Fonte:
Il Fatto Quotidiano Ambiente & Veleni | 16 Luglio 2019
Elisabetta Ambrosi
Mentre l’Istat certifica la
débacle demografica del nostro paese, cui solo l’
immigrazione
in parte dà risposta, per le giovani donne italiane c’è un altro dubbio
che si pone nella scelta, già difficile, di fare o meno un figlio.
Come se non bastasse il lavoro
precario e sottopagato,
come se non bastassero la carenza di asili e l’instabilità dei
rapporti, molte di loro ora hanno una nuova, grandissima paura: mettere
al mondo un figlio in un mondo dal
clima devastato, che sarà sempre più caldo, sempre più arido, dove ci saranno massicce
migrazioni e dove la vita sarà certamente più dura. O come minimo, più complessa.
Ammetto che questa paura da qualche tempo, cioè da quando ho iniziato a studiare con colpevole ritardo il tema del
cambiamento climatico,
ha preso piede nella mia vita. E ha avuto conseguenze molto concrete:
non solo ha spazzato via la possibilità di un terzo figlio, ma mi ha
anche creato
angosce prima sconosciute nei confronti dell’esistenza dei mie due piccoli figli. Da un po’ di tempo ho cominciato a provare grande
compassione
verso i bambini, anche i più fortunati. Mi si stringe il cuore a
pensare che probabilmente dovranno lottare, e tanto, per una vita
accettabile, e che tutto quel futuro di prosperità e benessere che gli
avevamo prospettato forse si rivelerà falso. Così mi ritrovo anche a
dare consigli alle amiche che sono incerte se fare un altro figlio e
sono consigli in senso negativo, quando fino a non troppo tempo fa
incoraggiavo tutte e lanciarsi nella meravigliosa esperienza della
maternità. Ma non sono sola, visto che è nato anche un movimento di giovani donne –
#BirthStrike, letteralmente
sciopero delle nascite
– che si rifiutano di mettere al mondo bambini, visti il futuro che ci
prospettano report e istituzioni scientifiche di studio sul clima.
Certo,
i figli si sono fatti anche durante la seconda guerra mondiale, e pure
tantissimi. E certo, non è evitando di mettere al mondo bambini,
almeno non nei paesi demograficamente impoveriti come il nostro, che si
risolveranno i nostri problemi. È vero anche che rispetto al
surriscaldamento globale la risposta non può essere solo il
panico,
la depressione, l’annullamento, perché altrimenti, come hanno notato
in molti, si smette di fare qualsiasi cosa. L’angoscia climatica porta
all’estremo alla fine della speranza, ma la fine della speranza è la
fine di tutto. E tuttavia: mentre fino a qualche anno fa potevano dire
di non sapere, oggi abbiamo moltissime informazioni e questo ci obbliga
ad agire col massimo senso della
responsabilità, così
come ci obbliga a porci il problema della eventuale sofferenza dei
futuri bambini. Non è facile, anzi è triste, fa rabbia, è anche ingiusto
– in fondo i nostri padri hanno avuto la possibilità di lavorare,
avere pensioni, mettere al mondo figli senza pensare al clima –ma così
è.
E dunque, fare o no un figlio ai tempi del riscaldamento
globale? Io questo mi sentirei di dire ai futuri genitori. Fate un
figlio, ma fatelo
con una nuova mentalità. Sapendo, ad
esempio, che dovrà affrontare sfide complesse, educatelo in maniera
diversa e nuova, senza iper-proteggerlo, senza affogarlo di
consumismo,
e rendendolo presto sensibile ai temi ambientali. Volendo fare di più,
io cercherei anche di capire cosa succederà, a livello climatico,
nella mia regione e nel mio paese, prendendo per quanto possibile
contromisure.
Ad esempio valutando la possibilità di andare a lavorare altrove, dove
il clima è più benevolo – e chi se ne importa dell’inverno demografico
italiano, il problema non è vostro, ma strutturale – oppure magari
cercare di capire se ci sono risorse alternative in famiglia (una casa
in montagna o in collina), dove magari passare le estati torride. In
ogni caso, l’importante è mantenere un atteggiamento
accorto rispetto al tema del riscaldamento globale, restando informati, seguendo gli eventi per non farsi trovare impreparati.
Tutto questo non è per niente facile. Avere un figlio significa
abbandonarsi,
non pensare troppo, lasciare la ragione per un attimo dando spazio
alle emozioni del corpo. Il tema del cambiamento climatico invece
produce emozioni negative, di angoscia, il contrario appunto di quanto
ci servirebbe per partorire ed essere sereni coi nostri bambini.
Insomma è una sfida difficile, anzi
difficilissima.
Trovare un equilibrio psicologico tra realtà e passione, tra desiderio e
concretezza dei dati. Cercare di guardare le cose come stanno, ma
senza scoraggiarsi e cadere in depressione. Essere vigili, ma al tempo
stesso non perdere la possibilità di inseguire i propri sogni.
Come
comporre questo puzzle io non lo so per niente, anche io ogni giorno
provo a risolverlo con fatica. So solo però che oggi, alle giovani
donne e ai giovani uomini, è richiesto un
doppio coraggio.
Forse, confrontarsi su questo tema, non restare isolati, parlare con
altre persone nella stessa condizione aiuta. Anche, magari, a trovare
soluzioni condivise, che potrebbero diventare nuovi modi di vivere
insieme, più sostenibili, meno individualisti, meno consumisti, più
“poveri”, ma non necessariamente meno felici. Anche per gli stessi
bambini.
Ambiente & Veleni | 16 Luglio 2019