giovedì 31 agosto 2017

Sud in crisi, ma di chi sono le responsabilità?


Non tutti condividono l’idea che le classi dirigenti del Mezzogiorno abbiano una significativa fetta di responsabilità sui ritardi che ancora gravano su questa parte del paese. Alcuni ritengono che sia una lettura eccessiva, altri svicolano, attribuendo buona parte delle responsabilità ai Savoia, Garibaldi e Cavour. Riuscendo, in una sola mossa, a distrarre chi li segua dal dovere/diritto di individuare i ben più recenti responsabili delle scelte che danneggiano il Sud. Altri ancora preferiscono (non credo in buona fede) spiegare l’inefficacia in termini antropologici, come se si trattasse di un fatto connaturato e ineludibile.
C’è indubbiamente una mancanza di controllo da parte della popolazione: sui politici e sugli apparati burocratici. C’è un’imperdonabile mancanza di lucidità nel decifrare i progetti retrostanti le proposte politiche. Un esempio? Le vagonate di voti prese al Sud dai partiti che hanno sostenuto le “macellerie sociali” dei governi del nuovo millennio. Pensate ai relativi sostenitori locali che tante scelte hanno avallato, con l’azione politica o subìto, per obbedienza di scuderia, scarsa lucidità o personali logiche di potere. Le politiche di questi governi hanno depresso drammaticamente il Mezzogiorno. I dati Istat, Svimez e Bankitalia sono lì che attendono chi non ci credesse. Certo, la selezione della classe dirigente al Sud è complicata dalle condizioni al contorno: tassi di disoccupazione e di povertà paurosamente elevati favoriscono scelte viziate da fenomeni come il voto di scambio e la corruzione.
Come spesso riportato in questo blog, gli investimenti pubblici sono stati tagliati al Sud che ha pagato lo scotto in termini di servizi e infrastrutture e, soprattutto, welfare. Nel quinquennio 2008-2013 spesa sociale e welfare sono stati tagliati, su tutto il territorio nazionale. Ma le conseguenze più gravi si sono viste al Sud: “Nel 2007 la spesa pro capite per il welfare nei comuni italiani presentava un ampio spettro: si andava dai 755 euro pro capite di Bolzano e i 720 di Trento, in cima alla classifica, fino agli 85 euro pro capite di Vibo Valentia e i 74 di Crotone”, si legge in Buonanotte Mezzogiorno! (Carocci editore) di Tonino Perna e Flavio Mostaccio. Un decimo circa, per i calabresi. In questa classifica risultavano avvantaggiati i comuni delle regioni autonome, visto che i comuni meridionali con maggiore spesa per il welfare risultavano essere quelli sardi e quelli siciliani. Mentre gli ultimi venti posti della classifica risultavano occupati da soli comuni meridionali peninsulari, con meno di 200 euro pro capite. Poco più avanti leggiamo, però, che il trasferimento statale alle regioni vede ai primi posti proprio le regioni meridionali e del Centro: Basilicata, Molise, Liguria, Umbria e Calabria occupano i primi posti. La sorpresa (ma neanche tanto) sta nell’apprendere che “una parte considerevole di questi trasferimenti va alla voce ‘spesa per il personale’”.
Un aspetto degno di nota, peraltro compatibile col dato appena presentato, è rappresentato dalla persistenza di enti elefantiaci che, pur privi di senso, vengono mantenuti in piedi al sol fine di garantire un livello occupazionale socialmente sostenibile.
Poco più avanti un’altra sorpresa, apparentemente contraddittoria: “Se analizziamo, infatti, i dati della spesa sanitaria pro capite in Italia, possiamo osservare come non vi sia una grande differenza tra le regioni italiane: nel 2013 essa è di 1816 euro, in calo del 2.10% rispetto al 2010, quando la spesa sanitaria pro capite era di 1860 euro. […] L’elemento assai rilevante, però, è che regioni come la Calabria e la Puglia, pur spendendo quanto il Veneto e poco meno della Lombardia (Gianino, Tanzariello, 2014), offrono servizi sanitari di qualità nettamente inferiore”. Altrimenti non ci spiegheremmo il drammatico fenomeno dei cosiddetti “migranti della sanità”.
Come giustificare tutto questo? Non si tratta, in tutta evidenza, di un deficit di carattere eminentemente gestionale e amministrativo? Non bisognerebbe quindi spendere risorse ed energie, più che nel combattere battaglie retrospettive, per cercare di capire perché si assista a un simile dispendio di risorse senza che ai cittadini giungano servizi parimenti dignitosi? Al Sud occorrono trasparenza e onestà, ma anche l’individuazione dei responsabili dello status quo. Bisogna conoscere i numeri, in tempo reale, per poter chiedere conto degli stessi. Nuove forme di governance, facilitate dalle tecnologie ormai disponibili. Ma, in primis, occorre che la gente si occupi di politica, di come le risorse vengono amministrate (stando ai dati, non tanto bene).
(Ringrazio il prof Forges Davanzati per le illuminanti chiacchierate).
di | 29 agosto 2017

mercoledì 30 agosto 2017

Frontiere chiuse, cosa faranno dopo? (Furio Colombo)

Frontiera! Frontiera! Cosa importa se si muore. Basta un grido di valore che il nemico arresterà!”. Queste erano le prime parole di un inno fascistafatto ripetere senza fine dai bambini, nelle scuole di regime degli anni Trenta, quando era essenziale inculcare nella testa dei piccoli due concettiche rendono facile, anzi naturale, accettare la guerra.
Uno è che la frontiera esiste non per definire un territorio, ma per essere chiusa e ben guardata, in modo che non passi nessuno. L’altro è che fuori dalla frontiera (che dunque diventa “sacra e inviolabile” e vuole il sangue ) c’è sempre, per definizione, il nemico. Che cosa fa di mestiere il nemico? Invade. E infatti l’inno ti spiega che “il grido di valore il nemico arresterà”. Ovvero, prima che invada lui, invadiamo noi. Il nemico, come dice la parola stessa (e l’inno, in un altro punto ) è “codardo”. E allora (altro inno) “Nizza, Savoia, Corsica fatal, Malta baluardo di romanità. Tunisi è nostra, nostro il nostro mar, tuona la libertà” (intesa come espansione e dominio).
Segue “In armi, Camicie Nere! In piedi, fratelli Corsi!” e la lezione dell’indottrinamento (con buona pace di molti leghisti, che si schierano accanto a CasaPound, ma vorrebbero solo sbarazzarsi dei ”neger” e il diritto di sparare in casa), è completa: sbarrare le frontiere non vuol dire nientese non segue la proclamazione della guerra (“Siamo in guerra!” ti ripetono i loro giornali, che chiamano già adesso “bastardi” quelli che sono fuori e che pretendono di entrare, pur professando la religione sbagliata e ignorando le tradizioni delle nostre valli).
L’Italia, Paese co-fondatore dell’Europa, non è solo l’autore della chiusura ai bastardi, in attesa che la Libia ci aiuti a fare di meglio. L’Italia è stata chiusa fuori a sua volta, da Austria, Francia, Polonia e Balcani. La nostra educata protesta si è sentita appena. Siamo fascisti solo a metà.
Articolo intero sul Fatto Quotidiano

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

lo posto perchè il suo punto di vista è sempre particolare e profondo anche se, lo dico per correttezza, non ne condivido completamente il contenuto.... la open society è un sogno e resterà tale

martedì 29 agosto 2017

Elettricità, se non passi al mercato libero la bolletta sarà più pesante

di | 29 agosto 2017  Il Fatto Quotidiano


Il Ddl Concorrenza, dopo un percorso lungo e accidentato, è giunto alla meta diventando legge dello Stato. Al suo interno ci sono norme importanti che riguardano il gas e l’elettricità di cui si è molto parlato. Soffermiamoci sull’elettricità.
La nuova legge ha definito la fatidica data di cessazione del servizio di maggior tutela: dall’1 luglio 2019 rimarrà solo il mercato libero e il servizio di salvaguardia. Dopo la liberalizzazione del sistema elettrico l’utente finale, sia domestico che aziendale, poteva liberamente scegliere il proprio fornitore, passando al mercato libero o restare dov’era, cioè nel cosiddetto “servizio di tutela” dove l’Autorità per il servizio elettrico, il gas e i servizi idrici (Aeegsi), ogni tre mesi stabilisce i prezzi delle bollette, calcolando il costo della parte energia in base ai costi sostenuti da una società pubblica (l’Acquirente Unico) creata appositamente per rifornire i clienti in questo servizio.
Cosa cambierà dal 1 luglio 2019?
Cesserà questo servizio e a chi non sarà passato nel frattempo al mercato libero rimarrà solo il servizio di salvaguardia che – si badi bene – è ben diverso dalla tutela anche se spesso vorrebbero che l’utente facesse confusione fra i due termini.
Sinora questo servizio era disponibile solo per le aziende (clienti con Partita IVA) che non avevano optato per un fornitore del libero mercato ed era stato istituito al fine di evitare che un cliente aziendale del mercato libero, rimasto senza contratto di fornitura, restasse senza elettricità (da qui la denominazione di “salvaguardia”).
Tale tutela però presenta un prezzo che, in alcuni casi, determina il raddoppio dei costi energetici ed è gestita da operatori territoriali di riferimento che regolano e definiscono le condizioni economiche e che sono a loro volta sottoposti al controllo dell’Aeegsi. Quindi nel mercato di salvaguardia il prezzo praticato è costituito da una componente energia, rappresentato dai prezzi di acquisto della “Borsa Elettrica” (PUN medio mensile) e dal parametro omega (Ω), che è una maggiorazione che rappresenta una sorta di penale per essere rimasti senza contratto (tecnicamente si tratta di un fattore di rischio).
Questo deve chiarire il significato dell’articolo 62 della nuova legge che di primo acchito può risultare poco chiara e che era già stata spiegata su questo blog. Quello che l’articolo dice è che non ci sarà alcun obbligo di passare al mercato libero (abolite quindi le aste di cui si parlava da un paio d’anni). Tuttavia, siccome non ci sarà più quello di tutela, chi non ci passerà finirà in quello di salvaguardia che sarà perciò aperto anche ai clienti domestici, ma che, così come già accade oggi per le imprese, sarà coperto con procedure per aree territoriali (quindi non nazionali: cioè una fornitura a Milano non sarà uguale rispetto a una a Firenze) e a condizioni che saranno peggiorative rispetto al mercato libero. Morale: se non passi al mercato libero pagherai di più.
Cosa accadrà da qui al luglio 2019
La legge stabilisce una serie di attività a carico dell’Autorità per cercare di traghettare tutti coloro che sono ancora nel servizio di tutela. In particolare allo scopo di rendere più facile la comparazione delle offerte del mercato libero, è prevista la realizzazione entro cinque mesi dall’entrata in vigore della legge, di un apposito portale informatico per la pubblicazione delle offerte vigenti sul mercato di vendita al dettaglio di energia elettrica e anche del gas. Inoltre, decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, gli operatori della vendita di energia elettrica o gas sul mercato italiano dovranno fornire almeno una proposta di offerta di fornitura di energia elettrica o gas a prezzo variabile e almeno una a prezzo fisso.
In verità l’Autorità ha già iniziato a lavorarci e dal prossimo anno le famiglie potranno scegliere dei nuovi contratti chiamati “Placet”. Le offerte Placet saranno offerte di mercato libero, dovrebbero essere offerte standard facilmente confrontabili fra diversi fornitori secondo una struttura stabilita dall’Autorità e non potrebbero includere la fornitura di servizi o di prodotti aggiuntivi, tipo sconti o omaggi; questo proprio per favorire la confrontabilità delle offerte economiche.
Il contratto avrà durata indeterminata, fatta salva la facoltà di recesso, con condizioni economiche rinnovate ogni 12 mesi e un prezzo comunque liberamente definito tra le parti. Con adeguato anticipo rispetto alla scadenza, il venditore dovrà informare il cliente, con apposita comunicazione, delle condizioni economiche applicate trascorsi 12 mesi e il cliente deciderà se aderire, anche in forma tacita. Accadrà quindi che alla scadenza del contratto di tutela simile, in assenza di una diversa scelta da parte del cliente, questo contratto proseguirà per un altro anno alle medesime condizioni contrattuali ed economiche (ma senza lo sconto una tantum iniziale non ripetibile) e successivamente, sempre in assenza di diversa scelta del cliente, sarà previsto il passaggio al mercato libero attraverso una offerta da parte delle aziende territorialmente competenti. Insomma, detto in soldoni e al di là delle spiegazioni tecnico-giuridiche di difficile comprensione e che noi abbiamo però cercato di esplicitare, l’ennesima fregatura del cliente – oggi ancora tutelato – a favore del libero mercato che rimane in trepida attesa.
di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli
di | 29 agosto 2017

lunedì 28 agosto 2017

Non ricordo..


il resto lo trovate sul Fatto Quotidiano
Si qualifica da sola, vero? Ora le frasi di circostanza sono di rito, alcuni esempi:
  1. non tutti sono così.. vero;
  2. non tutti la pensano così.. vero, in parte... gli italiani non, non tutti, non brillano certo per trattare le donne meglio;
  3. non tutti vedono gli angoli bui nascosti nella società.. vero;

Ok va tutto bene: l'animale, sia in rete che nel mondo reale (si spera insieme ai suoi simili.. italiani e non), che ha fatto questa, come definirla.. 'improvvida affermazione', è stato isolato e, spero, licenziato ma è un sintomo .. di cosa? Di incultura? Di considerare la donna come un oggetto? Di cosa? A proposito: non ho sintomo dalla pasdaran difensora dei diritti dei soliti noti esprimere frasi di condanna del suddetto.. forse per imarazzo o forse perchè non fa notizia? non lo so.. restiamo in attesa della stessa e di qualche sua affermazione che dimostri a tutti noi che è, anche, capace di guardare oltre i 25° della vista sensoriale.
Qui la misura è colma: non si può davvero continuare così perchè alla fine non solo si farà di tutta un erba un fascio ma del fascio, sempre quel qualcuno potrebbe farne anche un bel falò.. lo Stato non può continuare a latitare e a farsi vivo solo quando fa sgomberi o a prendere le rispettive dichiarazioni e querele.... deve far altro: a partire da un filtro che impedisca, e reprima duramente, queste cose: non si possono chiudere alle 17-18 del poemeriggio le polfer delle città medio e medio-piccole; non si può lasciare il cittadino solo di fronte a situaizoni di pura violenza e sopruso che sempre più spesso avvengono davanti a lui o lo coinvolgono; e nemmeno si deve continuare a mettere sullo stesso livello vittima e carnefice o addirittura invertirne le posizioni per eccessivo garantismo.. non è una questione di manette o di manganelli da usare bene ma di cultura, appunto, da insegnare nelle scuole, nelle università smettendo di tagliare i fondi a questi pilastri sociali per favorire le scuole private.... il punto non sono solamente i migranti ma gli esseri umani stessi.. si stanno imbarbarendo.

test velocità

Test ADSL Con il nostro tool potrete misurare subito e gratuitamente la velocità del vostro collegamento internet e ADSL. (c) speedtest-italy.com - Test ADSL

Il Bloggatore