I Giochi d’inverno senza la Russia, i Mondiali di calcio senza l’Italia: il 2018 si annuncia, almeno nello sport, come l’anno dei Grandi Assenti. Ma anche la scena politica internazionale presenta, proprio al centro, un grande vuoto: alla governance globale, nella lotta al cambiamento climatico, nella ricerca della pace in Medio Oriente, mancano all’appello gli Stati Uniti, che il presidente Trump sottrae alle responsabilità da Grande Potenza e relega al ruolo di cerbero che ringhia ai propri confini, geografici o economico-commerciali.
Mark Landler, sul New York Times, scrive che con il magnate presidente il Mondo non guarda più agli Usa come a un’ancora dell’ordine internazionale, ma a un’entità più introversa e imprevedibile.
L’irrilevanza americana, che era in parte già emersa nel doppio mandato del riflessivo e auto-critico Barack Obama, è stata percepita con più forza nel primo anno alla Casa Bianca di Donald Trump, ‘twittatore in capo’ impulsivo e iper-reattivo. Il voto all’Onu contro la decisione di trasferire l’Ambasciata degli Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme dà una misura del consenso mondiale intorno alle scelte americane: con Trump, a parte Usa e Israele, solo Guatemala, Honduras, Togo, Micronesia, Narau, Palau, le Isole Marshall, lo 0,3% della popolazione mondiale.
Altra presenza diafana, sulla scena politica europea e internazionale, è stata – e resterà per mesi – quella italiana: sciolte le Camere, l’Italia si prepara a (altri) due mesi di campagna elettorale. Eppure, gli impegni internazionali restano inalterati: Roma sarà, ad esempio, alla guida dell’Osce nel 2018, puntando a ricalibrare l’agenda dell’Organizzazione sul tema delle migrazioni (oltre che sul dialogo fra Est e Ovest). Proprio sulla gestione dei flussi dalla Libia, l’Italia rischia un’accusa di complicità nella violazione dei diritti umani dei migranti ‘ospitati’ nei centri libici.