venerdì 9 marzo 2018

Italia "cavia" per un nuovo esperimento dell'Ue

Fonte: IlSussidiario.net
Non so se siete dei fumatori. Io sì, mio malgrado e soprattutto in questo momento che dovrebbe vedermi ancora più attento alla salute. Capirete quindi il mio stupore, misto voglia di imbracciare il mitra, quando ieri al bar ho scoperto che da un giorno con l'altro il mio abituale pacchetto di sigarette è aumentato di 20 centesimi. Di botto: da 4,70 a 4,90 nottetempo, senza avvertire. Come fece Amato con i conti correnti per garantirci quel paradiso terrestre chiamato Europa. Ora, le sigarette non sono indispensabili, anzi fanno male, ma aumentare di 20 centesimi il pacchetto solo per tasse, ovvero introito statale, è delinquenziale e al tempo stesso sintomatico dello stato in cui siamo: si parlava, negando un giorno e ammettendo l'altro, di questa mossa da grandi strateghi della finanza pubblica già dall'autunno in fase preparatoria del Def, ma quando hanno dato il via al salasso per tabagisti: quattro giorni dopo il voto. 
Ovviamente, è una coincidenza fortuita, non una manovra alla Achille Lauro, ancorché al contrario. Bravo Padoan, un fenomeno: già vedo una luminosa carriera di docente in università prestigiose come Oxford o Harvard o Yale, pubblicazioni e convegni a go-go e, dulcis in fundo, il premio tanto agognato quanto meritato, un bel Nobel dell'economia che ormai non si nega a nessuno, persino a chi studia l'inutilità fatta materia come la cosiddetta economia comportamentale. Poi si lamentano che non li votano nemmeno più le loro famiglie e che Lega e M5S prendono preferenze con i badili e i secchi: fanno quasi pena, non fossero responsabili di furti legalizzati come quello perpetrato nelle tabaccherie per cercare di tamponare i conti in vista della manovra correttiva di primavera. 
Già, perché puntuale come morte e tasse, mercoledì l'Europa ha detto "stop" alla luna di miele elettorale con Roma e cha ricominciato a richiamarci ufficialmente all'ordine per i nostri conti pubblici e i loro squilibri, i quali sarebbero ormai tali da mettere a rischio la stabilità dell'intera eurozona. La cosa non stupisce, ve lo avevo detto ben prima del voto: Bruxelles aveva chiamato una tregua nella speranza di favorire un Gentiloni-bis (se Renzi non fosse l'egocentrico che è, l'attuale delirio politico si sarebbe potuto evitare senza problemi) o, quantomeno, un buon risultato del Pd che garantisse continuità con le politiche fin qui adottate. Niente da fare. Nonostante il record mondiale di chiusura vertenze sindacali vissuto proprio a ridosso delle urne (in questo caso, a differenza delle sigarette, si è stranamente operato prima che aprissero i seggi), il Pd ha dimostrato un fiato corto tale da trasformare un prigioniero sottoposto a waterboarding a Guantanamo in un provetto sommozzatore ad assetto variabile. Schiaffi a destra e a manca, come è giusto che sia stato. 
Ora, però siamo al redde rationem: tocca trovare, in tempi brevi, un minimo di 3,5 miliardi di euro e fino a un massimo di 5 per soddisfare le richieste dell'Ue. E chi sarà chiamato a operare in tal senso? L'Europa ha già reso noto di avere fiducia totale nel presidente Mattarella, di fatto facendo capire che il processo politico post-elettorale, così come la volontà espressa dai cittadini con il voto, non contano nulla: l'unica ratio è quella delle alchimie di Palazzo, in questo caso quirinalizie, visto che solo queste ultime possono evitare la sciagura in toto di leghisti o grillini a gestire l'economia. Per carità, non che chi l'ha fatto finora abbia brillato ma anche soltanto a livello di percezione, flat tax al minimo assoluto e reddito di cittadinanza non sono voci curriculari di cui andare fieri. Soprattutto in ambito Ue. 
E a conferma di questo asse invisibile Quirinale-Commissione Ue, ecco che gli eurocrati hanno sfoderato l'ennesimo atto di magnanimità in fatto di tempistica: i conti della manovrina andranno presentati un mese dopo il previsto, ovvero c'è margine fino a maggio. Insomma, hanno fatto due conti su quanto potrebbero durare consultazioni e giochi di potere attorno al Quirinale. Ripeto, nulla che stupisca, se non la certezza - che oggi abbiamo, suffragata dai numeri - di leghisti e pentastellati in pole position per gestire le casse dello Stato e i suoi traballanti conti. E se lo stesso presidente Mattarella, proprio ieri, ha aperto le danza ricordando a tutti gli attori in campo che questo è il tempo della responsabilità e della priorità da accordare al bene del Paese, nel pomeriggio è stato il turno del salvatore d'Europa numero uno, ovvero Mario Draghi, prendere la parola al termine del board della Bce a Francoforte. 
E cos'ha detto? Una cosa nuova e importante, nel mare di già sentito rispetto ai tassi di interesse che resteranno bassi anche oltre la fine del programma di acquisto il prossimo settembre: è stato eliminato dal comunicato del board ogni riferimento a eventuali prolungamenti o aumenti del controvalore di acquisti di bond, se questo si rendesse necessario. Ovviamente, la vulgata ufficiale vede questa mossa come figlia dei continui miglioramenti della situazione, la quale non necessiterebbe di sforzi ulteriori nemmeno a causa di rischio al ribasso da shock esterni (vedi i dazi di Trump, ad esempio), ma non è così. La fine del Qe sta davvero avvicinandosi? Occorre cambiare narrativa o siamo all'interno di un gioco delle parti per i mercati, più che per i governi? O entrambe le cose? Al netto della retorica ufficiale, cosa Mario Draghi non ha ancora potuto dirci? Cosa non si può ancora ammettere? 
Ce lo mostra questo primo grafico, il quale ci dice come il prossimo anno sarà il primo da quattro a questa parte in cui i mercati europei dovranno cavarsela da soli, ovvero senza la mano onnipresente e gli acquisti di prima e ultima istanza della Bce a comprimere artificialmente gli spread e a garantire bassi interessi e finanziamenti a costo zero. E cosa ci mostra il grafico? Che nel 2019 le redemptions totali di reddito fisso europeo (sovrano, ad alto rendimento e investment grade) saliranno del 20% a un ammontare di 1,1 triliardi di euro: insomma, gli investitori privati avranno parecchia carta da dover ingoiare tra qualche mese.
....... il resto al link indicato sopra

giovedì 8 marzo 2018

Elezioni 2018, l’analisi di Citi: “Mercati scopriranno che politici più preoccupati del proprio futuro invece che del Paese”

Fonte: Il Fatto Quotidiano di | 8 marzo 2018
Le “cronache da un Paese complicato” non raccontano nulla di buono per i mercati. Almeno questa è la visione di Citi, i cui analisti ritengono che il risultato elettorale ben presto peserà su Piazza Affari. In un report datato 7 marzo, Mauro Baragiola e Tina Fordham si dicono infatti preoccupati per almeno due ragioni: la prima è divisione geografica del voto (Nord contro Sud), la seconda è la debole leadership dei moderati. Per i due esperti, le due variabili negative sono state finora controbilanciate sui mercati da analisi superficiali e soprattutto dalla politica accomodante della Bce a sostegno del debito pubblico. Ma non ci vorrà molto agli investitori internazionali per capire che l’Italia avrà bisogno di tempo per costruire un fragile governo.
Come se non bastasse il risultato molto negativo è legato a doppio filo con l’egoismo dei leader politici italiani, più preoccupati a costruire il futuro loro e dei loro partiti che quello di un Paese che rischia di soffrire la fine del quantitative easing, il piano di immissione di liquidità nel sistema da parte della Bce. “Mentre si potrebbe anche trovare una soluzione per un (debole) governo, tutti i partiti e i leader potrebbero invece essere più focalizzati sul loro riposizionamento di lungo termine che non sul compromesso di breve termine”, sostengono i due esperti nello studio.
“Il punto è che anche una soluzione per così dire veloce richiederà probabilmente alcune settimane se non mesi per essere implementata – proseguono – (…) Non ci saranno i primi passi ufficiali fino a Pasqua. Che cosa accadrà dopo? Per il futuro, escludiamo la “grande coalizione” che pure piacerebbe ai mercati: un’alleanza fra moderati”. Meglio quindi dimenticarsi un Gentiloni-bis. Per Citi, presto o tardi il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, darà un mandato esplorativo al leader della Lega Matteo Salvini o al numero uno del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio. “Tuttavia , dal nostro punto di vista, entrambi i leader sono troppo lontani dalla maggioranza per aspettarsi di riuscire a formare la maggioranza a supporto del governo”, prosegue l’analisi di Citi. Ma il problema è soprattutto che i compromessi per ottenere i voti necessari a costruire la maggioranza rischierebbero di ipotecare il loro futuro politico.
“Salvini sa bene che può strappare parte una parte di voti al 14% raccolto da Berlusconi e sa anche che Forza Italia potrebbe non sopravvivere ai suoi leader – prosegue la nota – Sa anche che gli elettori del Centro-Nord potrebbero non gradire il fatto di essere governati da un partito concentrato sul Sud come il Movimento 5 Stelle”. Inoltre, secondo Citi, il leader della Lega è consapevole del fatto che il successo del suo partito è direttamente legato alla dura opposizione al Pd e a Matteo Renzi. “Così potrebbe essere per lui politicamente rischioso accettare di dirigere un governo supportato dal Pd e da Berlusconi considerando le divergenze con quest’ultimo durante la campagna elettorale – spiegano gli esperti – Per questo il leader della Lega potrebbe preferire qualcun altro alla guida del Paese, mentre capitalizza una piccola maggioranza per preparare la Lega alla conquista della leadership del centro-destra e delle regioni Nord-Centrali”.
Situazione diversa per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle. Secondo la banca Usa, la forza politica potrebbe trarre giovamento da un ulteriore periodo all’opposizione, tuttavia “Di Maio non avrà una seconda chance (non può essere ricandidato per la seconda volta). Così potrebbe essere tentato dal formare un governo – si legge nell’analisi – Tuttavia, dovrà spingere per una frattura all’interno Pd con l’obiettivo di trovare i voti necessari a governare. E combinare con successo il Movimento 5 Stelle con l’agenda dell’ala sinistra del Pd per guidare il Paese potrebbe essere un difficile esercizio visto il rapporto debito/pil al 135% con il 30% della popolazione che ha più di 60 anni. In ogni caso uno scenario simile impiegherà mesi per svilupparsi e il Pd dovrà prima maturare la frattura al suo interno”.
L’unica consolazione è che se davvero il Pd dovesse spaccarsi, secondo Citi, si metterebbero le basi per la costruzione di un nuovo partito capace di attrarre i moderati di Pd, Forza Italia e altri piccoli partiti che rappresentano un terzo dell’elettorato. Per non parlare del fatto che, nel frattempo, dalle ceneri di Renzi e Berlusconi potrebbe nascere un nuovo leader. Non tutto il male, insomma, viene per nuocere. Ma, al momento, per la banca una cosa è certa: “ I leader italiani sono più focalizzati sul lungo termine di quanto non lo siano gli investitori finanziari. E questa non è una buona notizia”. Di conseguenza Citi si attende una performance deludente (underperform) per i titoli italiani.

mercoledì 7 marzo 2018

Elezioni Italia, il motivo della ribellione? La ripresa che non c’è

Fonte: WSI 7 marzo 2018, di Daniele Chicca

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A giudicare dalla cartina elettorale dell’Italia dopo il 4 marzo, il paese risulta spaccato in due, con il Nord appannaggio della coalizione di centro destra a trazione Lega e il Sud tutto schierato con il MoVimento 5 Stelle. Nonostante le differenze di offerta programmatica, le ragioni del successo delle due formazioni politiche anti sistema ed euroscettiche hanno radici tuttavia analoghe e sono da ricercare nella situazione economica.
Semplificando al massimo, si può concludere che al Nord la parte più produttiva del paese vuole meno tasse (la flat tax è la promessa elettorale cardine della lista dei conservatori), mentre al Sud – dove la disoccupazione specie quella giovanile è ancora alle stelle, in controtendenza con i miglioramenti visti nel resto d’Europa – del programma del MoVimento 5 Stelle deve essere sicuramente piaciuta la promessa di un reddito di cittadinanza.
Dopo due decenni di economia stagnante, in Italia la gente si è ribellata ma lo ha fatto anche troppo tardi, dimostrando – soprattutto al sud e nelle periferie – di non avere fiducia nei progetti per il futuro della classe digerente. I miglioramenti visti negli ultimi anni dell’ultimo mandato di governo a guida PD hanno convinto soltanto il 18-19% degli elettori. Gli italiani hanno premiato partiti protezionisti e contrari all’Eurozona così com’è strutturata. Sebbene il parlamento sia sulla carta ingovernabile, un’altra volta dopo lo schock Brexit e dopo l’elezione a sorpresa di Trump, la febbre dell’anti establishment e il sentimento contrario alla globalizzazione hanno dominato, più di quanto sondaggisti ed esperti vari avevano preventivato.
Anche il problema delle onde migratorie ha sicuramente avuto un impatto nella distribuzione del voto in Italia, ma più in chiave economica che di sicurezza, secondo gli analisti. I leader europei di Germania e Francia, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, ora si troveranno a dover fare i conti con un partner imprevedibile, proprio in un momento in cui devono rispondere alla minaccia di una guerra commerciale lanciata da Donald Trump in Usa.

Secondo lo strategist Jeffrey P. Snider di Alhambra Investments gli economisti continuano a parlare di ripresa, ma non è propriamente corretto. Mentre in Eurozona è innegabile che ci sia stato finalmente un recupero delle attività, l’Italia è in ritardo. “Non importa quante prove ci siano contro la ripresa” della terza forza economica dell’area euro, “gli economisti continuano a sostenere che è in atto o che comunque si paleserà domani”.
È un punto di vista assurdo, secondo l’analista, dal momento che parte da un presupposto che dovrebbe essere invece la conclusione della tesi (una ripresa economica in atto), per poi cercare man mano prove in grado di confutare la tesi iniziale. A luglio del 2012 Mario Draghi salvò l’euro dicendo che “avrebbe fatto tutto pur di salvare” la moneta unica, e quindi mantenere in vita il sogno di un’integrazione maggiore in Eurozona.
Ma sia Luigi Di Maio, leader del M5S (partito votato da quasi un terzo degli elettori), sia Matteo Salvini, che sarà probabilmente il primo dei candidati premier a ricevere l’incarico da Sergio Mattarella per provare a formare il governo, sono a favore di un’Europa delle regioni e  non negli Stati Uniti d’Europa. Salvini vuole mettere fine ‘dell’impero tedesco in Europa’, per usare le stesse parole del leader della coalizione di centro destra, che si è assicurata il maggior numero di seggi in parlamento dopo il 37% dei consensi raccolti alle elezioni.
L’impressione di Snider è che “Mario Draghi, come il suo predecessore Jean-Claude Trichet e Ben Bernanke in Usa, l’ex presidente della Federal Reserve, non abbia bene idea” di quanto sia accaduto nel 2008 (con la crisi finanziaria scatenata dallo scoppio della bolla dei mutui subprime) o nel 2011 (l’anno dell’apice della crisi del debito sovrano in Europa). “La sua banca centrale sta provando a porre rimedio a un problema che però non riesce a capire e il risultato è che il problema non viene risolto” e che riguarda l’economia.


“I cittadini sono arrabbiati anche per questo. Non ci vuole un grande sforzo mentale per riconoscere che gli elettori italiani hanno i loro validi motivi” per ribellarsi contro l’establishment e non c’entra la storia oscura dell’Europa, bensì è una questione di economia, la quale purtroppo “è la disciplina più fragile mai inventata: non permette un’analisi introspettiva, nemmeno minima, perché è più una forza politica che scientifica”.
In Europa questo è ancora più evidente. Il rischio di una crisi politica nel blocco europeo è attribuibile alla questione tabù, di cui nessuno vuole parlare. La minaccia di una rottura dell’euro è più grande oggi di quanto non fosse nel 2012 e dimostra che Draghi non è riuscito nel suo intento.
Non saranno gli squilibri di bilancio Target II dell’Italia o dei problemi della Grecia, che è stata a un passo dal default e dall’addio all’Eurozona, bensì la ribellione contro quello che Draghi non riesce e non vuole vedere. Può fare tutte le promesse che vuole, ma il destino dell’Europa non sarà determinato dall’euro.
È da vent’anni che l’Italia non cresce, ma l’ultimo decennio – con gli avvenimenti che lo hanno caratterizzato – è stato più che sufficiente perché gli italiani, che non hanno mai vissuto una vera rivoluzione, si ribellassero contro una cosa che un tempo appoggiavano con entusiasmo. “Poi ci si chiede come mai i molteplici errori commessi dalle autorità non sono una formula vincente alle urne?”, si chiede retoricamente l’analista indipendente.
“Dieci anni è un periodo molto lungo per sopportare le promesse non mantenute”, dice Snider. “Gli italiani, i britannici e gli americani hanno sino agli ultimi tempi mostrato una pazienza notevole. Hanno dato ai tecnocrati e ai politici il beneficio del dubbio in più occasioni”, con le politiche e gli esperimenti attuati che però non hanno dato i frutti sperati.

martedì 6 marzo 2018

Elezioni: la trappola

Ho posta to apposta ieri l'articolo di Andrea Scanzi non solo perchè lo condivido in toto ma soprattutto perchè, con arguzia, ha detto chiaramente quel che 7 italiani su 10 pensano da anni, il sottoscritto compreso, ma che non sempre possono o, per stanchezza, vogliono dire: queste elezioni sono l'addio, almeno per i cittadini, a questi politici e agli ultimi 25 anni di politica italiana.. del tutto fallimentare: siamo più poveri; più cattivi, più egoisti; più razzisti; più violenti e, soprattutto, senza futuro non solo per noi ma per i nostri figli.
Gli italiani hanno parlato chiaro dicendo basta con tutti loro. C'hanno messo un macigno sopra e non ne vogliono nemmeno più sentir parlare.
Pensate, però, che davvero sia finita qui? O meglio, pensate davvero che questi si 'dimettono' sul serio e se ne vanno a godersi le rendite maturate alle Canarie o chissà dove? Vana speranza: non molleranno, anzi semmai terranno duro e non si periteranno di fare ancora più danni inguaiando ancora di più il paese pur di evitare quel che ieri si è detto chiaro: il paese ha cambiato pagina ma loro no.
Ha ragione Scanzi: i 5 stelle devono evitare di farsi carico, insistendo, di andare a un governicchio di minoranza con chi ci sta per farsi erodere il consenso. Non hanno imparato nulla dalle esperienze romane o torinesi? Hanno già dimenticato lo stillicidio giornaliero fatto sulle sindache dai media? spero di no perchè sarebbe proprio un errore storico da cui non solo loro ma l'intero paese non si risolleverebbe più, ma proprio più..... a meno di non votare tutti Lega. Già il trappolone: ci stanno lavorando duramente: Confindustria si è già schierata aprendo ai pentastellati; l'altra parte della tenaglia è Scalfari (forse mandato avanti in avanscoperta da qualcun'altro ..... forse la famosa tessera n°1?); manca l'esca (un incarico di governo senz'avere i numeri) e la preda (i 5 stelle) che cade in trappola.
Cadranno o sapranno evitarla? Ai posteri l'ardua sentenza e se non fosse che saremo noi a pagarne le conseguenze sarebbe quasi da guardare con un divertito distacco.... per intendersi con l'espressione che aveva Sordi, quando girò il film 'In viaggio con papà', quando guardava quel figlio un pò così (...) egregiamente interpretato da un grandissimo Verdone!!!
Perchè il problema è esattamente questo: mentre impazza 'La grande bellezza (un inno alla sinistra che lotta ... nei salotti dei .... parioli') del paese non importa a loro e non importa a chi gli sta dietro e a quella parte del paese che in questi anni si è arricchito ai nostri danni....

lunedì 5 marzo 2018

Elezioni 2018, qualche considerazione

Fonte: Il Fatto Quotidiano Elezioni Regionali 2018 | 5 marzo 2018


 Benvenuti a Ten Talking Fava, l’unica rubrica che esce solo il 5 marzo 2018. Vincitori indiscussi: M5S e Lega. Sconfitto indiscusso: Matteo Renzi. Non c’è alcuna maggioranza, quindi o si torna al voto entro un anno con una nuova legge elettorale oppure l’unica strada è chiedere a Dario Nardella di essere il nuovo Chuck Norris.
Altre considerazioni.
1. Renzi è sempre stata la più grande sbornia politica inspiegabile nella storia dell’Italia repubblicana. Un uomo politicamente senza pregi, privo di qualsivoglia qualità, goffo e caricaturale, arrogante e vendicativo, tronfio e circondato da una classe dirigente terrificante al cui confronto la Carfagna è Nilde Iotti. Eppure, se lo criticavi nel 2014, ti lapidavano. Da allora, com’era naturale che fosse, le ha perse tutte. Ma proprio tutte. Se avesse smesso dopo il 4 dicembre 2016, come del resto aveva promesso (come Boschi, Carbone, Fedeli e altri intellettuali), avrebbe fatto bene anzitutto a se stesso. Ma non ha smesso. E la slavina si è fatta gogna, e poi martirio, e poi strazio, e poi Armageddon. Una cosa meravigliosa. Rinfrancante. Persino esaltante, nella sua comicità. Ora però basta. Scendere sotto il 20 – anzi il 19 alla Camera – è una roba da annali dell’insipienza. Torna a Rignano e non farti vedere mai più, Matteo: c’è un limite anche all’andrearomano, cioè al ridicolo.
1 bis. Registratevi ogni discorso degli ultrà renziani di queste ore. E poi riguardateli nei momenti in cui la vita ci presenterà il conto. Vi farà bene. Ci farà bene.
1 ter. Nella “carriera politica” di Francesca Barra c’è tutta l’essenza del renzismo.
2. M5S. E’ il grande vincitore indiscusso. Il 32% o giù di lì è una cifra monstre, ancor più considerando che il 25% de 2013 pareva irripetibile e che l’anno dopo alle Europee sembravano già morti. E’ una vittoria che deriva dalla pochezza altrui, dalla stampa che continua quasi sempre a trattarli come ebeti fascisti (accrescendone il bacino d’utenza) e dal sentimento di “ci son rimasti solo loro da provare”. Dipende però anche da qualche loro merito innegabile: aver fatto davvero opposizione (come quasi mai ha fatto il centrosinistra), qualche bel profilo uscito in questi anni e l’idea radicata in molti che i 5 Stelle siano bislacchi e masochisti, sì, ma rappresentino comunque l’unica novità autentica del panorama politico.
2 bis. Il M5S ha vinto, ma non ha i numeri in Parlamento. Secondo le stime, dovrebbe avere 230-240 seggi alla Camera e 110-120 seggi al Senato. Tantissimi, ma del tutto insufficienti. Se anche ricevesse l’incarico, con quali numeri potrebbe governare? LeU è impalpabile, mentre abbracciare la Lega significherebbe perdere in un giorno metà dei consensi. Di Maio può provare col governo di scopo, per poi – dopo il no di quasi tutti – sperare in una nuova legge elettorale. E quindi governare sul serio tra sei mesi o un anno. Ovviamente gli altri faranno di tutto per contrastarli, e la cosa per i 5 Stelle potrebbe anche essere positiva: più gli impediscono di governare, più loro crescono. Anche se Renzi, Berlusconi e i giornaloni non riescono a capirlo mica.
2 ter. Di Maio e 5 Stelle devono essere furbi a non cadere nella più ovvia delle imboscate. Dargli il mandato, illuderli di avere i numeri e poi essere disarcionati dopo pochi mesi tipo il Berlusconi I o i due Prodi, che comunque avevano molti più parlamentari. Se i 5 Stelle mantengono la verginità politica su scala nazionale, al prossimo giro sbancano. Se invece si fanno fregare e “inciuciare”, al prossimo giro stravince la Lega.
3. Salvini. E’ l’altro grande vincitore delle elezioni. La Lega ha giusto un punto in meno del Pd alla Camera, sfiora il 18% e guarda dall’alto Berlusconi. Capolavoro politico. Salvini è il nuovo leader del centrodestra. Auguri.
4. Berlusconi. Più bollito del carrello di Carrù, è stato spedito in tivù dagli “amici” sperando che sapesse far tornare il Sole nel centrodestra. Stanco e ormai incapace persino di citare le cifre giuste che gli scrivevano sui foglietti, ha straparlato di “117 milioni di migranti arrivati nel 2017 in Italia” (neanche nella Bibbia), redditi di dignità di 12-13mila euro al mese (l’avrei votato subito) e “curve di Laser” (con Gundam alla Difesa, Mazinza Z agli Esteri e Jeeg Robot al Dicastero dei Rapporti col Parlamento). Crepuscolo.
4 bisA uno così, 14 elettori su 100 credono ancora dopo 24 anni. Vamos.
5. Meloni. Quando le dicevo in tivù che aveva le stesse chance di arrivare prima nel centrodestra che ne ho io di sostituire “Bonzo” Bonham nei Led Zeppelin, si inalberava. Me ne dolgo, ma non ero io ad aver torto. Ha preso poco più del 4%, neanche un quarto di quel che ha avuto Salvini e neanche un terzo di quel che ha arraffato Berlusconi. La Meloni, nel centrodestra, ha il peso che ha Musacchio nel Milan di GattusoE’ triste, ma lo accetti. E già che c’è si liberi di quelle carampane politiche chiamate La Russa e Santanché.
6. Grasso. Un altro grande sconfitto. Supera a fatica la soglia del 3 e in Parlamento sarà pressoché irrilevante. LeU paga la sensazione data di non essere né carne né pesce: più vecchia che nuova, è parsa quel che probabilmente è, ovvero un gruppo di transfughi che – lecitamente – aspettavano lo schianto del fantozziano Renzi per poi rientrare nel Pd. Non hanno poi aiutato certe facce, su tutte la Boldrini, sfolla-consensi come neanche Renzi.
6 bis. No, come Renzi no.
7. Bonino. E qui mi viene da ridere, e pure parecchio, perché sono settimane che sento dire negli ambienti chic questa litania: “I radicali faranno il botto”. Come no. Accadde anche nel 2006: tutti a dire che la Rosa nel Pugno avrebbe fatto sfracelli, e poi raccolse la miseria del 2.5%. Più o meno come la Bonino. La sopravvalutazione è dipesa dall’autoreferenzialità di molti giornalisti, che poiché supporter dei radicali (e amici di elettori radicali) credevano che tutta Italia fosse come loro.
Sfortunatamente per il poro Mario Calabresi, l’Italia non coincide con gli attici di Largo Fochetti. La Bonino è stata votata (spesso, non sempre) da renziani che cominciavano a vergognarsi di essere renziani. Era una stampellina irrilevante della Sciagura di Rignano. Per il 98% degli italiani era una compagine pleonastica. Del resto la Bonino si era unita a Tabacci (ahahahahhahah) perché neanche ce l’aveva fatta a trovare le firme. Si rassegni: ha molte doti, ma non ha (da decenni) elettori. Può vivere anche senza poltrone. Lei come noi.
8. Potere al Popolo. Idea nobile, e persone qua e là meravigliose (su tutte Lidia Menapace), ma non aveva chance alcuna di superare il 3 (1.05%). Ognuno vota come vuole, e ci mancherebbe, ma il rischio di disperdere il voto era appena (ma giusto appena) altino.
9. Noi con l’Italia. Ma l’Italia non con loro. I vari Fitto, Cesa, Lupi e Mastella hanno raccattato un vaffanculo (1.19%) che ne bastava anche solo la metà. Levatevi dalle palle. Agili.
9 bis. Raffaele Fitto è l’unico “politico” ad avere indovinato, in tutta la sua carriera, la miseria di un fuorionda. Son soddisfazioni.
9 ter. Nel Dizionario dei Sinonimi e Contrari hanno appena aggiunto un sinonimo alla parola “inutile”: “Italia Europa Insieme”. La gloriosa compagine atta a imbarcare quel che resta dei verdi, dei Mascia e del Popolo Viola ha conquistato un leggendario 0,53%. Così imparano a fingersi rivoluzionari a 20 anni per poi reinventarsi (?) brutte copie dei Gozi & Picerno. Sia loro lieve l’inutilità.
9 quater. Tra le poche cose di cui son certo c’è il mio essere fieramente antifascista, ma questa recente sopravvalutazione del “ritorno del fascismo” è parsa un mezzuccio per indurre gli indecisi a votare Renzi per arginare il pericolo dei nuovi Farinacci. Ebbene: non ha funzionato. E faccio umilmente notare che Casa Pound ha preso lo 0.84%, non il 48.
10.
Ve lo ricordate Angelino Alfano agli Interni e agli Esteri? Neanche si è candidato. Ve la ricordate Beatrice Lorenzin, ministra della Salute e rutilante pasionaria di Family day e altri demoni? Ha preso lo 0.50% (daje). Se questa elezione ha un pregio, ha senz’altro quello di aver ricordato ai “Si credono stocazzo” che non contano nulla. Non sono nulla. E devono smettere di rovinarci la vita. Vale per la petalosa Lorenzin, vale per i quartagambisti del centrodestra. E vale per tanti altri rottamati. Stavolta sul serio, stavolta (si spera) per sempre.
(10 bis. Insisto: l’ipotesi migliore, con questi numeri qua, è fare una legge elettorale seria alla svelta e tornare al voto entro un anno. Il rischio inciucio c’è ancora, eccome, con tutti o quasi al potere pur di non mandarci i 5 Stelle)

Elezioni Regionali 2018 | 5 marzo 2018

domenica 4 marzo 2018

Oggi si vota, avremo i risultati che ci meritiamo

Fonte: Il Fatto Quotidiano Elezioni Politiche 2018 | 4 marzo 2018 


Tra le tante storie che si sono raccontate sulla campagna elettorale italiana la Bbc ha scelto il proliferarsi di notizie false. Anche se le fake news ormai fanno parte di tutte le campagne elettorali, quelle italiane hanno colpito gli anglosassoni per la loro crudezza ed assurdità. Ed ecco un paio di esempi.
Lo scorso novembre alcune testate hanno riferito che una ragazza musulmana di nove anni era stata ricoverata in ospedale a causa delle percosse del marito trentacinquenne. La notizia è stata oggetto di tweet di propaganda da parte di più di un candidato. Naturalmente era falsa ed è stata smentita dai carabinieri.
A febbraio un gruppo di sostenitori del Movimento 5 Stelle hanno condiviso un sondaggio falso attribuendolo alla Bbc, Der Spiegel e Daily Star Libanese, dove si leggeva che il partito era prossimo ad ottenere il 48% dei voti. In Italia neppure la DC è mai arrivata ad un livello tale.
C’è da dire che dopo la Brexit e l’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti anche i sondaggi veri vanno presi con le pinze. L’unica certezza che abbiamo è che oggi molti decideranno sul momento chi votare, altri neppure lo faranno, scoraggiati da una campagna che come quelle negli altri paesi è stata caratterizzata dalla propaganda e dal fango che i vari candidati si sono lanciati a vicenda. Se poi farà nuovamente freddo, pioverà o nevicherà, allora l’affluenza alle urne sarà ancora minore.
La campagna elettorale italiana ed i risultati che ci porterà domani non sono diversi da quelli esteri. Il villaggio globale è il villaggio globale, non esistono grandi differenze. Nel 2016, gli anglosassoni hanno votato di pancia perché anche loro ce l’hanno ed i sostenitori della Brexit lo sapevano benissimo. Gli americani hanno eletto Trump per gli stessi motivi. Eppure la stampa internazionale continua ad essere affascinata da personaggi come Berlusconi o Grillo, politici che a loro parere sono unici e fanno delle elezioni e della politica italiana un grande circo. Ma sbagliano.
Ma anche il resto dell’occidente ormai è un grande circo politico e così i risultati delle elezioni italiane non saranno diversi da quelli degli altri paesi. Il populismo trionferà per un semplice motivo, è il cavallo di battaglia di tutti i candidati politici. Senza non si può far nulla, lo sa bene Theresa May, che si è opposta alla Brexit ma che una volta eletta primo ministro l’ha difesa a spada tratta. Domanda: il leader deve guidare o farsi guidare dal popolo? Identico discorso vale per paesi come la Polonia, l’Ungheria, le repubbliche baltiche dove il populismo della destra è il prodotto di un nazionalismo sfrenato, reputato dal popolo la difesa maggiore contro i pericoli che arrivano dall’estero, ad esempio i migranti ma anche le decisioni di Bruxelles.
E dato che si tratta di populismo, fenomeno che per definizione non ha né ideologia né piano d’azione, non esiste un programma di riforme, non ci sono proposte concrete, ci troviamo di fronte all’ennesima scatola vuota che durante le elezioni è piena di odio, risentimento, rabbia ecc. ecc. Ed ecco perché la caratteristica dei leader populisti è l’imprevedibilità, decidono sul momento in base alla temperatura del popolo. Ad esempio, nessuno sa mai come reagirà Trump a certe notizie. Lo stesso si potrebbe dire di Di Maio, il Movimento 5 Stelle ha mantenuto una posizione ambigua riguardo a tutti i temi più importanti del paese, ad esempio, sappiamo se è pro o contro l’euro? Il partito ha coperto questa pericolosa incertezza presentando una squadra di ministri simile a quella di Mario Monti, quasi tutti professori universitari, come se essere un cattedratico basti a garantire una visione di lungo periodo sul da farsi. Ha anche mostrato agli italiani il primo decreto che voterà: riduzione dei salari dei parlamentari, dei privilegi, risparmi degli sprechi e ridistribuzione alle famiglie ed ai poveri. Sempre la stessa solfa! Magari bastassero queste manovre a far uscire il paese da più di un decennio di stallo economico.
Questo tipo di messaggio punitivo nei confronti dei parlamentari è proprio quello che il votante populista vuole sentire perché è stanco dei privilegi (perché non ce li ha) e non sa cosa fare per azzerarli. Il vero problema è a monte e si riferisce al perché la terza economia dell’Unione Europea è degenerata in una democrazia bloccata in quanto gestita dalla casta e perché tutti vogliono entrarci. Nelle liste di tutti i partiti, incluso il 5 Stelle ci sono i soliti noti, inclusi, ahimè, i giornalisti televisivi ai quali viene data la ricompensa per essere stati ‘gentili’ con i candidati durante la passata legislatura.
Stiamo per assistere all’ennesima Fiera delle Vanità politiche assolutamente priva di contenuti.
Nessuno dei candidati ci ha detto come farà il suo partito ad aumentare l’occupazione, a redistribuire il reddito più equamente, a far rinascere negli italiani l’etica del lavoro o l’orgoglio di essere una nazione senza attribuirne la decadenza agli emigrati e cioè all’altro.
Anche se mai lo ammetteremo, anche questa volta avremo i risultati che ci meritiamo!
Elezioni Politiche 2018 | 4 marzo 2018

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