per l’intero e settore aereo, autostrade, gas, elettricità e acqua, telefonia, tanta parte della produzione siderurgica e altro ancora. Quel piano fu il primo a prevedere delle privatizzazioni spinto dall’urgenza di risanare i conti pubblici. Si partì quindi da subito con Credito italiano e Banca commerciale italiana, per proseguire con Telecom Italia e, nel 1999 durante il Governo D’Alema, autostrade e porzioni di Enel.
Leggendo la Relazione al Parlamento sulle privatizzazioni, redatta dalla direzione Finanza e Privatizzazioni del dipartimento del Tesoro e pubblicata nel dicembre 2016, si possono scoprire le operazioni di vendita delle partecipazioni azionarie prima possedute dal ministero dell’Economia, concluse tra inizio 2011 e fine 2016, con i rispettivi incassi. Sono interessanti inoltre i dati di sintesi delle somme incassate dallo Stato con la cessione di quote possedute in società varie, a partire dal 1994, anno nel quale si approvò la norma più recente relativa alle procedure di dismissione del patrimonio statale (L. 474/1994) e che vide una accelerazione delle vendite di partecipazioni dello Stato in società per azioni. Ebbene, leggendo questi dati, apprendiamo che da tale data, grazie alla vendita di azioni lo Stato ha incassato 110 miliardi netti. Maggiori incassi tramite le cessioni di azioni dell’Enel (35,7 miliardi), dell’Eni (28,5 miliardi) e di Telecom (12,0 miliardi

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