venerdì 1 dicembre 2017

M5S si conferma primo partito, per centro destra vittoria di Pirro

WSI 30 novembre 2017, di Alessandra Caparello
Mentre si ipotizza come nuova data per le elezioni il prossimo 18 marzo, continuano i sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani in cui il Movimento Cinque Stelle si conferma primo partito, mentre avanza il centrodestra che ha la maggioranza relativa del Parlamento, ma non quella assoluta. E il Partito democratico? Arranca.
Questi i risultati dell’ultimo sondaggio Ixè per Radio1 Rai secondo cui alla Camera Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia raccoglierebbero 270 seggi e così ne mancherebbero 46 per poter dare la fiducia a un governo, ma al Senato i tre partiti potrebbero contare solo su 135 parlamentari, 23 in meno di quanti ne servono.
Abbiamo elaborato i dati sulle intenzioni di voto disaggregate sui nuovi collegi e il risultato è che, con le coalizioni bloccate in questo modo, manca una maggioranza stabile. Finora ci siamo limitati a lavorare solo sulle coalizioni a partire dal proporzionale. Si può procedere solo per inferenze: considerando il valore percentuale odierno sia di Forza Italia che del Pd e proiettandolo sui seggi complessivi (immagino che nelle contrattazioni fra i partiti maggiori, più o meno varrà una dimensione proporzionale) non c’è comunque maggioranza”.
Il centrodestra raccoglie in totale oggi il 35,5% dei voti, con 270 seggi alla Camera e 135 al Senato e subito dietro c’è il Movimento Cinque Stelle che si conferma il partito più votato con il 29,4 per cento e si prenderebbe 165 deputati alla Camera e 85 al Senato, il tutto da solo senza coalizioni. Il centrosinistra – Pd, Ap e Campo Progressista – arriva al massimo al 28,6% con 162 seggi a Montecitorio e 81 a Palazzo Madama. A parte la Sinistra che si unirà in una lista unica domenica prossima e che viene valuta al 6,5% dei consensi che darebbe diritto a 25 deputati e 8 senatori.
Secondo il presidente di Ixè Weber ad oggi le forze moderate unite in una “Grosse Koalition” alla tedesca sarebbe al massimo intorno a quota 275 alla Camera.
“Personalmente la ritengo una prospettiva poco credibile e gli elettori di Fi naturalmente la reggerebbero, quelli del Pd no. Ma non ci sarà bisogno di arrivare a tanto, la campagna è lunga…”.

giovedì 30 novembre 2017

Sondaggi, centrodestra prima coalizione e senza maggioranza.

di | 29 novembre 2017 Il Fatto Quotidiano

Il centrodestra avrebbe di gran lunga la maggioranza relativa del Parlamento, ma per quella assoluta – per il momento – servirebbe un miracolo. Alla Camera infatti Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia raccoglierebbero 270 seggi e così ne mancherebbero 46 per poter dare la fiducia a un governo. Al Senato i tre partiti potrebbero contare su 135 parlamentari, 23 in meno di quanti ne servono per dare il via a un esecutivo. A dirlo è un sondaggio Ixè per Radio1 Rai illustrato dal presidente dell’istituto al Gr1 e a Radio Anch’io. “Abbiamo elaborato i dati sulle intenzioni di voto disaggregate sui nuovi collegi e il risultato è che, con le coalizioni bloccate in questo modo, manca una maggioranza stabile” certifica Weber.
Resta da capire se possa essere possibile una coalizione di larghe intese, alla quale però ad oggi parteciperebbero Pd, Forza Italia, Ap e pochi altri. “Finora – aggiunge Weber al fattoquotidiano.it – ci siamo limitati a lavorare solo sulle coalizioni a partire dal proporzionale. Si può procedere solo per inferenze: considerando il valore percentuale odierno sia di Forza Italia che del Pd e proiettandolo sui seggi complessivi (immagino che nelle contrattazioni fra i partiti maggiori, più o meno varrà una dimensione proporzionale) non c’è comunque maggioranza”. Secondo Weber ad oggi le forze moderate unite in una “Grosse Koalition” sarebbe al massimo intorno a quota 275 alla Camera, quindi una quarantina di seggi in meno. “Personalmente la ritengo una prospettiva poco credibile – dice ancora il presidente di Ixè – Gli elettori di Fi naturalmente la reggerebbero, quelli del Pd no. Ma non ci sarà bisogno di arrivare a tanto, la campagna è lunga…”.
Secondo i dati di Ixè il centrodestra raccoglie oggi il 35,5 per cento dei voti, con 270 seggi alla Camera e 135 al Senato. Subito dietro c’è il Movimento Cinque Stelle, che una coalizione non ce l’ha e si prende i seggi tutti da solo, confermandosi così il partito più votato: il M5s per Ixè ha il 29,4 per cento e si prenderebbe 165 deputati alla Camera e 85 al Senato. Il centrosinistra arriva al massimo al 28,6 per cento con la conquista di 162 seggi a Montecitorio e 81 a Palazzo Madama. Nota a margine: per centrosinistra si intende l’unione di Pd, Ap e Campo Progressista. C’è infine la Sinistra che si unirà in una lista unica domenica prossima: Ixè la valuta al 6,5 per cento dei consensi che darebbe diritto a 25 deputati e 8 senatori. In questo caso – a differenza delle due coalizioni e del M5s – tutti i parlamentari sarebbero eletti dai listini proporzionali e nessuno dai collegi del Rosatellum.
La ripartizione territoriale dei collegi uninominali elaborata da Ixè conferma le tendenze degli ultimi mesi e – si potrebbe dire – delle ultime tornate elettorali amministrative. Al Nord non c’è gara: il centrodestra trionfa conquistando 30 seggi su 40 al Senato e 66 su 84 alla Camera. Al Sud non è proprio un trionfo ma comunque una vittoria larga perché la coalizione delle destre vincerebbe in 130 collegi su 225 per la Camera e in 64  su 109 per il Senato. Il centrosinistra reggerebbe solo nelle cosiddette Regioni rosse, cioè Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche dove prenderebbe 13 seggi su 20 a Montecitorio e 28 su 40 a Palazzo Madama. Quanto ai Cinquestelle, si conferma la forza al Sud: di 27 collegi conquistati dai grillini al Senato, 13 sarebbero al Meridione (dove in questo quadro è inserito il Lazio); di 51 parlamentari che siederanno alla Camera, 28 arriverebbero dal Lazio in giù.
di | 29 novembre 2017

mercoledì 29 novembre 2017

Lavoro: nonostante la ripresa, italiani continuano la fuga all’estero

WSI  29 novembre 2017, di Mariangela Tessa

I segnali di ripresa economica non bastano. I giovani continuano a lasciare l’Italia per trasferirsi all’estero in cerca di lavoro. È la fotografia scattata da Federico Fubini, in un articolo del Corriere.it da cui emerge, numeri alla mano, che nel 2017 “il numero di italiani che se ne vanno per cercare di farsi una vita all’estero continua a crescere verso livelli mai raggiunti prima”.
Un trend che non sembra risentire dunque delle schiarite del mercato del lavoro, e che va in controtendenza rispetto a quanto sta succedendo in Spagna, Portogallo e altri Paesi europei colpiti dalla Grande recessione i cui deflussi stanno scemando:
Tra le mete più ambite dagli italiani in pole position resta Londra, nonostante la Brexit. I numeri sono confermati dal dipartimento del Lavoro di Londra che ha pubblicato le cifre sugli stranieri che nell’anno chiuso a giugno 2017 avevano attivato un “National Insurance Number” per vivere e lavorare nel Regno Unito. Si legge nell’articolo:
Fra i principali Paesi europei, solo Italia, Grecia e Bulgaria registrano flussi in aumento rispetto all’anno prima e solo l’Italia (con 60mila iscrizioni) lo fa fra i grandi Paesi di origine delle migrazioni verso la Gran Bretagna (vedi grafico). Spaventati dalla Brexit o incoraggiati dalla ripresa nei loro Paesi, spagnoli, portoghesi, irlandesi, polacchi, ungheresi o slovacchi fanno tutti segnare crolli a doppia cifra degli afflussi verso il Regno Unito. Ma né l’uscita di Londra dall’Unione europea, né il rallentamento dell’economia britannica, né l’accelerazione di quella italiana intaccano gli arrivi di italiani.
Rallentano invece i flussi verso la Germania, mentre restano stabili quelli in Svizzera:
L’emigrazione italiana – si legge ancora – verso la Germania nel 2016 segna un rallentamento, ma molto lieve: l’ufficio statistico tedesco registra 50 mila arrivi; sono meno dei 74 mila del 2014, eppure più degli arrivi di italiani del 2012 quando in Italia c’era stata una distruzione netta di oltre 200 mila posti di lavoro. Anche la Svizzera, terza grande destinazione degli emigranti di casa nostra, non riporta continui aumenti: 19 mila nel 2016, che pure è stato l’anno di maggiore creazione di lavoro in Italia da decenni.

lunedì 27 novembre 2017

Modalità elezioni: Renzi 2, la vendetta

di | 27 novembre 2017  Il Fatto Quotidiano

Chiudendo la Leopolda, Matteo Renzi ha detto che il Pd deve mettersi «in modalità elezioni». Insomma, basta con la discussione interna («il congresso permanente»). Basta, in particolare, con la discussione sulle alleanze dopo il voto: sennò gli elettori capiscono quel che non devono capire. Ossia che nel Parlamento eletto con il Rosatellum l’unica maggioranza possibile è quella con Forza Italia: e ancora potrebbe non bastare. Del resto, dopo l’intervista in ginocchio di Fabio Fazio a Berlusconi, tutti hanno capito che ormai restano solo da limare i dettagli. Ad esempio: Gentiloni o un generale dei carabinieri presidente del Consiglio? A occhio, direi piuttosto un tecnico, tipo Draghi: e ci andrebbe già bene.
Poi Renzi ha mandato altri segnali, nel segno di quel grilloberlusconismo mediatico – populismo? – che da sempre è il suo marchio di fabbrica. Il M5S promette il reddito di cittadinanza? E lui rilancia con gli ottanta euro alle famiglie con figli: complimentoni, detto così sembra la solita mancia, invece dovrebbe essere un diritto. Ma sarà difficile anche per lui raggiungere i vertici di Berlusconi: il quale, sempre da Fazio, ha promesso pensioni minime a mille euro, abolizione del bollo auto e – uno di questi giorni capiterà – cene eleganti per tutti. Così uno si chiede: ma siamo sicuri che le elezioni siano il modo migliore per indicare i governanti? Non saranno meglio il casting, il sorteggio, il giudizio di Dio?

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domenica 26 novembre 2017

Manovra: scongiurata crisi politica, ma la legislatura è finita

WSI 24 novembre 2017, di Alessandra Caparello
ROMA (WSI) – Allarme rosso ieri al Senato quando il premier Paolo Gentiloni è stato ad un passo dalle dimissioni e dall’aprire una crisi di governo. Motivo del contendere la legge di bilancio e la miriade di emendamenti presentati che tuonano più come un vero e proprio assalto alla diligenza.
La manovra finanziaria diventa il terreno ideale per muovere i fili delle alleanze all’interno del centrosinistra mai così spaccato come ora.
Matteo Renzi vuole stringere la mano a Pisapia e al suo Campo Progressista ma gli alfaniani sono agguerriti, entrambi i partiti chiedono al governo l’uno l’abolizione dei superticket sanitari e l’altro il rinnovo del bonus bebè, altrimenti minacciano crisi di governo.
Gli uomini del Tesoro, con il viceministro dell’economia Morando in testa si rendono conto che i numeri non tornano, visto che le richieste costano un miliardo e mezzo, cinque volte di più lo stanziamento previsto fermo a 250-300 milioni. “Se ci dite no viene meno il progetto politico della nostra alleanza“, dice il rappresentante di Campo Progressista, il senatore Uras. “Possiamo rinunciare a tutto il resto, ma se salta il bonus bebè noi non votiamo la legge di Bilancio. Nemmeno con la fiducia”, così il coordinatore degli alfaniani, Maurizio Lupi.
Così non ce la facciamo. Così salta tutto“, dice Padoan ma la crisi poi è rientrata e il  bonus bebè tanto caro ad Ap rientra nella legge di Bilancio e verrà rifinanziato integralmente per il prossimo triennio, mentre il Governo e la maggioranza sarebbero al lavoro per provare ad ampliare la platea del superticket, un chiodo fisso di Campo Progressista. Sarebbe dovuto finire tutto lunedì prossimo ma gli emendamenti del governo saranno pronti per mercoledì  e il premier Paolo Gentiloni tira un sospiro di sollievo ma ammette laconico ai capigruppo che la legislatura è finita.
Scampata la crisi, si pensa alle elezioni che si terranno a marzo e la data più probabile è il 18. Intanto Renzi continua a perdere punti nella classifica della fiducia ai leader italiani. Come indica un sondaggio Ixé diffuso oggi e pubblicato da Reteurs, il premier Paolo Gentiloni raccoglie il 39% dei consensi e Luigi Di Maio il 29%. Il segretario del Pd è superato dal candidato premier grillino Di Maio a inizio novembre, raccoglie il 25%, ed è stato raggiunto da Meloni.
Il Movimento Cinque Stelle si conferma primo partito, con il 28% delle dichiarazioni di voti, contro il 23,4% del Pd. Un sondaggio che arriva all’indomani della partecipazione di Renzi al programma Ottoemezzo della Gruber in cui sostiene  che la coalizione che il Pd metterà in campo sarà quella che avrà un risultato superiore al 30%, “spero vicino al 40″, dice l’ex sindaco di Firenze.
“Con Campo progressista l’accordo ancora non è chiuso. Speriamo in un accordo con Campo progressista, Radicali e forze di centro per una coalizione di centrosinistra”.
Un altro papabile alleato che però si sfila dal gioco delle coalizioni è Massimo D’Alema che in un’intervista al Corriere della Sera, alla domanda se è impossibile l’alleanza con il Pd, ha risposto:
“Sarebbe stata necessaria una svolta radicale di grande impatto sull’opinione pubblica. Non modeste misure di aggiustamento, che ci hanno proposto a parole mentre ce le negavano nei fatti in Parlamento. Un negoziato surreale“.
Come risponde Renzi? “Mi chiedete di parlare di contenuti e poi parliamo di D’Alema?...”

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