mercoledì 13 dicembre 2017

Perché diventiamo Neet? Siamo colpevoli di aver assecondato le nostre inclinazioni

Fonte: Il Fatto Quotidiano Lavoro & Precari | 13 dicembre 2017 
 

di Stefano Menolascina
Conseguire al giorno d’oggi una laurea magistrale, uscire dall’ovattato mondo universitario e arrabattarsi a cercar lavoro significa imbattersi in ostacoli insormontabili e delusioni cocenti: è il destino di chi detiene una delle cosiddette “lauree deboli”, anche se ottenuta con il massimo dei voti e con la lode.
Iniziano le vane e umilianti peregrinazioni dai Centri per l’impiego alle Agenzie private di somministrazione, le lunghe attese davanti agli sportelli, gli umilianti colloqui con addetti spesso annoiati, a volte infastiditi, raramente empatici e gentili. I rituali d’ingresso si susseguono invariabilmente secondo lo stesso copione, inesorabilmente identici, monotoni, frustranti, tanto nel pubblico quanto nel privato. Nasce qualche sospetto che le domande di routine servano esclusivamente ad arricchire le banche dati.
S’inviano centinaia, se non migliaia, di curricula, corredati da opportune lettere di presentazione, ovviamente stilate ad hoc, in cui si ha l’impressione di doversi pubblicizzare come merce in vendita, ma che raramente conducono all’agognato colloquio presso un potenziale datore di lavoro. Ci si dichiara disponibili a tutto, anche a stage non retribuiti, a tirocini sotto pagati, persino a lavorare gratis. Al nulla di fatto segue la disperazione, per cui si finisce per rivolgersi ai Centri d’orientamento, o a psicologi, con il risultato di uscirne frastornati, con la consapevolezza di essere le persone sbagliate, al posto sbagliato, nel momento sbagliato.
Ci si rassegna a gravare ulteriormente sul magro bilancio familiare e ci s’imbarca in uno dei costosi master post-lauream proposti dalle varie università. Ma, poiché la situazione resta immutata, ci si auto-accusa per aver voluto assecondare le proprie inclinazioni, disobbedendo alla ferrea volontà del dio mercato, che esige informatici, ingegneri, tecnici, non certo degli umanisti. A che servono infatti coloro che possiedono una cultura, magari vasta, poliedrica e plurilinguistica? Non sono certamente utili a una società globalizzata e tecnologicamente avanzata, senza dubbio non sono le risorse necessarie ai mercati, alle aziende, alle multinazionali.
È stato un disastroso flop il tanto atteso progetto Garanzia giovani, che si sperava avrebbe risolto il problema dell’inoccupazione, o perlomeno ci avrebbe condotto all’acquisizione dell’esperienza indispensabile ad accedere al mondo del lavoro. Nella maggior parte dei casi la pluriennale iscrizione al piano non sortisce né lavoro, né esperienza, né formazione; sovente tutto si risolve in un colloquio con il personale dei Centri per l’impiego, e nella stesura di un piano d’azione individuale che non genera nessuno degli effetti auspicati.
Al fine di rendersi più appetibili agli occhi del mercato, si affrontano ulteriori esborsi, sempre alle spalle della famiglia, per colmare le lacune della propria formazione: si seguono corsi ad hoc e s’intraprendono percorsi di studio e lavoro all’estero. Al ritorno in patria, ci si scontra con le dure leggi di un mercato che non valorizza conoscenze, competenze e talenti. Le barriere innalzate dalle aziende e dagli intermediari sono insormontabili: è indispensabile risiedere nelle immediate vicinanze del luogo di lavoro – inutile dichiararsi disponibili a trasferire il proprio domicilio – è tassativo non aver superato l’età d’apprendistato, è categorico aver maturato una pluriennale esperienza specifica.
I pochi colloqui che si riescono a spuntare a volte conducono a episodi paradossali e grotteschi, se non fossero frustranti e tragici. Si può essere arruolati “in prova” per solo un giorno e, concluso il lavoro necessario, essere congedati con pochi soldi a titolo di rimborso spese, con i pretesti più astrusi, magari affermando che non c’è stato feeling con le colleghe. Si può essere criticati e messi in discussione non per questioni di skills, ma per lo standing non sufficientemente curato, o perché il paletot non ricade con un perfetto aplomb. Si può essere convocati per un colloquio, percorrere decine di chilometri e sentirsi riferire che il responsabile del personale o il titolare dell’Azienda sono indisposti, per cui l’incontro è rinviato sine die.
Anche le più estenuanti e caparbie ricerche di lavoro finiscono per essere vanificate da un sistema perverso: aziende e intermediari non attestano la ricezione del dossier di candidatura, i selezionatori dopo il colloquio o non forniscono il feedback fondamentale per migliorare le proprie performance, oppure lasciano l’aspirante lavoratore in perenne attesa di Godot, trincerandosi dietro un silenzio assordante. Se osiamo sollecitare il responso utilizzando il perentorio linguaggio giuridico, talvolta veniamo liquidati con risposte monolitiche, preconfezionate, generiche, elusive, a volte scortesi. Abbiamo l’impressione di esserci auto-lesi, poiché abbiamo osato troppo, apparendo così fastidiosi e importuni.
Ecco perché frustrati, delusi, finiamo per arrenderci, per vivere alla giornata, per sentirci ormai vecchi, sfiniti e privi di speranza a 30 anni.
Non ci è nemmeno concessa la chance di reinventarci imparando un mestiere: l’età d’apprendistato termina a 29 anni. Siamo diventati dei Neet.
Lavoro & Precari | 13 dicembre 2017

martedì 12 dicembre 2017

Italia, lavoro “a termine”: 33% contratti a tempo dura un giorno

WSI 12 dicembre 2017, di Mariangela Tessa


Migliora la situazione occupazionale in Italia, che ritorna ai livelli pre-crisi, anche se a riportare i numeri in alto sono i contratti a termine, specie se brevissimi, mentre crollano gli autonomi e i giovani stentano a inserirsi.
È una fotografia a luci e ombre quella emersa dal primo primo rapporto sul mercato del lavoro frutto della collaborazione di ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal.
Ma vediamo nel dettaglio i numeri. Nel primo semestre 2017 in Italia gli occupati erano circa 23 milioni, cifra vicina ai livelli pre crisi del 2008, sebbene in termini di ore lavorate per addetto il gap resti rilevante: quasi il 6% in meno. Conseguenza diretta del calo dell’attività produttiva e dell’incremento dei posti a tempo parziale.
La crescita è basata prevalentemente sui contratti a tempo determinato (che nel 2017 hanno toccato i massimi dal 1992 a 2,7 milioni di persone), e nei settori agricoltura e servizi. E oltre 500mila lavoratori “somministrati“, che lavorano nel 95% dei casi con contratti brevi. O brevissimi. Il dato medio è di 12 giorni, ma il 58% viene chiamato in servizio per meno di sei giorni e il 33,4% (era il 30,5% nel 2012) addirittura per una sola giornata.
E i tanto attesi “effetti Jobs Act“? Nel 2015 e 2016 gli sgravi contributivi per le assunzioni stabili hanno fatto “crescere significativamente” l’occupazione a tempo indeterminato, ma non tanto da riportarla al massimo storico fatto segnare prima della crisi. Come emerso da tempo, poi, la ripresa occupazionale ha beneficiato soprattutto i lavoratori senior. Nel periodo 2008-2016 il tasso di occupazione in Italia per i 15-34enni è diminuito di 10,4 punti rispetto al 2008, a fronte di un aumento di 16 punti per i 55-64enni e di 1,5 punti per i 65-69enni.

lunedì 11 dicembre 2017

Caso NSA, Kaspersky aveva ragione?



Roma - Negli Stati Uniti si torna a parlare di Kaspersky e della sua presunta collaborazione con i servizi segreti russi, uno sviluppo che in realtà rappresenta la prima, vera conferma di quanto ha sempre sostenuto l'azienda: i file segreti della NSA sono stati intercettati dall'antivirus ma solo perché erano sul PC di un dipendente piuttosto incapace in fatto di OPSEC.

Il dipendente in oggetto sarebbe quindi Nghia Hoang Pho, sessantasettenne del Maryland che ha lavorato per anni presso la divisione Tailored Access Operations (TAO) di NSA, e che ora si è dichiarato colpevole davanti ai giudici federali di possesso "consapevole" di materiale e informazioni di proprietà della Difesa.

Hoang Pho ha collaborato con la sezione di hacker dell'intelligence sin dal lontano 2006, e nel 2010 ha cominciato a "portarsi il lavoro a casa" copiando i file di NSA sul proprio PC. L'emorragia di informazioni sarebbe durata dal 2010 al marzo del 2015, e ora l'uomo rischia una pena massima di otto anni di galera.

Le fonti dicono che Pho è il principale responsabile della saga di "Kaspersy contro Washington", visto che dal suo sistema gli analisti moscoviti avrebbero sottratto informazioni e binari riconducibili alle cyber-armi dell'intelligence russa.

Kaspersky ha sempre professato la propria innocenza dicendo di essersi trovata tra le mani i file grazie alle analisi automatizzate del proprio antivirus, mentre la violazione dei segreti di NSA da parte del Cremlino sarebbe riconducibile a un'infezione da malware presente sul sistema di Hoang Pho.

Di certo la vicenda rappresenta l'ennesima conferma del fatto che, in quanto a OPSEC, nemmeno alla NSA difetta l'incapacità: Nghia Hoang Pho è solo l'ultimo di una serie di leak clamorosi di materiale informatico riservato o segreto, solo nell'ultimo periodo si contano i 50 Terabyte sottratti da Harold Thomas Martin III e la soffiata di Reality Winner sulle indagini di NSA nel Russiagate.

Alfonso Maruccia

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