Il
presidente Usa già annuncia un “segnale” al dittatore della Nord Corea
ma sul bombardamento “telefonato” di Shayrat restano punti poco
chiari.Congratulazioni ai nostri uomini e donne delle forze armate
per aver rappresentato gli Stati Uniti, e il mondo, così bene
nell’attacco in Siria”. Il presidente Donald Trump affida a Twitter il
suo primo commento ufficiale sul raid, dal discorso alla nazione di
giovedì sera. Il tycoon a molti inviso, nello spazio di poco tempo è
diventato il guardiano della democrazia.
Anche la Cnn, che prima e
dopo la campagna elettorale non gli aveva fatto sconti sul Russiagate –
rapporti ambigui dello staff presidenziale con esponenti russi del
mondo politico ed economico – rilancia che gli Usa starebbero
verificando se il bombardamento sull’ospedale siriano poco dopo
l’attacco chimico (l’episodio che avrebbe spinto Trump a intervenire in
Medio Oriente) sia stato condotto dalla Russia, o dalla Russia assieme
al governo siriano, per distruggere le prove.
In altre parole, il
bombardamento deciso dalla Casa Bianca era necessario per mandare un
messaggio ad Assad e Putin: in quello scenario non potete fare più come
vi pare.
Superata l’onda emotiva però, nella narrazione del raid
dopo 72 ore restano spazi vuoti sia sul piano militare che politico.
Anche perché il presidente americano ha già abbandonato il fronte
siriano per concentrarsi sul nemico di sempre: la Nord Corea del
dittatore Kim Jong-un.
Quali obiettivi. “Gli attacchi isolati, è
dimostrato che non sono in grado di cambiare molto, serve una strategia
ampia e serve l’autorizzazione del Congresso per ulteriori azioni
militari”. Il New York Times in un editoriale sottolinea come “è
difficile non provare un senso di soddisfazione e giustizia fatta” ma
mette in fila una serie di quesiti. L’attacco “era legale? Era una
risposta isolata non legata a una più ampia strategia per risolvere il
complesso dilemma in Siria? Finora non ci sono prove sul fatto che
Trump abbia pensato alle implicazioni dell’uso della forza militare o
pensato quali possano essere le prossime mosse”. Il NYT inoltre scrive:
“Mr. Trump ha spiegato che il suo atteggiamento è cambiato dopo aver
visto le vittime civili dell’attacco chimico. Per quanto possa essere
sincero questo sentimento, lo spettacolo di un presidente che fa
retromarcia e prende decisioni sull’onda emotiva non suscita fiducia.
Bisogna anche chiedersi perché simili sentimenti non siano scattati
prima, dinanzi ai 400 mila morti della guerra civile dal 2011 in poi, o
delle migliaia di rifugiati siriani a cui lui ha sbarrato la porta”.
Il
fronte interno. Il magazine Politico ritiene che il nuovo approccio
muscolare del presidente lo aiuterà anche sullo scenario interno; sarà
più facile per la Casa Bianca difendersi dalle accuse di relazioni
troppo strette tra collaboratori di Trump e la Russia che stanno
emergendo nell’indagine dell’Fbi sulle interferenze di Mosca nelle
elezioni dello scorso novembre.
A un quesito di Politico riguardo
alla possibilità che queste valutazioni abbiano avuto un peso nella
decisione di dare il via al raid, Michael Short, portavoce della Casa
Bianca ha reagito sdegnato: “Assolutamente no, è una domanda
francamente offensiva”.
Gli alleati di Assad. “Dopo il massiccio
attacco Usa con missili da crociera sulla base aerea di Shayrat né il
Pentagono né il Dipartimento di Stato hanno presentato alcuna prova
della presenza di armi chimiche in questa base aerea”. Così il generale
Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo ribadisce
la richiesta del Cremlino: gli americani devono provare che Assad
abbia usato armi chimiche e che siano partite da quella base. Il
presidente iraniano, Hassan Rohani, ha chiesto la creazione di un
gruppo internazionale – formato da Paesi neutrali – che indaghi su “da
dove siano arrivate” le armi usate nell’attacco a Khan Sheikoun, “per
mezzo di chi e se siano state chimiche o meno”.
Altri particolari
tolgono smalto all’entusiasmo di Trump: la base, nonostante sia stata
sottoposta ad un bombardamento serrato – gli americani hanno parlato di
59 missili Tomahawk – ieri era di nuovo operativa. I russi sono stati
avvisati prima sul fatto che sarebbe avvenuto il bombardamento. Gli
stessi russi in Siria hanno l’ombrello dei razzi S400, il sistema di
difesa più avanzato del Cremlino, in grado di intercettare i razzi da
crociera (come i Tomahawk), ma non li hanno utilizzati.
Il bluff.
Proprio perché ci sono tasselli che non vanno al loro posto anche
sulla stampa americana prende corpo l’ipotesi che quello del
presidente-magnate sia stato un bluff da giocatore di poker, in combutta
con l’amico di Mosca. “E se Putin fosse la mente dietro l’ultima
settimana in Siria per aiutare indirettamente l’immagine del presidente
americano e distogliere l’attenzione dalle indagini?”.
Sulla rete
Msnbc il conduttore Lawrence O’Donnell mette insieme questa
sceneggiatura alternativa: l’attacco chimico, anche se ridotto, ha
attirato l’attenzione dei media americani e offerto all’amministrazione
Trump la possibilità di lanciare i missili, e rafforzare la sua
immagine. “La reazione della Russia è stata ridotta” ma la “dinamica è
cambiata” sui media, che ora ritengono in bilico i rapporti fra Russia e
Stati Uniti.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 09/04/2017