venerdì 2 novembre 2018

Video anti Salvini: 277 miliardi di motivi per cui la Francia teme l’Italia

Un video pubblicato dal governo francese per responsabilizzare il popolo francese in vista delle elezioni europee e invitarlo ad andare a votare contro i partiti di Viktor Orban e di Matteo Salvini ha sollevato un polverone. A sette mesi dalle elezioni del 26 maggio 2019 Macron ha lanciato una campagna filo europeista che potrebbe rivelarsi però un boomerang.
In sottofondo si sente una musica allarmista, senza commento. Il video (vedi sotto) in cui si evocano le questioni calde e le tante sfide in gioco, tra cui immigrazione, lavoro e clima, suscita più di un dubbio sugli effetti che controproducenti che potrebbe avere.
Il clip, in cui si vedono le immagini del ministro dell’Interno italiano e del primo ministro ungherese, due personaggi considerati come tra i principali protagonisti dell’onda nazionalista e di chiusura delle frontiere e del commercio, è nettamente schierato contro le formazioni populiste.
Francia, banche troppo esposte all’ItaliaCome con la Grecia durante l’ultima crisi del debito sovrano, le banche della Francia sono ampiamente esposte anche al sistema Italia. Si parla di €277 miliardi di debito governativo italiano in mano alle banche, l’equivalente del 14% del Pil.
Tenuto conto che il governo italiano ha lanciato il guanto di sfida alla Commissione Europea e alla Bce sui conti pubblici, il 2019 potrebbero voler dire guai seri per la Francia.
Il ministro francese delle Finanze Bruno Le Maire ha esortato l’organo esecutivo dell’Ue – che ha bocciato la manovra finanziaria italiana per il 2019, di convincere l’Italia a fare un passo indietro. Anche se non si rischia un effetto contagio, secondo Le Maire, l’area euro “non ha le armi necessarie per difendersi da una nuova crisi economica o finanziaria”.
Il governo francese è consapevole del fatto che una crisi in Italia metterebbe in ginocchio anche l’economia della Francia, con le banche che rappresenterebbero il veicolo di trasmissione principale del contagio. Parigi non è la sola nazione con livelli di esposizione preoccupanti al debito italiano, ma è il paese più esposto di tutti.
Secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca delle banche centrali, gli istituti di credito tedeschi hanno in mano 79 miliardi di euro di debito italiano, mentre le controparti spagnole 69 miliardi. Sono cifre significative ma decisamente inferiori a quelle delle banche francesi. Nei bilanci dei settori finanziari della prima, seconda e quarta potenza economica d’Eurozona sono iscritti 415 miliardi di debito italiano.
Mentre l’esposizione del sistema bancario tedesco è calata negli ultimi anni, quella della Francia è cresciuta. La Bce ha fallito nel suo tentativo di ridurre l’intreccio stretto tra banche e debito sovrano. Le misure a sostegno del mercato obbligazionario dell’area euro hanno anzi spinto le banche a comprare bond governativi a rischio zero.
Da un altro punto di vista, gli investitori non sembrano più di tanto preoccupati da questi pericoli di contagio. L’indice del rischio di contagio è sceso dal 36% al 33%. In altre parole i trader non temono per la stabilità dell’area. Ma come osserva Bloomberg, l’esposizione delle grandi banche europee ai Btp italiani vuole anche dire che i leader di Francia, Germania e Spagna sono incentivati a cercare un compromesso nella sfida tra Italia e Commissione Ue sul budget italiano.
Il governo giallo verde lo sa bene.
“A Bruxelles piacerebbe vederci uscire sconfitti”, ha detto il consulente economico della Lega Claudio Borghi, facendo capire che questo non succederà. “Abbiamo ancora 15 miliardi di euro nel fondo salva banche ereditati dall’era Renzi. Non è una situazione ideale ma abbiamo ancora margine di manovra. Alla fine saranno loro a dover fare un passo indietro”.



Non è un caso che Lorenzo Bini-Smaghi, ex membro del board della Bce e presidente di Societe Generale, la seconda banca di Francia, abbia paura che gli eventi di oggi stiano seguendo lo script della crisi del 2011. “L’Italia si sta per schiantare contro un muro”, ha avvisato il banchiere.
“L’economia rischia di scivolare in una fase di recessione nel quarto trimestre. Le banche hanno già ridotto le attività creditizie quest’estate, non appena gli spread hanno iniziato a salire. Il governo non capisce che l’impatto potrebbe essere violento“.

giovedì 1 novembre 2018

L’Italia ripudia la guerra, ma non gli affari che le girano attorno

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 30 ottobre 2018 

di Maurizio Donini
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, recita la Costituzione Italiana all’articolo 11.
Diciamo che la rifugge ufficialmente, se la coinvolge alla luce del sole, ma si può fare per guadagnare crediti con grandi paesi (Berlusconi ai suoi tempi con gli Stati Uniti), magari facendo lucrosi affari. Perché l’Italia rigetta la guerra, ma di fronte agli affari ripone pizza e mandolino, toglie la mano dal cuore per metterla sul portafoglio e vende quasi 15 miliardi di euro di armi all’estero, Esattamente sono stati 14,6 nel 2016 i miliardi incassati dal bel paese per esportare morte, un aumento del 85,7% rispetto i 7,9 del 2015, non è dato sapere se anche i morti provocati siano aumentati in misura equivalente.
Siamo presenti in ben 20 paesi con 29 missioni in cui abbiamo speso 826 milioni di euro nel 2016, 58 più del 2015. Questo malgrado i soliti fastidiosi pacifisti si siano messi di traverso in questo lucroso mercato portando a bandire le mine anti-uomo (Convenzione di Ottawa) e le munizioni a grappolo (Convenzione di Oslo) con i trattati entrati in vigore nel 1999 e 2010. In teoria le armi per essere vendute devono sottostare a tutta una serie di restrizioni che dovrebbero garantire una serie di diritti su uso e riuso, in pratica il mondo è pieno di trafficanti, una volta uscite dal paese di costruzione verso un altro ufficialmente autorizzato all’acquisto, si apre la zona grigia delle triangolazioni, ed i risultati non sono difficili da vedere.
L’ultima sorpresa è venuta alla luce a seguito di un’inchiesta del NYT, portando alla luce che l’azienda sarda RWM, terza industria di armi del nostro paese, ha venduto, con tutte le autorizzazioni del caso, bombe Mk-80 da 250 kg. che hanno ucciso, con il sigillo dell’Arabia Saudita, circa 10.000 yemeniti. D’altronde per questi 10.000 morti abbiamo incassato la notevole cifra di 440 milioni di euro, armi che vanno a distruggere altre case in paesi lontani, come ebbero a dichiarare l’ex-premier Gentiloni e l’ex-ministra Pinotti, “nel pieno rispetto delle leggi nazionali ed internazionali”.
I governi Renzi e Gentiloni un risultato sicuramente l’hanno raggiunto, portare il nostro paese al nono posto nel mondo nella classifica degli esportatori di armi stilata dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute). Per l’esattezza l’Italia esporta il 2,5% delle armi di tutto il mondo, al primo posto ci sono gli Usa (34%), poi seguono Russia (22%), Francia (6,7%), Germania (5,8%), Cina (5,7%), Regno Unito (4,8%), Spagna (2,9%) e Israele (2,9%). Chiude la classifica l’Olanda (2,1%). La top 10 dei produttori di armi riguarda le cosiddette “major weapons”, vale a dire quelle pesanti (aerei, navi, sottomarini, carri armati e sistemi missilistici), e si riferisce al quadriennio 2013-2017.
I nostri maggiori clienti sono Emirati Arabi, Israele, Turchia, Algeria, Marocco, Taiwan, almeno per quello che è dato sapere, visto che sono ben 9 anni che l’Italia non invia informazioni all’Unroca, cioè al Registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali. La metà del valore delle esportazioni del 2016 (7,3 miliardi di euro) arriva dalla fornitura al Kuwait di 28 aerei Eurofighter della Leonardo. Un golfo dove si fanno affari d’oro, come quelli che prevedono la vendita di sette navi di superficie di oltre 100 metri (di cui 4 corvette), una nave anfibia Lpd (Landing Platform Dock) e due pattugliatori Opv (Offshore Patrol Vessel) al Qatar, stato accusato spesso di armare i terroristi.
D’altronde, “si vis pacem, para bellum dicevano i latini, se vuoi la pace, prepara la guerra”.
Economia & Lobby | 30 ottobre 2018

martedì 30 ottobre 2018

TERRA REAL TIME: Nuovo forte terremoto nello Ionio M 5.7

TERRA REAL TIME: Nuovo forte terremoto nello Ionio M 5.7: Alle ore 16:12 una nuova forte scossa di terremoto ha colpito il mare Ionio nei pressi di Zante.Secondo i primi dati il sisma ha avuto un...

Legge di bilancio, il problema non è economico. E Standard & Poor’s l’ha confermato

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Economia Occulta | 28 ottobre 2018 


Standard & Poor’s non declassa il rating dell’Italia ma mette in guardia i mercati su un possibile futuro incerto. In altre parole il problema è politico prima che economico. E, infatti, ormai tutti si sono accorti che il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles è politico, come d’altronde fu politica la decisione di non salvare la Grecia nel 2010. E vediamo perché.
In primis, la Commissione o chi da dietro le quinte la dirigeva nel 2010 (cioè l’asse Parigi-Bruxelles), ha lasciato che fosse la pressione dei mercati a piegare la Grecia, pressione creata dalla esplicita disapprovazione dell’Unione europea. Così lo spread saliva e a ogni aumento il debito greco aumentava, le banche diventavano più povere e la disperazione cresceva. La strategia di Bruxelles è stata non intervenire e aspettare che la Grecia si piegasse e bussasse alla sua porta sotto la pressione dei mercati. E così è stato.
La bocciatura della legge di bilancio italiana ci ripropone la stessa strategia. L’idea è che durante le tre settimane concesse al nostro governo la pressione dei mercati lo costringa a cambiare rotta e a produrre un bilancio in linea con le direttive di Bruxelles. E qui ci imbattiamo in un secondo punto fondamentale, i parametri che vengono utilizzati per produrre tali direttive come è stato spiegato molto bene questa settimana in un articolo del Wall Street journal.
Secondo gli accordi di Maastricht il tetto massimo di deficit concesso agli stati membri è del 3% – al 2,4% quello proposto dall’Italia è ben al di sotto – e un deficit del 60% per Pil. Il trattato di Maastricht non è stato cambiato, tuttavia dal 2010 la Commissione ha introdotto un nuovo concetto di deficit, il deficit strutturale, che esclude dalla valutazione le tendenze cicliche dell’economia e gli eventi straordinari, come i disastri naturali. Il tetto del deficit strutturale viene suggerito annualmente da Bruxelles a ogni Stato membro secondo alcuni parametri che vedremo qui di seguito. Per l’Italia nel 2019 non deve superare lo 0,6% mentre la proposta del governo lo porterebbe allo 0,8%. La differenza tra questi due valori è il motivo della disputa tra Roma e Bruxelles.
Il vero problema è come viene calcolato il deficit strutturale, è infatti la differenza tra il Pil reale e quello potenziale quando un’economia è in piena occupazione, non ha spinte inflazioniste ed è pienamente capitalizzata. Secondo gli italiani, Bruxelles ha usato proiezioni troppo ottimiste per il nostro Paese e cioè uno scarto positivo dello 0,5% tra i due valori, si tenga presente che le proiezioni per la Germania danno uno scarto positivo dello 0,6%! Con una scarto così piccolo, è facile per Bruxelles imporre all’Italia un bilancio non espansivo ma che presenti una strategia di tagli per ridurre il debito in una fase economica reputata positiva. Secondo stime più realiste la differenza tra il Pil reale e quello diciamo ideale dell’Italia oscilla tra il -4 e il -5%, siamo quindi lontanissimi dalle proiezioni di Bruxelles e in un territorio economico completamente diverso. La legge del bilancio, invece, ha utilizzato uno scarto negativo dell’1,2%.
Al di là dei numeri e delle proiezioni il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles evidenzia politiche economiche opposte e impossibili da conciliare. Per la seconda l’economia italiana non ha bisogno di nessuno stimolo, al contrario è pronta per una riduzione del debito attraverso tagli della spesa, aumento delle imposte, ad esempio l’Iva, e prolungamento dell’età pensionabile. Per i due partiti al governo invece le condizioni economiche del paese sono inaccettabili ed è necessaria una spinta per rilanciare il volano della crescita. In fondo è su questa piattaforma che sono stati eletti.
La domanda che tutti si pongono è chi la spunterà questa volta, se l’Italia verrà presa di mira dai mercati e dovrà piegarsi sotto il peso schiacciante di uno spread in salita o se invece le cose andranno diversamente. Con la Brexit alle porte, un presidente americano palesemente anti europeista, le guerre dei dazi sulle due sponde dell’Atlantico e Putin che paradossalmente potrebbe diventare l’ago della bilancia di nuovi equilibri internazionali, è possibile che i mercati reputino la strategia italiana vincente nel lungo periodo e scommettano proprio sul bilancio bocciato da Bruxelles.
Come dicono gli anglosassoni la finanziaria italiana del 2019 sarebbe un game changer, un giro di boa spettacolare. In fondo, dopo il voto della Brexit e l’elezione di Trump tutto è possibile anche una nuova Europa.
Economia Occulta | 28 ottobre 2018

lunedì 29 ottobre 2018

Cina, Xi Jinping al comando militare: “Preparatevi a guerra”

Fonte: W.S.I. 29 ottobre 2018, di Alessandra Caparello

Preparatevi alla guerra. L’avvertimento arriva dal presidente cinese  Xi Jinping al comando militare di Pechino durante una delle numerose visite che il presidente ha fatto durante un viaggio di quattro giorni nella provincia della Cina meridionale.
Una delle missioni principali affidate al Southern Theatre Command – una delle cinque zone di guerra affidate alla supervisione dell’esercito cinese – è il monitoraggio del Mar Cinese Meridionale, un’area in cui le tensioni e le attività militari che coinvolgono Cina, Stati Uniti e altre potenze sono cresciute costantemente. All’inizio di questo mese, un cacciatorpediniere cinese è quasi entrato in collisione con una nave da guerra statunitense dopo aver fatto quello che gli americani hanno descritto come una manovra “non sicura e poco professionale” nel tentativo di avvertirlo di lasciare l’area.
Il Southern Theatre Command ha dovuto sostenere una “pesante responsabilità militare” negli ultimi anni (…) è necessario rafforzare la missione … e concentrare i preparativi per combattere una guerra. Dobbiamo prendere in considerazione tutte le situazioni complesse e fare di conseguenza piani di emergenza. Dobbiamo intensificare gli esercizi di preparazione al combattimento, esercizi congiunti ed esercizi di confronto per migliorare le capacità dei soldati e la preparazione alla guerra.
Così il presidente cinese nel suo discorso. Secondo osservatori militari le parole di Xi hanno probabilmente lo scopo di sollevare il molare e reiterare le rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar Cinese Meridionale come ha sostenuto  Collin Koh, ricercatore presso la Scuola di Studi Internazionali di S. Rajaratnam presso l’Università tecnologica di Nanyang a Singapore.
Secondo Koh l’avvertimento al Southern Theatre Command è anche un chiaro segno indirizzato alle forze indipendentiste a Taiwan dopo che le relazioni tra Pechino e Taipei sono peggiorate da quando Tsai Ing-wen, partito indipendentista democratico progressista, è stato eletto presidente di Taiwan nel 2016.

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