venerdì 17 ottobre 2014

Legge di stabilità: Renzi taglia le tasse, aumentandole

di Giacomo Zucco | 16 ottobre 2014

Così Matteo Renzi, orgoglioso e festante, presenta su Facebook la sua “legge di stabilità. Il suo riassunto è che si tratterebbe sostanzialmente di “18 miliardi di minori tasse”. Il suo riassunto è talmente assurdo da creare un effetto estraniante anche maggiore dei colori psichedelici scelti per fare da sfondo alle sue slide.

Prendendo per buoni i numeri del primo ministro, dal lato delle “uscite” ci sono effettivamente alcune voci evidentemente identificabili come tagli di imposte (anche se chiamare “uscita”, quasi fosse una generosa elargizione, quello che è in realtà una minore rapina, è indicativo del mondo capovolto della finanza statale).
Ci sono 5 miliardi di euro di taglio Irap e altri 3 miliardi di generica “Eliminazione nuove tasse”. Poi c’è la voce che riguarda i famosi “80 euro“, che comprende in realtà sia una riduzione del prelievo fiscale, nel caso dei dipendenti dell’economia reale, sia un aumento di spesa statale, nel caso dei dipendenti della “Pubblica Amministrazione” (che per definizione non pagano tasse, essendo il “prelievo fiscale” su di loro una semplice partita di giro, quindi una “minor tassazione” su di loro significa solamente un aumento del loro salario netto, un aumento di spesa).
Tutto il resto sembrerebbe un aumento di spesa statale corrente, sotto forma di nomi suggestivi e politicamente corretti. Immaginando, comunque, che anche i 9,5 miliardi di “Bonus 80 euro” rappresentino un taglio delle tasse e non un aumento di spesa (non è così, almeno per quanto riguarda più della metà della cifra), abbiamo comunque un bilancio di 17,5 miliardi di tagli fiscali e di 18,5 miliardi di nuova spesa statale.
Come sono coperti questi 36 miliardi? Ci sono innanzitutto 11 miliardi di deficit spending. Ovvero di tasse che dovremo pagare (noi o i nostri figli, se non siamo abbastanza intelligenti e responsabili da andarcene quanto prima da questo paese disastrato) tra qualche anno con gli interessi. Il deficit statale è come una spesa su una carta di credito il cui saldo sarà poi addebitato a noi tartassati.
Ci sono poi 3,8 miliardi di “recupero di evasione”, che consistono per definizione in nuove entrate fiscali, rastrellate come sempre in totale sovvertimento del diritto (cartelle pazze, violazioni continue e sistematiche dello “Satuto del Contribuente”, prelievi retroattivi, inversione dell’onere della prova, solve et repete, circolari dell’Agenzia delle Entrate che assumono valore di legge, ipoteche al di sotto dei limiti legali).
Ci sono anche 3,6 miliardi di “tassazione sulle rendite”, ovvero di balzelli sui risparmi di chi ha messo qualcosa da parte per il proprio futuro o quello dei propri figli. C’è 1 miliardo di tassazione proveniente dalle slot-machine: un mercato che lo Stato italiano attivamente droga, pompa e fomenta, per lucrare sulle entrate fiscali, salvo poi demonizzarlo con la crociata contro la “ludopatia”.
Lasciando per il momento in un limbo di mistero voci come “Banda Larga” (che razza di entrata sarebbe???) e “Riprogrammazione”, abbiamo poi una non meglio specificata “Spending Review” di 15 miliardi. Sarebbe carino sapere, dopo l’affossamento del lavoro di Cottarelli e di tutti quelli precedenti, come faranno lorsignori a tagliare questi 15 miliardi. Probabilmente non lo faranno. Ma anche se lo facessero, il saldo è chiaro: almeno 19,4 miliardi di entrate fiscali in più, forse 15 miliardi di spesa corrente in meno.
Guardando l’insieme della slide e considerando come valide tutte le ipotesi più ingenuamente ottimistiche, abbiamo: 17,5 miliardi di tagli di tasse e 19,4 miliardi di aumenti di tasse, attuali o future (come minimo 2 miliardi di tasse in più); 15 miliardi di tagli di spesa e 18,5 miliardi di aumenti di spesa (come minimo 3,5 miliardi di spesa in più).
Forse anche solo commentare un simile livello di cialtroneria è una perdita di tempo. Meglio concentrarsi su cose pratiche: spostare imprese, famiglie, risparmi, lavoro e vita fuori da questo paese condannato.
p.s.
oops... Buon Week end :)

mercoledì 15 ottobre 2014

I 30 MILIARDI DI MANOVRA PER PREPARARE LE ELEZIONI (Stefano Feltri).

postato il 15/10/2014 dal blog di  triskel182
OGGI LA LEGGE DI STABILITÀ: BONUS, SCONTI IRAP E SGRAVI PENSANDO AL VOTO.
Questa è una legge di stabilità elettorale, il piano ormai è chiaro”, dice un importante dirigente del Pd che si prepara a leggere il provvedimento all’ordine del giorno oggi in Consiglio dei ministri conoscendone già lo scopo politico. Lo schema è lineare, come spesso accade nel renzismo: una manovra da 30 miliardi che regala molto a molti, tra TFR, sgravi per le assunzioni, tagli all’Irpef, bonus fiscali. Le coperture? Un po’ di deficit, tagli lineari e qualche misura incerta. Quando si vedranno i buchi sarà troppo tardi.  

“IL CAPO DELLO STATO Napolitano si dimetterà dopo la legge di stabilità”, commentano dentro il governo Renzi. Chissà, forse l’annuncio sarà nel discorso di fine anno, assieme all’appello per le grandi riforme che si sono arenate complice la sessione di bilancio. L’accordo con Berlusconi e Fi lo hanno capito anche i peones del Transatlantico: il prossimo capo dello Stato va eletto con questo Parlamento, in cui il Cavaliere conta ancora qualcosa. Va scelto qualcuno che non sia troppo ingombrante per il premier e che possa far balenare a Berlusconi l’ipotesi di una qualche riabilitazione. E, dopo, liberi tutti. Al voto prima che l’Europa sanzioni l’Italia come inevitabile quando sarà palese lo sfondamento del tetto del 3 per cento al rapporto deficit-Pil. “L’Europa può andare affanculo”, riassume un super-renziano.   Ieri le Camere hanno votato la Nota di aggiornamento al Def, che sposta il pareggio di bilancio dal 2016 al 2017. Il governo Renzi, come quello di Letta, si rifiuta di fare la correzione da quasi 15 miliardi necessaria per rispettareilritmodiriduzionedeldebito prevista dal Fiscal compact. È il primo passo della finanziaria elettorale di Renzi che ha bisogno di far salire il deficit 2015 per trovare copertura (o meglio, per emettere nuovo debito in assenza di copertura) ad alcune misure garanzia di sicuro consenso. I numeri sono noti: 30 miliardi di interventi, 18 di tagli di tasse, circa 16 di spending review (“tagli lineari”), dicono i critici.   Alla vigilia del Cdm fioccano promesse. Il sottosegretario Graziano Delrio: “La spending review sulle Regioni si aggira intorno ai 4 miliardi come tagli di sistema ma il budget della sanità non verrà toccato, anzi si può ragionare su eventuali incrementi”. Addirittura aumenti: i governatori fanno notare che se non si tocca la spesa sanitaria, si incide sul resto del bilancio che nel complesso vale 19 miliardi. Quindi si parla di un taglio del 25 per cento, altro che il 3 annunciato. Il ministro Maurizio Lupi (Ncd) esulta per “la proroga sia dell’ecobonus al 65 per cento che del bonus del 50 per cento per ristrutturazioni e mobili”. E poi ci saranno gli sgravi per chi assume a tempo indeterminato, la proroga degli 80 euro in busta paga, quasi certamente la possibilità di farsi anticipare la liquidazione in busta (tassata però con l’aliquota Irpef). Tutte misure che – come gli 80 euro a maggio – possono forse far bene all’economia, ma aiuteranno anche la popolarità del premier e del Pd.   Al ministero del Tesoro hanno provato a contenere l’esuberanza del premier: il ministro Pier Carlo Padoan ha scritto una Nota al Def, il documento con i numeri su cui si imposta la legge di stabilità, molto prudente. “Ma Padoan non ha toccato palla, la partita è tutta tra palazzo Chigi e la Ragioneria che va convinta delle coperture”, dicono a Palazzo Chigi. In effetti Padoan era lontano, in Lussemburgo, quando lunedì Renzi ha annunciato le ultime novità.   C’È SOLTANTO un’incognita: la Commissione europea. Ieri Renzi ha chiamato il presidente entrante, Jean Claude Juncker, gli ha illustrato l’impianto della legge di stabilità e ha sottolineato il giudizio tutto sommato positivo dell’agenzia di rating Moody’s che ieri si è espressa sull’Italia: “Molti anni di consolidamento hanno portato ad un significativo surplus primario. Questa solida posizione di bilancio aiuta l’Italia ad avere favorevoli costi di finanziamento, con più tempo per attuare riforme a favore della crescita”. Tradotto: Renzi può fare quello che vuole, Moody’s benedice anche il Jobs Act (nonostante nessuno sappia che c’è dentro). Domani sera il governo manderà il disegno di legge stabilità a Bruxelles. Da giorni la Reuters scrive che potrebbe essere bocciato e rispedita a Roma. A quel punto Renzi potrebbe decidere di ignorare le richieste e rischiare la procedura di infrazione. Che, tanto, arriverebbe molto dopo un eventuale voto di primavera.
(Da Il Fatto Quotidiano del 15/10/2014 a firma di Stefano Feltri)
p.s.
in realtà, come afferma lo stesso Fatto Quotidiano, i mld sono 36: presi per metà da tagli alla P.A. (Ministeri, enti locali, ecc.) e per l'altra metà da una serie di partite di giro raccolte sotto il nome di "evasione".......

martedì 14 ottobre 2014

Internet, arriva la Carta dei diritti. Ora tocca ai cittadini

Faccio mio quest'articolo-appello del Dr. Scorza sul Fatto Quotidiano del 13 ottobre 2014
Internet deve essere considerata come una risorsa globale, universalmente accessibile” che “ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le istituzioni” e a costruire “modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza”, consentendo così “lo sviluppo di una società più aperta e libera”.
Sono questi alcuni dei principi tracciati – per ora a matita – nel preambolo della prima bozza della Dichiarazione dei diritti in Internet che, questo pomeriggio, il Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini ha presentato aprendo i lavori della riunione dei Presidenti delle Commissioni competenti in materia di diritti fondamentali in corso a Roma nell’ambito del semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea.
Un momento storico che, in tanti – in Italia e non solo – attendevano, da anni, almeno da quel lontano 13 novembre 2007, quando a Rio de Jainero, il ministro della cultura brasiliano ed il nostro sottosegretario alle comunicazioni firmavano una dichiarazione congiunta impegnandosi a promuovere un Internet bill of rights, una carta di principi e diritti fondamentali che avrebbe dovuto occuparsi, tra l’altro di privacy, libertà di informazione, diritto di accesso alla rete e net neutrality.
Quel ricordo sfocato nel tempo che, a tratti, è apparso – almeno a casa nostra – un sogno lontano ed irraggiungibile oggi, sembra, finalmente, farsi più nitido, prendere forma e prepararsi a diventare realtà.
Il nostro Paese si candida a farsi promotore in Europa di un Internet Bill of Rights, una dichiarazione dei diritti che, a leggere il preambolo della prima bozza, risultato di una manciata di mesi di lavoro e confronto della Commissione voluta dalla Presidente della Camera Laura Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà, ambisce ad essere una dichiarazione “fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona” perché “la garanzia di questi diritti è condizione necessaria perché sia assicurato il funzionamento democratico delle istituzioni, e perché si eviti il prevalere di poteri pubblici e privati che possano portare ad una società della sorveglianza, del controllo e della selezione sociale”.
Il diritto ad avere, anche on line, i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino ed a vederli rispettati, il diritto di accesso a internet quale precondizione essenziale ed irrinunciabile per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale, la neutralità della Rete, la tutela dei dati personali e del proprio domicilio informatico nell’era di Internet, il diritto all’identità personale, all’anonimato ed all’oblio nello spazio pubblico telematico, il diritto all’educazione anche e soprattutto alla cultura in digitale e poi quello alla sicurezza delle reti e nelle reti e i principi cui deve ispirarsi il governo di Internet.
Sono questi i diritti, le libertà ed i principi che, quando i lavori della Dichiarazione dei diritti in Internet saranno terminati, l’Italia prima e, auspicabilmente, l’Europa con l’Italia dichiareranno di voler porre alla base della convivenza dei cittadini dell’Unione Europea negli anni che verranno.
Per il momento si tratta, solo, di un elenco di principi e diritti che costituiscono buoni propositi sui quali, nei prossimi giorni, verrà avviata una consultazione pubblica, aperta e multistakeholders per raccogliere commenti, critiche, proposte di modifica ed integrazione dai cittadini, dalle associazioni che rappresentano la società civile italiana così come dai rappresentanti delle imprese e, naturalmente dalla politica.
Il primo passo, però, è stato fatto ed ora tocca ai cittadini italiani ed europei proseguire lungo la strada indicata dalla Commissione voluta dall’On. Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà.
Sta a noi riconoscerci o meno nell’elenco dei diritti fondamentali raccolti nella bozza della dichiarazione, proporne modifiche e correzioni e poi innamoracene senza riserve ed esitazioni con la stessa convinzione e passione con la quale dovremmo sentirci vicini – in ogni momento – alla nostra Costituzione ed alla Carta europea dei diritti fondamentali, in modo da sentire sempre vivo il nostro diritto ad avere i diritti e libertà che soli possono garantirci davvero di essere cittadini del nostro Paese e dell’Unione europea anche nell’era digitale.
p.s.
sul sito della Camera dei Deputati è possibile leggere e a partire dal 27/10 anche esprimere pareri
mi aspetterei che una volta tanto ci facessimo sentire..... se poi volete "acculturarvi" potete leggere quanto scriveva, in tempi non sospetti, J. Rifkin nel saggio "l'era dell'accesso": rispetto ai giorni nostri è stato... profetico.

lunedì 13 ottobre 2014

Alluvione Genova: la verità che i cittadini dovrebbero sapere

Vi suggerisco di leggere con un minimo di attnezione questo articolo... in maniera nemmeno troppo velata mette il dito nella piaga del potere lontano dalla realtà visto che, vivendo in una società di mercato anzi di libero mercato, tutto è un costo e a tutto si applica il criterio della convenienza economica...
di Franco Fondriest e Luca Lombroso | 13 ottobre 2014

Alluvione a Genova. Ci risiamo, e sembra o meglio è, purtroppo, un film già visto, a partire dalle polemiche sulla mancata allerta. E’ un fatto ricorrente che a ogni catastrofe si cerca di scaricare la colpa sui meteorologi, vedi in Sardegna, Veneto, Emilia, Catania, Marche per fare alcuni esempi. Non entriamo oggi nel merito della questione; unica considerazione: certo, avrebbe aiutato a limitare i danni, ma non è lì il problema; cosa sarebbe cambiato? Senza ben altri interventi, i torrenti e i fiumi avrebbero fatto comunque quel che fanno da sempre: esondare ed allagare le zone circostanti.
Poi, un classico di queste circostanze è il “non vi lasceremo soli”, come ha detto Renzi ai genovesi. Lo disse Napolitano agli alluvionati del Veneto, Letta agli alluvionati di Olbia e della Sardegna, Gabrielli agli alluvionati in Emilia, ed infine sempre Renzi agli alluvionati di Senigallia e agli alluvionati della Puglia. Ma ci mancherebbe altro! La solita frase di rito? Non ci sentiamo di giudicare, fate un po’ voi e soprattutto giudichi chi è stato colpito da questi eventi.
Sempre a proposito di frasi di rito, Barack Obama ha dichiarato al recente Summit delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici: “Siamo la prima generazione che subisce gli effetti dei cambiamenti climatici e l’ultima che può fare qualcosa per arginarli”, ma di serie e coerenti azioni di riduzione dei gas serra o di accordi internazionali non se ne vede, nonostante 20 conferenze mondiali sul clima negli ultimi 20 anni e 5 rapporti di valutazione scientifici di migliaia di pagine ciascuno da parte dell’Ipcc.
Eppure, la manina del global warming in queste catastrofi, c’è, chiaro non è l’unica, ma si aggiunge a incuria del territorio, scarsa e tardiva, e spesso cattiva manutenzione, cementificazione selvaggia che sicuramente incide nella stessa Genova, dove interi quartieri furono costruiti, negli anni del boom economico, sopra o a fianco torrenti, peraltro su calcoli resi inattuali, appunto, dai cambiamenti climatici che rendono senz’altro più frequenti questi eventi.
Si parla continuamente di “messa in sicurezza”; certo la burocrazia ritarda lavori che se ben fatti potevano ridurre i danni, ma la burocrazia chi l’ha creata? E chi può porci rimedio? Fa specie sentire un ministro, ma anche un sindaco o presidente della Regione, che si scaglia contro la burocrazia.
Chi amministra dovrebbe avere il coraggio di dire le cose come stanno ai suoi cittadini ed elettori, ovvero che il rischio si può e deve ridurre e mitigare, ma non si annullerà mai del tutto e che chi abita, vive, lavora o viene a trovarsi nei pressi del fiume (a maggior ragione se tombato o circondato da case e strade) dovrà imparare a convivere col rischio di trovarsi coinvolto in alluvioni. Luoghi ritenuti sicuri finora non lo sono già più oggi e ancor meno lo saranno in futuro, anche con regolare licenza edilizia. Insomma, chi promette “mai più alluvioni”, è un po’ come chi prometteva 1 milione di posti di lavoro.
Dunque, per concludere ripassiamo un po’ alcuni nostri post precedenti sul tema, ancora validi oggi, non solo per la situazione modenese ed Emiliana:
Sempre al summit sul clima a New York, Matteo Renzi ha dichiarato “… non c’è tempo da perdere: la politica deve fare la sua parte”, aggiungendo “le giostre italiane sono le più vendute nel mondo perché quelle energeticamente più efficienti”.
Abbiamo come la sensazione che più che di giostrine serva ben altro.
p.s.
CHIARO?

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