Forse
Matteo Renzi non è una cattiva persona. Incarna però il terzo tentativo
(dopo Monti e Letta) dei poteri forti nazionali ed internazionali di mettere alla guida del nostro Paese
un’affidabile marionetta. Non è neanche del tutto sprovveduto. Ha capito, ad esempio, che
la stragrande maggioranza degli italiani è contraria a qualsivoglia guerra in Libia e
si contorce quindi, in modo scarsamente dialettico, fra le pressioni
degli “alleati”, che rientrano fra i suoi grandi, anzi grandissimi
elettori, e il giusto sentimento popolare diffuso. Si può scommettere
che finirà male, tanto è vero che già il presidente emerito
Napolitano
ha tracciato la via da seguire. La neospartizione coloniale della Libia
è già stata decisa. Ma non sarà certo una passeggiata. E chi pagherà
il prezzo sarà ancora una volta il popolo, sia libico che italiano.
Quest’ultimo ha già cominciato, sacrificando due lavoratori, le cui
famiglie oltre al danno hanno dovuto subire anche la beffa. In fondo se
sono morti è stata colpa della ditta per cui lavoravano. Questo è
quanto afferma del resto Matteo Renzi, il quale, come ricorda
Tommaso Di Francesco sul
manifesto di ieri, a sfottere i lavoratori è del resto abituato.
E
qui veniamo alla seconda inaccettabile cifra dell’esperienza renziana
(comune anche in questo alle due marionette che lo hanno preceduto, con
le loro Fornero, Sacconi e simili). E cioè la convinzione che il
nostro Paese possa
uscire dalla crisi e ritrovare i
sentieri del benessere continuando a comprimere e violare i sacrosanti
diritti della classe lavoratrice. Si tratta peraltro di convinzione
comune un po’ a tutto l’
establishment capitalistico mondiale e
ci sarebbe da stupirsi che così non fosse. Le classi dominanti non
sono certo disposte a rinunciare ai propri privilegi e alle proprie
posizioni di potere spontaneamente, per quanto sia evidente a tutti
come ci stiano conducendo
verso un baratro senza fine.
Guerre, devastazioni ambientali, approfondimento delle disuguaglianze
sociali ed economiche, crescita del terrorismo, soffocamento progressivo
della democrazia, disposizione a perdonare ed assecondare “amici” come
Sisi (che fine hanno fatto le richieste di verità e giustizia per
Giulio Regeni?) in
Egitto e
Erdogan in
Turchia,
cui si chiede di risolvere il problema dei profughi che l’Europa ha
concorso in maniera sostanziale a creare e ora non sa e vuole risolvere
sebbene coloro che cercano salvezza sul nostro continente costituiscano
una quota davvero infinitesimale sul totale di coloro che fuggono da
esistenze distrutte e case bruciate e in stragrande maggioranza si
rifugiano nei Paesi più vicini ai vari disastri.
Matteo Renzi rappresenta per molti versi
l’ultimo raglio dei poteri forti.
Il suo ottimismo inossidabile si basa sulla convinzione che sia
possibile convincere gli italiani che è un leader affidabile. A tale
fine vengono manipolati i dati economici, si introducono incentivi a
termine (dai famosi 40 euro agli sgravi contributivi per le imprese
all’astuto progetto di decurtare i contributi per ottenere oggi un
sollievo momentaneo a scapito di pensioni notevolmente decurtate in
futuro). L’ottica è quella di brevissimo periodo tipica dei governanti
di questa fase fatiscente del capitalismo neoliberale, incapaci di
vedere al di là del proprio naso. I metodi quelli di chi della
democrazia non sa che farsene e vuole
controllare l’informazione,
il Parlamento e abolire i corpi intermedi, specie quelli come il
sindacato che in qualche modo a volte rappresentano istanze di massa.
In
questo modo si continua a perdere tempo e si aggravano anzi i mali di
cui soffre il nostro Paese all’interno del contesto globale
sopraaccennato. Liberarsi di Renzi costituisce quindi
un’urgenza assoluta
per chiunque ne abbia a cuore la salvezza e il futuro. A tale scopo
vanno percorsi tre passaggi da cui alla fine dell’anno. Primo, ad
aprile, il
referendum antitrivelle che suonerà come una
precisa sconfessione delle politiche di devastazione ambientale e
paesaggistica che l’attuale governo vuole imporre. Secondo, la sconfitta
di tutti i candidati renziani alle
elezioni comunali in primavera inoltrata. Terzo il rigetto del disegno di semplificazione autoritaria delle istituzioni al
referendum sulle modifiche costituzionali
previsto per l’autunno. In tutti e tre i casi appena menzionati ci sono
valanghe di ragioni specifiche per votare contro questo governo
affermando le ragioni di chi non si rassegna alla renzificazione
dell’Italia. Ce n’è in più
una di carattere generale,
relativa alla necessità di rendere possibili, sgombrando il terreno
dall’attuale fallimentare proposta di governo, risposte alternative ed
efficaci alla crisi avviando la costruzione di un’Italia migliore, la
sola finalmente in grado di sopravvivere, resistere e progredire.
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fossimo altrove quest'articolo non avrebbe nemmeno la necessità di doverlo leggere..