venerdì 11 maggio 2018

Argentina ricorre all’FMI e popolo scende in piazza

Fonte: W.S.I. 11 maggio 2018, di Alessandra Caparello

Una debacle finanziaria che riapre vecchie ferite per gli argentini quella degli ultimi giorni con la valuta nazionale, il peso, sotto la minaccia dell’iper inflazione e un presidente Mauricio Macri che per salvare l’economia e risparmiare il suo popolo da una nuova crisi finanziaria chiede aiuto al Fondo Monetario Internazionale.
Nonostante la banca centrale dell’Argentina abbia deciso per un maxi rialzo dei tassi tre volte dal 27 aprile, issandoli al 40%, il peso ha continuano a crollare e il presidente ha dovuto fare ricorso al Fondo monetario internazionale, cercando un accordo di stand-by per un prestito di almeno 30 miliardi di dollari (anche se altre fonti parlando addirittura di 50 miliardi). Che significa in stand by? Che non verrebbe incassato subito, ma utilizzato se la situazione dovesse peggiorare ancora.
La condizione per far sì che l’Argentina ottenga il prestito è che raggiunga una serie di obiettivi economici, sul fronte per esempio dell’inflazione e della politica monetaria. I tassi di interesse sono stati portati in pochi giorni al 40% proprio per impedire una svalutazione del peso (-20% nel 2018) e mettere un freno alla fiammata dei prezzi al consumo. Il costo della vita per le famiglie è cresciuto del 30% da gennaio.
“Sarà politicamente molto difficile”, ha dichiarato Jorge Mariscal, Chief Investment Officer di UBS Global Wealth Management per i mercati emergenti parlando alla Cnbc. “L’opposizione cercherà di venderlo come: ‘Ancora una volta stiamo vendendo il nostro personale per soddisfare le condizioni dell’FMI‘”.
L’ultima volta che l’Argentina ha concluso un accordo di standby con l’Fmi è quasi 20 anni fa quando il tasso di disoccupazione del paese era salito al 20 per cento, i salari si erano ridotti e la gente aveva ritirato grandi somme di pesos dai propri conti bancari per cambiarli in dollari USA.
Macri, eletto nel 2015, è stato acclamato come il primo presidente favorevole al mercato in anni ma martedì annunciando l’intervento del Fondo guidato da Christine Lagarde ha parlato di una mossa che contribuirebbe a “evitare una crisi come quelle che abbiamo affrontato prima”, aggiungendo che “ci permetterà di rafforzare il nostro programma di crescita e sviluppo”.
Ma agli argentini non è andata proprio giù e secondo un sondaggio tre su quattro sono contrari al prestito esterno volto a combattere la svalutazione del peso. Così ieri e oggi al grido “NO all’FMI” gli argentini scendono in piazza in segno di protesta contro la decisione di Macri.

mercoledì 9 maggio 2018

Non solo Chernobyl: Fukushima è ora ufficialmente il peggior disastro nucleare nella storia

Fonte: counterpunch.org

Di John Laforge 
Le radiazioni disperse nell’ambiente dalle tre fusioni del reattore di Fukushima-Daiichi hanno superato quelle della catastrofe di Chernobyl del 26 aprile 1986. Possiamo dunque smettere di definirlo il “secondo peggior” disastro nucleare della storia. Si stima che le emissioni atmosferiche totali di Fukushima siano comprese tra 5,6 e 8,1 volte quelle di Chernobyl, secondo il Rapporto sullo Stato dell’Industria Nucleare Mondiale del 2013. Il professor Komei Hosokawa, che ha scritto la sezione Fukushima del rapporto, ha dichiarato a Channel 4 News di Londra: “Quasi ogni giorno accadono cose nuove, e non c’è segno che si riuscirà a controllare la situazione nei prossimi mesi o anni”.
La Tokyo Electric Power Co. ha stimato che circa 900 peta-becquerel sono stati gettati fuori da Fukushima, mentre il Rapporto TORCH aggiornato al 2016 stima che Chernobyl abbia disperso 110 peta-becquerel (un becquerel è una disintegrazione atomica al secondo. [1] Il “peta-becquerel” è un quadrilione, o mille trilioni, di becquerel).
Il reattore numero 4 di Chernobyl ha subìto diverse esplosioni, si è rotto ed ha bruciato per 40 giorni, inviando nubi di materiali radioattivi nell’atmosfera e diffondendo ricadute su tutto l’emisfero settentrionale – addirittura depositando cesio-137 nel latte del Minnesota. [2]
La probabilità di disastri simili o peggiori venne stimata da James Asselstine della Nuclear Regulatory Commission (NRC), che nell’86 testimoniò così al Congresso: “Possiamo aspettarci di vedere un incidente di fusione di massa entro i prossimi 20 anni, e potrebbe finire in… rilasci esterni di radiazioni… grandi quanto o più di quelle di… Chernobyl”. L’incidente di Fukushima-Daiichi [3] è avvenuto 25 anni dopo.
La contaminazione di suolo, vegetazione ed acqua è così diffusa in Giappone che l’evacuazione di tutte le popolazioni a rischio potrebbe far crollare l’economia, proprio come fece Chernobyl nell’ex Unione Sovietica. Per questo motivo, lo standard del governo giapponese per la decontaminazione del suolo è molto meno rigoroso rispetto a quello usato in Ucraina.
Il rilascio di cesio-137 di Fukushima supera quello di Chernobyl
L’Istituto di Ricerca sull’Energia Atomica della Corea (KAER) ha riferito nel luglio 2014 che i tre crolli del reattore di Fukushima-Daiichi potrebbero aver rilasciato da due a quattro volte il cesio-137 emesso nella catastrofe del reattore di Chernobyl.[4] 
Per determinare la sua stima, la frazione di rilascio di cesio-137 (4% nell’atmosfera, 16% nell’oceano) è stata moltiplicata per le scorte presenti nel combustibile di uranio all’interno dei tre reattori fusi (da 760 a 820 quadrilioni di becquerel, simbolo Bq), con questi risultati:
Rilascio oceanico di cesio-137 di Fukushima (il peggiore mai registrato): da 121,6 a 131,2 quadrilioni di becquerel (16% x da 760 a 820 quadrilioni di Bq). Rilascio atmosferico di cesio-137 di Fukushima: 30,4 a 32,8 quadrilioni di becquerel (4% x da 760 a 820 quadrilioni di Bq).
Rilascio totale di cesio-137 nell’ambiente di Fukushima: da 152 a 164 quadrilioni di Bq. Rilascio totale di cesio-137 nell’ambiente di Chernobyl: da 70 a 110 quadrilioni di Bq.
Le scorte stimate dei reattori di Fukushima-Daiichi di 760-820 quadrilioni di Bq (petabecquerel) di cesio-137 utilizzato dall’Istituto KAER è peraltro significativamente inferiore alla stima del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, di 1.300 quadrilioni di Bq.
A Chernobyl, 30 anni dopo le sue esplosioni ed incendi, è stato finalmente completato nel novembre 2016 quello che il Wall St Journal lo scorso anno ha definito “il piano di implementazione di un rifugio da 2,45 miliardi di dollari”. Un’enorme copertura metallica è stata messa sopra il relitto del reattore e sopra la sua tomba di cemento sgretolata e frettolosamente eretta. La nuova gigantesca copertura è alta più di 100 metri, e gli ingegneri dicono che dovrebbe durare 100 anni – ben al di sotto della durata del rischio di radiazioni sottostanti, di 250.000 anni.
Anche la prima copertura avrebbe dovuto funzionare per un secolo, ma nel ’96 era già piena di crepe e rischiava di crollare. I progettisti hanno dovuto dunque ideare una copertura per la copertura e, dopo 20 anni di lavoro, i rifiuti radioattivi ora hanno un nuovo “cappello di latta”. Con condizioni meteorologiche estreme, trombe d’aria, terremoti, corrosione ed infragilimento dovuto a radiazioni forse però la si dovrà sostituire 2.500 volte circa.
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG
| TITOLO ORIGINALE: "Move Over Chernobyl, Fukushima is Now Officially the Worst Nuclear Power Disaster in History" |

martedì 8 maggio 2018

Consumatori beffati: prodotti ridotti, ma prezzi invariati

Fonte: W.S.I. 8 maggio 2018, di Alessandra Caparello

Lattine della Pepsi con il 10 per cento di liquido in meno, così anche le patatine Doritos, i confetti M&M di Mars e i cereali Choco Pops della Kellogg’s sono alcuni dei prodotti che da un po’ di tempo gli inglesi vedono negli scaffali dei supermercati in confezioni più piccole ma con prezzo intatto.
Il tutto parte dalla Brexit che ha creato la cosiddetta shrinkflation, da contrazione e inflazione, portando ad un crollo dei consumi e per farli risalire si è deciso dapprima di aumentare i prezzi – manovra tragicamente fallita – e poi di attuare una nuova contromossa spiazzante: ridurre le quantità di poco e lasciare i prezzi invariati.  Un successone che sta prendendo piede anche in Italia.
Il tutto perfettamente legale e a discapito degli ignari consumatori che beffati, avranno meno quantitativi di prodotti e prezzi identici. Un fenomeno conosciuto anche dall’Istat  che influenza la correttezza del calcolo dell’inflazione come spiega a La Stampa. Federico Polidoro, responsabile delle statistiche sui prezzi al consumo dell’Istituto nazionale di statistica.
Il fenomeno sembra poter avere un impatto trascurabile sulla stima dell’inflazione generale ma rilevante per alcune classi di prodotti. E comunque l’Istat lo intercetta ed evita che influenzi la misura dell’inflazione (…) La pratica di ridurre il confezionamento dei prodotti venduti al dettaglio senza una proporzionale riduzione del prezzo da parte delle imprese produttrici o distributrici può produrre effetti di sottostima dell’inflazione.

lunedì 7 maggio 2018

Polizze vita, Cassazione: senza garanzie, sono investimenti

Fonte: W.S.I. 7 maggio 2018, di Alberto Battaglia

Diventa più netto e inequivocabile il confine che separa le polizze vita dai contratti di investimento ordinari, una distinzione che si riflette in importanti conseguenze sul piano fiscale. La Corte di Cassazione si è espressa, tramite la sentenza 10333/2018, fissando il paletto della garanzia di restituzione del capitale “investito”. Nella assicurazione sulla vita, una protezione economica a fronte del rischio di morte dell’assicurato, non può darsi il caso in cui la conservazione del capitale non sia certa.
Il principio di fondo che anima tale distinzione è che il rischio della performance dell’investimento, in un contratto di assicurazione, non deve essere assunto dal soggetto assicurato, bensì dalla società presso la quale questi si rivolge. Nel caso in cui la garanzia della restituzione del capitale non fosse presente nel contratto, questo deve essere considerato, pertanto, un contratto d’investimento.
La posizione dei giudici non è nuova, però aggiunge alcune precisazioni sui contratti sottoscritti attraverso società fiduciarie. In questo caso l’investitore viene individuato, ha precisato la Suprema Corte, nell’assicurato e non nella società fiduciaria. Fatta salva la possibilità di sottoscrivere polizze vita mediante l’interposizione delle società fiduciarie, deve restare chiaramente riferibile il cliente-fiduciante.
Quest’ultimo deve obbligatoriamente ricevere informazioni, tramite la fiduciaria, sui rischi dell’investimento e le implicazioni che esso comporta. L’inadeguata informativa al cliente comporta la risoluzione del contratto, relativo risarcimento dei danni e la restituzione del capitale versato.
In Borsa l’indice settoriale del comparto assicurativo cala anche se sembra che la sentenza non si riferisca alle polizze italiane, quanto piuttosto ad alcune polizze di private insurance di diritto esteronon quindi a quelle unit o multiramo vendute dalle compagnie italiane. A Piazza Affari il comparto si muove in controtendenza (-0,44%) rispetto all’andamento generale del Ftse MIB (+0,58% a 24.476 punti intorno alle 16.15). Rimane inoltre da vedere come verrà applicata la sentenza.

domenica 6 maggio 2018

Il capitalismo muore senza Marx

Fonte: Il Fatto Quotidiano Cultura | 5 maggio 2018
Starà anche tornando di moda, ma per il momento il già bisecolare Herr Dr. Karl Marx non se lo ricordava più nessuno. Fino a pochi anni fa, anche il più disinteressato tra gli studenti universitari avrebbe saputo darvi uno straccio di definizione del plusvalore, tutti sapevano cosa fosse il materialismo storico. Oggi non è più così. Tra gli studenti di economia (e temo anche tra i docenti) pochissimi si sono piegati sui ponderosi tomi del Capitale per conoscere la ricchezza e la varietà delle sue teorie, alla faccia del bicentenario.
Abbiamo dovuto attendere le spaventose crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, dopo che il (finto) capitalismo ha mostrato la sua faccia più disgustosa e caricaturale – quella che appunto piaceva a Marx – per veder crescere la popolarità delle teorie marxiane (Thomas Piketty). Ma purtroppo non bastano le storture del turbocapitalismo alla Gordon Gekko per incentivare gli studi seri, per recuperare teorie che hanno sentito fortemente il peso degli anni e la cui maggiore validità – più che nelle conclusioni (che lo stesso Marx faticò a tirare) – consiste nel metodo e nei principi ispiratori, che già hanno aiutato il capitalismo a risolvere problemi non molto differenti dai nostri. Peccato che, come diceva Joseph Schumpeter (che era un grande conoscitore del marxismo, oltre che un amante del capitalismo imprenditoriale): “il capitalismo non morirà per mano dei suoi nemici” e il marxismo è certamente tra questi “ma scomparirà grazie ai Mellon, ai Carnegie, ai Rockfeller“, cioè per mano degli stessi capitalisti.
A parte la necessaria distinzione tra marxismo e comunismo, non c’è dubbio che il lascito più grande delle idee di Karl Marx fu quello di uno spirito radicalmente critico, oserei dire rivoluzionario, all’interno della cultura occidentale. La critica radicale di Marx al capitalismo, oggi come ieri, ci dice che l’accettazione supina e conformista del pensiero egemone è lo strumento più sicuro per fermare lo sviluppo, per impedire il progresso. Marx (come su un altro versante lo stesso Schumpeter dopo di lui) aveva compreso che senza rivoluzioni la società muore. Là dove ci si rifiuta di misurarsi seriamente con modelli e prospettive radicalmente differenti lì, oltre alla noia mortale, si annidano i rischi maggiori per tutta l’umanità di retrocedere da conquiste per le quali ci siamo battuti e che nessuno oggi vorrebbe perdere. Questo vale nel campo delle strutture sociali come in quello dei modelli di sviluppo economico e altrettanto in ambito imprenditoriale. In questo senso l’eredità marxiana è come una specie di veleno del pensiero; assumerlo integralmente non è possibile, troppa fantasia, troppa escatologia. Ma non possiamo farne a meno – come per certe medicine salvavita, prese in dosi adeguate – per salvare le sorti di un’umanità sotto le spinte conservatrici di quanti hanno già raggiunto la ricchezza, il benessere e il potere sociale.
Le teorie marxiane – se restano riflessione teorica, punto di riferimento intellettuale e non ambiscono a diventare integralmente programma politico – dovrebbero essere ben presenti a politici e intellettuali. Friedrich von Hayek – il maggiore economista liberale del XX secolo -, mentre spregiava fin nelle radici il comunismo come soluzione sociale, aveva un grande rispetto per Marx come intellettuale e in molti punti possiamo perfino ritenere che gli sia debitore di aspetti non secondari delle sue teorie, come ad esempio nell’utilizzo di una metodologia storica applicata all’economia, nell’attenzione alla realtà reale dell’economia e non alle sue apparenze formali, etc.
Il pensiero liberale (lo ha dimenticato?) quindi deve molto al marxismo, anzi come molti hanno sostenuto è probabilmente l’altra faccia, non contrapposta di quest’ultimo. In ogni caso, oggi a 200 anni dalla nascita del fondatore del marxismo, dobbiamo continuare a sentirci debitori nei confronti di questo intellettuale tedesco, che così grandemente ha influenzato la storia occidentale. La tradizione liberale e democratica farebbe bene a non dimenticare che – da molteplici prospettive – il socialismo marxista è sempre stato un alleato dialettico della “società aperta”. Già abbiamo visto all’inizio del secolo, l’antitesi al mondo liberale e democratico non è il mondo che si ispira al marxismo. È infatti la società fondata su postulati etici e morali l’opposto della società liberale. La società liberale se non affronta e risolve molti dei problemi posti da Marx 200 anni fa rischia di farci rimpiangere il passato, con tutto ciò che ne consegue.

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