sabato 30 novembre 2013

Rapporto sul fallimento di un modello....

Fu rifkin nel saggio Ecocidio a mettere per iscritto, ma altri prima ne vavano parlato prima praticamente inascoltati, un dato che da l'idea del disastro: 2 litri di petrolio per 1 kg di carne..... se tutti i cereali che sono prodotti in sei mesi per nutrire le vacche che noi ci mangiamo fosse messo sul mercato l'intera popolazione africana avrebbe nutrimento per un anno, pensateci bene un anno! Cifre da genocidio se le mettiamo sul piatto della bilancia dove da un lato c'è la povertà e dall'altro la produzione di cibo per creare altro cibo, per noi.
Tutto ciò ha un costo e una conseguenza: la distruzione dell'ambiente e il cambiamento climatico; siamo l'unica specie non integrata nell'ambiente che la circonda e anche l'unica che lo modifica non a proprio vantaggio. Se aggiungiamo che una aprte della popolazione piccola, circa lo 0,8%, è riuscita a imporre un modello che mette il denaro al centro di tutta l'economia; denaro come fine e non come strumento.
E come dicevo ha una conseguenza.... A questo liink c'è il report annuale del ICCP  per il 2013 ossia del massimo organo mondiale sul clima.. purtroppo è in inglese e sono oltre duemila pagine; capisco che sono due cose che possono rappresentare un ostacolo ma.... è necessario: dobbiamo capire che siamo nei guai e che anche se cambiassimo strada ora molto probabilmente è già tardi e avremmo un prezzo da pagare enorme non solo in termini di benessere ma anche numericamente.... in pratica si conferma che potremmo estinguerci o andarci molto vicino come specie: soprattutto una cosa certa è che la parte "avanzata" del pianeta (Occidente, Cina, Giappone, per fare alcuni esempi) è quella che pagherebbe lo scotto maggiore dello squilibrio perchè se è vero che economicamente, e militarmente, forte è soprattutto vero che la sua forza ha i piedi d'argilla, debolissimi, e che la sua caduta no può che essere catastrofica mentre i popoli meno avanzati, in base al modello economico, sono quelli che potrebbero risentirne meno: questo nel medio periodo; nel lungo invece.. bè l'ho già detto, addio genere umano come specie dominante a meno di non rinnegare duecento anni di tecnologia distruttiva del pianeta... o meglio del suo uso perverso ed estremo e, quando manca, della depredazione delle nazioni più povere e delle loro enormi ricchezze che mantengono, per ora, il gigante ma ne sono anche il punto debole: ora chiamiamo terroristi coloro che difendono il proprio diritto a sopravvivere e ad essere felici; ma se un giorno i ruoli s'invertissero? A voi la risposta.....
Esagero e sono catastrofista? forse; magari sono anche un pò populista? Si; e forse anche gufatore professionale? non lo so.... ma se leggete l'originale e tenete ben presente che l'ultima riunione dei governi sull'ambiente è finita con un nulla di fatto .. capirete che non può non dirlo e non postarlo: mi è costato scrivere il post e so che in tanti non VOGLIONO SAPERE perchè TANTO NON CI POSSONO FARE NULLA": se solo sapessero che non è vero e che basterebbe semplicemente riscoprire quel legame per stare meglio tutti mi pare quasi ovvio e, appunto, populista solo dirlo.... so che spirano venti di guerra mondiale: le nazioni si stanno riarmando perchè le élite che governano sentono il pericolo che corrono ma mi spiacerebbe vedere realizzato l'aforisma di Einstein: non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma so come sarà la quarta... con la clava.
Alcuni dati presi dal sito indicato alla fine del post, senza miei commenti (non serve):
Fra le tanti conclusioni del Quinto Rapporto, Climalteranti propone i seguenti 10 punti.
 1) IL RISCALDAMENTO GLOBALE È INEQUIVOCABILE
climate change IPCC 2013 report
“Gli ultimi tre decenni sono stati i più caldi dal 1850, quando sono iniziate le misure termometriche a livello globale. L’ultimo decennio è stato il più caldo”.
“…il periodo 1983–2012  “probabilmente” è il trentennio più caldo degli ultimi 1400 anni (“confidenza media”).”
“Le tendenze su periodi brevi come gli ultimi 15 anni (1998-2012) sono statisticamente non significative. Il tasso di riscaldamento in questi anni (1998−2012) è 0.05°C/decennio, ed è minore di quello del periodo 1951−2012 che mostra un riscaldamento di 0.12°C/decennio . Le tendenze per dei periodi brevi (15 anni) dipendono molto da quando iniziano: ad esempio le tendenze per periodi di 15 anni partendo da 1995, 1996 e 1997 danno le seguenti stime: 0,13°C/decennio per 1995 – 2009, 0,14°C/decennio per 1996 – 2010,  0,07°C/decennio per 1997 – 2011.”
“E’ “virtualmente certo” che l’oceano superficiale (0–700 m) si è riscaldato durante gli ultimi decenni del 1971-2010.”
 2) EVENTI ESTREMI PIU’ FREQUENTI
“Dal 1950 sono stati osservati cambiamenti negli eventi estremi meteorologici e climatici:
- a livello globale “molto probabilmente” il numero di giorni e notti fredde è diminuito e il numero di giorni e notte calde è aumentato;
- in alcune aree del pianeta la frequenza di ondate di calore “probabilmente” è aumentata in vaste aree dell’Europa, Asia e Australia;
- ci sono “probabilmente” più terre emerse con un aumento del numero di eventi di intensa precipitazione che con una diminuzione del loro numero.
 -in Europa e Nord America la frequenza o l’intensità di precipitazioni intense (o estreme) è “probabilmente” aumentata.”
 3) LA FUSIONE DEI GHIACCI STA ACCELERANDO
“Le calotte glaciali in Groenlandia e Antartide hanno perso massa negli ultimi due decenni. I ghiacciai si sono ridotti quasi in tutto il pianeta e la diminuzione stagionale estiva della banchisa artica sta aumentando.
La calotta glaciale in Groenlandia ha perso massa in maniera più veloce negli ultimi anni: “molto probabilmente“ il tasso medio di diminuzione è aumentato da 34 Gt/anno nel 1992-2001 a 215 Gt/anno nel 2002-2011.”
 4) L’AUMENTO DEL LIVELLO DEL MARE STA ACCELERANDO
“È “virtualmente certo” che il tasso di innalzamento del livello globale medio marino ha accelerato negli ultimi due secoli.
E’ “molto probabile” che il tasso medio di innalzamento del livello globale medio marino è stato di 1.7mm/anno nel periodo 1901-2010 e di 3.2mm/anno nel periodo 1993-2010”.
 5) È CAUSATO DALLE ATTIVITA’ UMANE
E’ “estremamente probabile”  (al 95-100%) che più della metà dell’aumento osservato della temperatura superficiale dal 1951 al 2010 è stato provocato dall’effetto antropogenico sul clima (emissioni di gas-serra, aerosol e cambi di uso del suolo). Questo ha provocato il riscaldamento degli oceani, la fusione dei ghiacci e la riduzione della copertura nevosa, l’innalzamento del livello medio globale marino e ha modificato alcuni estremi climatici nella seconda metà del XX secolo (“confidenza alta”)”.
Le emissioni continue di gas ad effetto serra causeranno un ulteriore riscaldamento e cambiamenti in tutte le componenti del sistema climatico. Limitare il cambiamento climatico richiederà una sostanziale riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Le proiezioni per i prossimi decenni mostrano una entità dei cambiamenti notevolmente influenzata dalla scelta di scenario di emissioni.
 6) LE MODIFICHE AL CLIMA GLOBALE DURERANNO PER SECOLI
Le emissioni di gas serra che continuano a crescere provocheranno ulteriore riscaldamento nel sistema climatico. Il riscaldamento causerà cambiamenti nella temperatura dell’aria, degli oceani, nel ciclo dell’acqua, nel livello dei mari, nella criosfera, in alcuni eventi estremi e nella acidificazione oceanica. Molti di questi cambiamenti persisteranno per molti secoli”.
 7) DA 2 A 4 GRADI DI AUMENTO DELLE TEMPERATURE GLOBALI A FINE SECOLO
Il quinto rapporto propone 4 scenari di aumento delle temperatura media globali alla superficie alla fine di questo secolo (media 2081–2100). Lo scenario RCP2.6 prevede riduzioni pesantissime delle emissioni entro pochi decenni, mentre lo scenario RCP8.5 (simile al vecchio scenario A2) è uno scenario estremo che non prevede riduzioni. Gli scenari RCP4.5 e RCP 6.0 sono scenari intermedi.
Gli aumenti di temperature rispetto al periodo 1986–2005 saranno probabilmente nei seguenti range;
RCP2.6: 0.3°C-1.7°C ;  RCP4.5: 1.1°C-2.6°C;  RCP6.0: 1.4°C-3.1°C ; RCP8.5: 2.6°C-4.8°C.
Da notare che il periodo 1986–2005 a cui fanno riferimento questi numeri era già più caldo (circa 0.6 °C) rispetto al periodo preindustriale, per cui gli aumenti previsti delle temperature, rispetto ai periodi preindustriali, sono:
RCP2.6: 1°C–2.3°C ;  RCP4.5: 1.7°C-3.3°C;  RCP6.0: 2°C-3.7°C ; RCP8.5: 3.2°C-5.4°C.  
E ‘praticamente certo che ci saranno più frequenti estremi di temperatura (caldi e freddi) sulla maggior parte delle aree di terra e su scale temporali giornaliere e stagionali, all’aumentare delle temperature medie globali
E ‘molto probabile che le onde di calore si verificheranno con una frequenza più alta e una durata maggiore
 8 )  DA 50 A 80 CM DI AUMENTO DEL LIVELLO DEL MARE A FINE SECOLO
climate change IPCC 2013 report
Il livello globale medio marino continuerà a crescere durante il XXI secolo e queste proiezioni sono considerate più adeguate dalla comunità scientifica rispetto a quelle presentate nell’AR4 perché riproducono meglio le osservazioni e includono la dinamica rapida di fusione delle calotte glaciali (ice-sheet rapid dynamical changes). L’innalzamento del livello medio globale marino per il 2100, rispetto al livello medio 1986-2005, sarà “probabilmente” nel range di:
RCP2.6: 0.26 – 0.55 m ; RCP4.5: 0.32 – 0.63 m  ; RCP6.0: 0.33 – 0.63 m; RCP8.5: 0.45 – 0.82 m

Questo innalzamento si aggiunge a quello di 15 cm già registrato nel periodo 1986-2005, per cui l’innalzamento complessivo a fine secolo è previsto in
RCP2.6: 0.41 – 0.69 m ; RCP4.5: 0.47 – 0.78 m  ; RCP6.0: 0.48 – 0.78 m; RCP8.5: 0.60 – 0.97 m
 9) I GHIACCI CONTINUERANNO A FONDERE
L’estensione annuale dei ghiacci artici sarà soggetta a diminuzione nel corso del secolo secondo tutti gli scenari, e solo secondo gli scenari più estremi (RCP 8.5) sarà possibile una situazione di completo fusione stagionale del ghiaccio Artico a fine estate entro la metà del secolo.
Entro la fine del secolo, è verosimilmente da attendere una forte diminuzione delle coperture glaciali a scala globale (-15% fino a -55%), escluso l’Antartide.
Vi è una ragionevole certezza che la copertura nivale stagionale nell’emisfero nord decresca sensibilmente (da -7% fino a -25%) entro fine secolo.
E’ assai probabile che le aree soggette a permafrost superficiale (fino a 3.5 m di profondità) presenti alle latitudini intermedie ed elevate si ridurranno (da -37 % fino a -81%) con l’aumento delle temperature atteso.  
 10) PRECIPITAZIONI PIU’ INTENSE
Nell’arco del secolo il cambiamento climatico influenzerà in maniera crescente il ciclo dell’acqua a scala globale, sebbene con alcune differenze a scala regionale
Le zone equatoriali ed alle alte latitudini vedranno probabilmente una crescita delle precipitazioni, con intensificarsi dei fenomeni estremi e susseguenti piene, mentre le zone tropicali aride andranno verosimilmente incontro a precipitazioni sempre minori.
Le aree soggette a precipitazioni di matrice monsonica verosimilmente incrementeranno e si verificherà un allungamento della stagione monsonica, con eventi intensi più frequenti.
 Testo di Sergio Castellari, Stefano Caserini, Daniele Bocchiola e Carlo Cacciamani. La second aparte del post è presa da questo sito"climalteranti.it"
Buon week end.... godetevelo

venerdì 29 novembre 2013

LA STRATEGIA DEL BENE COMUNE (Stefano Rodotà); dal blog di triskel182

La legge di stabilità non è solo la “polveriera” economica di cui ha parlato Tito Boeri. Ha fatto affiorare vizi culturali profondi, che toccano il ruolo sociale dei beni, i limiti della discrezionalità politica, e il modo stesso d’intendere la vita delle persone. Provo a sintetizzare alcune indicazioni su questi tre punti.
1) In molti paesi è da tempo in corso una discussione sul grande e ineludibile tema dei beni comuni, che in Italia viene troppo spesso falsato da una diffusa e spesso compiaciuta ignoranza, e talora distorto da qualche intemperanza ideologica. Nell’ultimo periodo non sono mancate ironie sui “benecomunisti”, e qualche aggressione pochissimo informata su alcune esperienze in corso. Si ignora che questo tema ha dietro di sé una lunga serie di studi e che, nel 2009, il Premio Nobel per l’economia venne assegnato a Elinor Ostrom proprio per i suoi contributi alla teoria dei beni comuni (i più importanti sono disponibili in italiano). In Italia è stato pubblicato un fiume di libri. Segnalo soltanto la ricca raccolta di saggi nata da un seminario della Fondazione Basso (Tempo di beni comuni, Studi multisciplinari… Ediesse, Roma, 2013); il nitido itinerario di Guido Viale (Virtù che cambiano il mondo. Partecipazione e conflitto per i beni comuni, Feltrinelli, Milano, 2013); e il lavoro di uno storico, Andrea Di Porto, che tra l’altro ricorda il lontano punto di partenza della sentenza della Corte di Cassazione del 1887, che diede ragione al Comune di Roma contro il principe Borghese che voleva chiudere i cancelli della Villa, riconoscendo ai cittadini il diritto di passeggiare liberamente in quel luogo (Res in usu publico e “beni comuni”, Giappichelli, Torino, 2013).
Un bagno culturale eccessivo? Ma i parlamentari non hanno bisogno di andare così lontano. Basta che aprano la porta accanto. Troveranno i testi mandati a tutti loro all’inizio della legislatura, già strutturati in forma di disegno di legge, sulla disciplina dell’acqua e sulla riforma del sistema dei beni pubblici, che riproduce i risultati di una Commissione ministeriale e che qualcuno ha già trasformato in proposta di legge. Perché, allora, ripetere le trite e pericolose banalità della vendita dei beni pubblici per far cassa, fino alla grottesca vicenda delle spiagge?
In realtà, la questione dei beni comuni non fa storia a sé. Impone un ripensamento dell’intero ordinamento dei beni pubblici (ai quali ha dedicato un importante volume l’Accademia dei Lincei nel 2010). Non tutti possono essere attratti nell’area del “comune”, ma non per questo la gran massa dei beni pubblici diventa disponibile per qualsiasi disinvolta operazione. Dovrebbe essere chiaro che questi beni hanno funzioni diverse, e si presentano come beni “ad appartenenza pubblica necessaria” (opere per la difesa, le reti viarie e ferroviarie, i porti), “sociali” (che devono soddisfare bisogni essenziali delle persone), “fruttiferi” (da gestire con adeguate modalità economiche). Per quanto riguarda le spiagge, per esempio, le operazioni da fare dovrebbero essere due. Eliminare la loro sostanziale privatizzazione, che per lunghissimi tratti esclude l’accesso ai cittadini, in forme sconosciute ad altri paesi. E rendere economiche le concessioni ai privati, che oggi danno allo Stato un reddito inadeguato (discorso che può essere esteso ad altri casi, come quello delle frequenze).
Tornando ai beni comuni, la loro definizione rinvia al fatto che essi sono indispensabili per la soddisfazione di bisogni fondamentali delle persone. Si istituisce così un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni. E infatti molti documenti nazionali e internazionali parlano, in primo luogo, di accesso all’acqua, al cibo, alla conoscenza in rete, ai farmaci essenziali, alla tutela del territorio come di diritti fondamentali, la cui realizzazione esige appunto regole particolari per quei beni. Tra queste emergono quelle sulla partecipazione dei cittadini alla gestione, prevista dall’articolo 43 della Costituzione, che parla di “servizi pubblici essenziali” da affidare a “comunità di lavoratori o di utenti”. Qui nascono tre problemi. Rispetto dei risultati di referendum come quello sull’acqua, a proposito del quale si ha una timida e parziale apertura del ministro per l’Ambiente. Non per tutti i beni comuni può essere individuata una comunità che li gestisce: come si può inventare questa comunità tra i tre miliardi di persone che accedono alla conoscenza in Rete? Questo bene, allora, deve essere qualificato in via generale come comune. E le istituzioni devono confrontarsi con le esperienze che formulano progetti, realizzano innovazioni dell’ordine esistente, distinguendo certo, ma senza trincerarsi dietro rifiuti pregiudiziali.
2) Punto sul vivo, il Presidente Letta ha reagito ai rilievi dell’Unione europea sulla legge di stabilità, cominciando a riecheggiare critiche sempre più diffuse sugli effetti negativi delle politiche di austerità. La reazione d’un momento, tutto sommato strumentale, o l’avvio di un’altra strategia? Si avvicinano le elezioni europee, e non ci si può limitare a esprimere preoccupazione per i populismi antieuropeisti, che rischia di trasformarsi in un inutile lamento. La strategia europea deve cominciare a prendere coraggiosamente atto che la politica dell’Unione è stata chiusa nella dimensione economico-finanziaria, amputando del tutto quella dei diritti, affidata alla sua Carta dei diritti fondamentali, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Questo “valore aggiunto” è stato in questi anni negato ai cittadini europei e ha determinato la progressiva delegittimazione delle istituzioni. Da qui bisogna ripartire, se il Governo vuole davvero dare un qualche senso al suo parlare di Europa. Altrimenti si allontanerà ancora di più da una società nella quale sta maturando un serio movimento che vuole parlare di politica “costituzionale” per l’Europa, così come sta facendo per l’Italia. La voce dei cittadini senza demagogia antieuropea deve esser ascoltata perché, si condivida in tutto o in parte la tesi di Luciano Gallino, è indubbio che sia avvenuto qualcosa che assomiglia a un colpo di Stato (Il colpo di stato di banche e governi, Einaudi, Torino, 2013). E i cittadini stanno studiando i modi per rimettere in discussione quel mutamento dell’articolo 81 che si è voluto sottrarre ad un loro possibile voto. E per sfuggire alla subalternità all’economia, bisogna riconoscere che la discrezionalità politica deve obbedire ai criteri che, per la ripartizione delle risorse scarse, sono indicati proprio dalla trama dei diritti fondamentali.
3) La verità è che si è messo in discussione quello che definisco “il diritto all’esistenza”. Divenuti residuali i diritti sociali, rafforzate le diseguaglianze, si è minata la stessa condizione dell’efficienza economica (continua a ricordarcelo Jean-Paul Fitoussi, Il teorema del lampione, Einaudi, Torino, 2013). Per questo non può essere allontanata, con una mossa infastidita, la questione del reddito minimo (esiste una proposta d’iniziativa popolare anteriore a quella del Movimento 5Stelle). È tema difficile, per il rapporto con le politiche del lavoro e per il reperimento delle risorse necessarie, ma ineludibile. E mi pare utile che, dopo una intemperanza iniziale, Stefano Fassina abbia parlato di un confronto politico su questo tema.
4) Ho citato molti libri. Ma, se dobbiamo uscire dalla profonda regressione culturale che ha reso misera la politica, possiamo farlo senza buone letture?
p.s.
Solo da un pensatore come Rodotà poteva arrivare un contributo del genere. Personalmente l'avrei come un grande Presidente della Repubblica: migliore, e sicuramente diverso, dell'attuale inquilino e anche di Romano Prodi. Ma viviamo in tempi di governo del denaro e con il denaro ormai diventato ll fine e non lo strumento come dovrebbe essere..... dove nella legge di stabilità hanno reintrodotto di nuovo la legge mancia, circa 5 mln per il clientelismo dei partiti, e qualche norma qui e là che salva l'intero sistema, dal centro alla periferia, per evitare che ci possano essere politucoli che non possano mangiare a spese nostre.... ricordatelo quando andrete a votare: a qualunque livello di elezione o ce ne liberiamo o non ci .. liberiamo del regime del denaro

mercoledì 27 novembre 2013

Via uno... ora tocca agli altri.

Pensate che sia finita? Macchè, se n'è andato il simbolo ma il sistema di potere rimane tutto lì, ancora...... in Parlamento. Sia nella sua area che nel fino a ieri suo alleato sono ancora lì chi bene o male ne è ancora un emulo: i berlusconiani di destra e di sinistra sono ancora lì sugli scranni; trovo significativo che un onorevole del PD (sempre più MENOELLE) abbia dichiarato che in un paese normale il processo del decaduto sarebbe stato rifatto: a me risulta che in un paese normale ci si dimette per aver solo coipiato una tesi, immaginiamoci poi per una condanna definitiva.
Detto ciò. A bocce ferme stamani scrivevo questo su facebook:
"oggi si vota la decadenza di mr. B, si chiude forse un epoca? No, perchè anche se è vero che il simbolo di questo ventennio, forse (perchè non è ancora certo) ci farà il piacere di andarsene sul "sunset boulevard" della storia, come molti s'illudono che sarà, la questione non è chiusa, perchè? Perchè non abbiamo fatto i conti con il nostro intimo mr. B, quello nascosto nelle nostre coscienze, nelle nostre menti, nei nostri cuori; quello che ci ha resi indifferenti alla sorte altrui, egoisti, individualisti e soprattutto ha messo in luce quelle radici marce su cui si è fondata la nascita, 150 anni fa, della nostra nazione: radici marce che hanno avvelenato la nostra storia e impedito che diventassimo una democrazia matura. Accadde nel 1860; accadde dopo il fascismo; accadrà oggi e accadrà nel nostro immediato futuro..... ci auto-assolveremo in nome del motto "italiani brava gente" e faremo finta di non aver partecipato allata tavola imbandita, ci toccavano le briciole, e faremo finta di non aver evaso le tasse, anche solo per pochi cent, faremo finta di non aver votato per il suo partito e di non aver votato per la versione "di sinistra" del berlusconismo, ossia il pd. Faremo anche finta di non essere entrati in europa non avendone titolo nè diritto e, infine, faremo finta di ..... non essere noi che abbiamo eletto, a tutti i livelli, pesonaggi, di tutti i partiti, che altrove non avrebbero nemmeno messo a vendere noccioline e pop corn negli stadi.... insomma anzichè fare un salto culturale e processarci per gli errori commessi, noi cif aremo da giudice e da prete dandoci una pacca sulla spalla e auto-assolvendoci da tutti i peccati. Quanto può durare un paese con queste premesse? ditemelo voi...." più chiaro di così non servono altri commenti credo.
Ora però vi dovrete sorbire due cosine storiche:



  1. il discorso di Paola Taverna del M5S che fa l'elenco dei tanti "problemi dell'amato capo, eccolo....


    nulla da aggiungere, vero?
  2. una parte del comizio dell'amato capo in piazza


    anche qui... bè fate voi.
  3. infine ho trovato questo articoletto sul Fatto Quotidiano del 27/11/2013 che trovo illuminante per chiarezza e anche ..... perchè dice le stesse cose che dico io ma con maggiore autorevolezza..
il Berlusconi che è in noi
di Domenico Valter Rizzo
Berlusconi non è più parlamentare. Tra non molto andrà a scontare la sua pena ai servizi sociali e, verosimilmente, nei prossimi mesi, senza più l’usbergo dell’immunità, dovrà fare i conti con situazioni piuttosto complicate che potrebbero arrivare da più di una Procura.
Il ventennio, nella sua personificazione, finisce dunque qui e finisce in una smobilitazione generale dominata dalla depressione, un cupio dissolvi, nel quale si intrecciano minacce e starlette, signore ingioiellate e pensionati imbolsiti, figuranti e uomini chiamati a far da scorta a personaggi in cerca di autore. Finisce con l’immancabile defezione dei “traditori”, badogliani li chiamerebbe un nostalgico dell’altro ventennio, che abbandonano la nave che affonda prima di bagnarsi i piedi.
Berlusconi finisce nel pieno del suo stile. Vorrebbe essere tragico ma inevitabilmente diventa macchietta. La situazione si prestava ad una prova di forza, quanto meno di forza mediatica. Invece no, è rovinata se non nella farsa, quanto meno nell’operetta. Berlusconi ha fatto un discorso tremolante, patetico, ha sciorinato il solito repertorio di menzogne e battute ad effetto davanti ad una sparuta pattuglia di sostenitori ingigantita dalle riprese in campo stretto delle reti televisive. Se ve ne fosse stato ancora bisogno, ha mostrato ancora una volta la sua pochezza politica ed umana. E viene inevitabile pensare come abbia fatto – se non grazie alla scarsa levatura degli avversari e ad una oggettiva immoralità diffusa – un personaggio di tal fatta a tenere in scacco un Paese per un tempo così lungo.
Ma la sua caduta, perché di caduta si tratta con buona pace dei commentatori che ancora indicano un ruolo per questo personaggio, impone una riflessione sul Paese. Non mi interessa tentare analisi sul futuro. Vivendo vedremo. Mi interessa invece ragionare sulla fine, perché la fine di un personaggio come Berlusconi ci racconta un po’ noi stessi, ci narra la condizione morale di questo Paese.
Ripensiamo ad altre cadute viste nello secolo scorso. Berlusconi non ha la tragicità disperata del Mussolini al teatro Lirico di Milano. Anche quello era un discorso che certificava una sconfitta proprio nel suo ostinarsi pervicacemente nel negarla. Berlusconi fa lo stesso, ma se Mussolini faceva orrore – un orrore tragico che in breve sarebbe ricaduto sullo stesso dittatore a Giulino di Mezzegra – Berlusconi sinceramente desta disinteresse. Annoia.
La sua uscita non ha neppure la tensione, ma voglio anche dire la dignità di Craxi sommerso dalle monete e dagli sputi davanti al Raphael. Craxi si accollerà l’esilio (sarebbe tecnicamente più corretto dire la latitanza a vita), ma pronuncerà un ultimo pesantissimo discorso sfidando un’aula che sembrava la Convenzione della rivoluzione francese. La sua sfida, con argomenti inaccettabili, fu comunque un atto di dignità politica. Di affermazione di una responsabilità.
Questo avveniva non perché un uomo come Craxi fosse un gigante della politica, ma perché il Paese, nei tragici mesi del ’45 e in quelli drammatici di Tangentopoli imponeva una diversa condizione. Eravamo noi ad essere diversi.
Oggi Berlusconi ci propone una sorta di Drive In della politica e tutto finisce in vacca. Lo fa perché il suo modo di fare, la sua uscita, è quello che il pubblico oggi è pronto a vedere. Immaginiamo le frasi, l’atteggiamento assunto da Berlusconi in un tempo diverso. Il Paese non lo avrebbe tollerato. Non avrebbe tollerato nulla di quello che ci ha propinato questo personaggio. Invece l’Italia di oggi si identifica in un personaggio che ne è stato, e in larga misura ne è ancora, specchio e al tempo stesso modello.
Finisce Berlusconi e finisce non in tragedia, ma in pochade. Quello che non finisce è il berlusconismo, inteso come modello, come modo di pensare, come rapporto di sudditanza tra gli italiani e il potere. La fine di ogni forma di partecipazione politica, di ogni dibattito, di ogni forma di democrazia diffusa, oggi non è incarnata da un caudillo morente, ma è incarnata dal modello di politica che si è ormai imposto e del quale Berlusconi è stato al tempo stesso simbolo, artefice e strumento. Una visone distorta della democrazia con caratteristiche plebiscitarie, basata sul cesarismo ha ormai pervaso non solo la destra, ma anche e soprattutto il centro sinistra per non dire del M5S. Ormai non ci si divide su una visone del mondo, su un’idea di Paese, ma sull’identificazione personale con il leader.
Un sistema che rispecchia un profondissimo deficit culturale, una scarsissima disponibilità di idee o progetti da parte di una classe dirigente nel migliore dei casi mediocre ed improvvisata che aspira a nascondere tale mediocrità dietro il carisma di un leader. La gestione concreta delegata a personale tecnico “prestato alla politica” che privo di una visone politica e strategica, ma soprattutto di una scala valoriale, gestisce il Paese in modo meccanico, con una logica da ragioniere, con la politica ridotta solo alla mera gestione del potere personale e di una sempre più larga e diffusa corruzione.
Questa è l’eredità che ci lascia Berlusconi. Non comprendo chi stasera festeggia e inneggia ad una liberazione che sinceramente non riesco a vedere. L’orizzonte è fosco e la caduta di Berlusconi e della sua corte dei miracoli ci lascia infetti e senza difese contro il morbo che ci domina.
Felice serata e, spero, serena notte a tutti

martedì 26 novembre 2013

La coperta corta dei trasporti

di Marco Ponti | 26 novembre 2013
I trasporti terrestri, dal punto di vista delle finanze pubbliche, si dividono in due tipi: quelli che assorbono risorse pubbliche (ferrovie e servizi urbani, per circa 10 miliardi all’anno) e quelli che generano entrate, rilevantissime, allo Stato, che sono i trasporti stradali (circa 50 miliardi all’anno tra accise sui carburante, tasse di circolazione ecc). Questi sono fatti, non opinioni.Ora, la conseguenza politica immediata di questa situazione sembra semplice: bisogna decidere le priorità sociali, se le risorse pubbliche sono scarse. E questo richiede un dibattito democratico che finora la politica non ha mai voluto fare: è più importante la sanità, l’istruzione, la casa, la tutela di chi perde il lavoro, o la mobilità pubblica? 
Secondo molti analisti, i trasporti passeggeri sono un “bisogno derivato”, rispetto per esempio alla sanità o al lavoro o alla casa, quindi rappresentano bisogni meno prioritari. Dal punto di vista sociale poi una serie di ricerche (Istat, Censis, Bain) ha definitivamente dimostrato che non è più vera la distinzione “automobile uguale redditi elevati, trasporto pubblico uguale redditi bassi”. Vi sono clamorosi fenomeni di inversione del fenomeno: redditi medi che usano di più i trasporti pubblici iper-sussidiati, categorie operaie che usano di più, per ragioni di mercato della casa e di assetto territoriale, l’ipertassata auto privata.
Il trasporto merci, a causa del tipo di produzione italiana (industrie medio-piccole), è difficilmente spostabile sulla ferrovia. E si tassa moltissimo il carburante, arrabattandosi poi nei modi più irrealistici per ridurre altri costi alle imprese. Anche i vari Tav rientrano in questo quadro delirante, ma funzionale a interessi che con lo sviluppo industriale hanno poco a che spartire.
Tornando ai passeggeri, nessuno con quanto detto intende, come invece minacciano molti “coccodrilli politici”, che occorra tagliare servizi essenziali per chi non ha la macchina, ma di farli pagare almeno come nel resto d’Europa. È molto più grave perdere il lavoro perché un trasporto pubblico è stato tagliato, che non pagare una tariffa “europea”, cioè solo un po’ meno sussidiata, o ridurre il deficit del settore introducendo un minimo di vera concorrenza. Ma la minaccia di tagli è più efficace, visto che i soldi vengono dallo Stato centrale, dopo il non casuale fallimento dell’autonomia finanziaria del settore.
Un aspetto paradossale riguarda le ferrovie locali, sempre all’onore delle cronache pur riguardando meno del 10% dei pendolari totali: i treni più socialmente utili non richiedono molti sussidi. Infatti i treni pieni, che sottraggono inquinamento e congestione alla strada, si ripagano anche con tariffe ragionevolmente basse. I sussidi vanno a treni semivuoti, facilmente sostituibili con autobus, anche sulle lunghe distanze (forse non tutti sanno poi che le categoria a più basso reddito, gli extracomunitari, viaggiano sulle lunghe distanze in autobus, che hanno tariffe inferiori a quelle del treno pur non essendo sussidiati dallo Stato). Cioè, noi non sussidiamo i trasporti pubblici alle categorie a reddito più basso, che se li pagano da sé.
Si potrebbe accettare gli attuali livelli di sussidio (cioè la rinuncia alle risorse necessarie per altri servizi sociali, forse più urgenti), se si fosse certi dei risultati. Ma dopo trent’anni di politiche severissime di tassazione della strada e di sussidi al trasporto pubblico, i risultati appaiono molto modesti. E occorre mettere in relazione questa “diabolica perseveranza” con la lobby che la sostiene, che è costituita da società pubbliche, capaci di generare grandi fenomeni di “voto di scambio”. Né si può dimenticare che dal punto di vista occupazionale la ferrovia è un modo “ad alta intensità di capitale”, al contrario della strada.
Per i problemi ambientali poi, l’ipotesi di puntare su politiche basate sull’innovazione tecnologica del modo dominante, quello stradale, sembra dunque un’alternativa da considerare con la massima attenzione, visto che già l’industria automobilistica (non certo per buon cuore) sta investendo fiumi di soldi su propulsori innovativi.  D’altronde questa è anche la linea della massima autorità mondiale sull’ambiente, l’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) delle nazioni Unite . E questa linea sembra sistematicamente ignorata nelle politiche attuali.
Obiezione possibile: ma non insistendo con politiche mirate al cambio modale, rimarrebbe irrisolto il problema della congestione stradale. Vero, ma l’Italia è già satura di automobili, e demograficamente non cresce. Non ci sono rischi di “asfaltatura del territorio”, se si fanno un po’ di strade in più, e solo dove servono. E non si può dimenticare che il suolo non verrebbe sottratto all’agricoltura economicamente sana (che ne occupa molto poco), ma a quella estensiva ed inquinante che si regge su un sistema di sussidi costosissimi e iniqui. Se questi sussidi cessassero, e si lasciasse che i paesi più poveri del mondo ci vendessero i loro prodotti, ogni “scarsità di suolo” in Italia cesserebbe dalla sera alla mattina. Ma questo è un altro discorso…
p.s.
trovo illuminante la leggerezza con cui l'autore di questo articolo liquidi con poche parole quelli che sono decenni di studi che mirano, tutti, a dimostrare come il trasporto su gomma, e gli incentivi dati dallo stato alla costruzione delle autostrade, abbia creato delle situazioni insostenibili nelle città, sia grandi che piccole, sia dal punto di vista ambientale che di sostenibilità stessa della qualità della vita: da cui la scelta, corroborata anche da un referendum, di spingere per una sostituzione del trasporto privato da scoraggiare in favore di uno pubblico, com'è quasi dappertutto in giro per l'europa, che sia non solo diffuso ma svolto in "economia (come sostiene la costituzione)" e sostenibile per le casse: come mai invece è un buco nero mangiasoldi? La risposta è talmente ovvia che dovrebbe essere lamapante anche a chi vive con le bistecche sugli occhi fin da piccolo: la politica, l'aziendalizzazione e il sindacalismo corporativo; un mix devastante per quelli che dovevano essere nient'altro che servizi, non importa se dovuti a "bisogni derivati" o meno, che gli enti pubblici offrono a un certo prezzo politico come alternativo all'auto permettendo con ciò una diminuzione dei costi sociali e sanitari, per quanto riguarda i cittadini, e di manutenzione per quanto riguarda strade e autostrade (peraltro tassatissime). Stesso discorso, per quanto mi riguarda, vale per le ferrovie: c'è il tav, in passivo profondo e finanziato tutto con soldi pubblici ma che pochissimi usano, e c'è tutto il resto: regionale, intercity e merci che è alla deriva per essere buoni ma in realtà alla canna del gas per essere realisti; la scelta di base è stata la stessa; privatizzare senza toccare la natura del servizio ossia:società pubbliche al vertice, in pratica amministratori pubblici (spesso trombati o in ascesa che sono messi lì a scaldarsi i muscoli con stipendi d'oro e che se ne fregano di come va l'azienda) ma private nei fatti quindi il cittadino che avesse rimostranze da fare o suggerimenti non ha a che fare con pubblici ufficiali ma ..... privati con fior di studi legali e un apparato elefantiaco costruito non per soddisfare l'esigenza del bene comune ma ..... bloccarlo e reprimerlo; una volta avvenuta, ossia dopo essersi mangiato tutto, la spoliazione può essere messa sul mercato al prezzo minimo e senza tante cautele. Chi ne paga le conseguenze? I cittadini, innanzitutto e i lavoratori, che perdono quella cultura del lavoro base di ogni condivisione, che diventano preda dei sindacati e delle spinte corporative e autodistruttive che vediamo dal '92 in poi.....
è appena il caso di riocrdare che i servizi pubblici, essenziali o meno, sono una prerogativa delle società avanzate perchè non sono altro che un aspetto della gestione del territorio in tutti i suoi aspetti: nessun privato si prenderebbe, a meno di non essere pagato a peso d'oro, una tratta non economica ma l'aspetto importante non è il suo essere economica o meno ma quanti cittadini la usano evitando di prendere la macchina e come sono invogliati a farlo dalla qualità dei mezzi di trasporto (per esempio è invogliare i cittadini a prendere treni a diesel stravecchi, le famose littorine, sulla tratta Lucca-Aulla, se - oltre che ad essere inquinanti - .... ci piove dentro?) e dalla loro puntualità: non è un caso che nella patria delle privatizzazioni selvagge, la Gran Bretagna, ci si sia accorti ora che, come sono diventate le aziende-spezzatino di trasporto che sono nate dal thatcherismo, non funzionano e sono anche pericolose, più di quelle italiane.
E' questione di filosofia, non solo politica, ma proprio di filosofia di base del trasporto, dei suoi obiettivi e dei suoi fini: a volte possono essere privati ed essere fallimentari e pubblici ed essere efficienti, capita che il trasporto possa essere privato, come negli usa, ed essere efficiente ...... capita; ma quand'è il contrario c'è sempre un problema di fondo: l'etica della politica che è chiamata a gestire la cosa pubblica; a chi risponde davvero?

lunedì 25 novembre 2013

Jp Morgan, onori a Buckingham Palace. Così la finanza dimentica la crisi

di Loretta Napoleoni | 24 novembre 2013
dal Fatto quotidiano
L’ostentazione della ricchezza è lo sport preferito dalla classe dei super-ricchi e privilegiati del villaggio globale, quella piccolissima percentuale della popolazione mondiale che vede la sua posizione di vantaggio rispetto a quella di tutti gli altri legittimata dal vecchio idolo: il denaro.
Giambattista Vico non si meraviglierebbe di questo fenomeno, tutto è già successo nel passato, fa parte della ruota della storia; quello che però Vico non poteva prevedere  è l’acuirsi delle diseguaglianze nelle moderne democrazie a seguito della schizofrenia del sistema politico sociale definito democrazia. Schizofrenia perché la democrazia dovrebbe essere il governo della maggioranza ed invece è degenerata nella gestione della cosa pubblica e della vita delle masse da parte delle élite, ma nessuno si ribella né viene punito per le ingiustizie commesse o perpetuate.
L’ultimo esempio di questo disturbo mentale ci arriva dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, baluardi del potere del Parlamento, il primo, e della democrazia, il secondo. Il 30 ottobre la JpMorgan, ai tempi ancora sotto inchiesta per aver frodato milioni di onesti risparmiatori americani con i mutui subprime, ha organizzato un evento memorabile a Buckingham Palace, avete letto bene, Buckingham Palace, meglio noto come la residenza della Regina d’Inghilterra.
Alla cena hanno partecipato 100 rappresentanti del mondo degli affari e della politica mondiale. C’era Tony Blair, che presiede il Consiglio dei consulenti della JpMorgan (il cui governo ha fabbricato prove false per giustificare l’invasione dell’Iraq), Ratan Tata, l’industriale indiano che ha acquistato grossi pacchetti immobiliari a Londra e così via. I fortunati invitati si sono goduti uno spettacolo privato organizzato dalla Royal Philarmonica Orchestra e dal Royal Ballet, proprio come ai tempi di Enrico VIII, musica, balletti, cibi prelibati e vini d’annata. La Regina non era presente, ma  a fare gli onori di casa c’era suo figlio Prince Andrew. Nessuno sa quanto ha pagato la JpMorgan, né a chi ha pagato, ma sicuramente non è si è trattato di un evento di beneficenza.
Poche settimane dopo la JpMorgan patteggiava con il governo e le autorità monetarie americane la questione dei mutui subprime ed accettava di pagare subito 4 miliardi di dollari (su un totale di circa 13 miliardi) agli sfortunati mortali rimasti impigliati nel suo grande imbroglio immobiliare.
Dei 4 miliardi di dollari, circa 1,5 andrà a pagare la differenza tra il valore attuale e quello passato delle abitazioni mutuate; 500 milioni andranno a ristrutturare i pagamenti mensili, e cioè li ridurranno. Gli altri 2 miliardi di dollari serviranno a compensare chi vive nelle aree più colpite dalla bolla immobiliare ed a demolire le case abbandonate. I poveretti che le hanno lasciate perché non potevano più pagarle rimarranno a bocca asciutta. Ma lo scopo della ristrutturazione non è aiutare i mutuatati ma le banche che hanno in portafoglio beni tossici. La JpMorgan, infatti, pagherà queste ultime.
La settimana prossima si saprà come verranno allocati i rimanenti 9 miliardi di dollari e per questo gigante della finanza mondiale la tragedia dei mutui spazzatura si chiuderà definitivamente ad un prezzo accettabile. Nessuno finirà in carcere per aver distrutto famiglie intere o per aver causato una crisi epocale di cui ancora oggi ne soffriamo le conseguenze, i signori dell’alta finanza sono come i politici, al disopra della legge, una caratteristica delle oligarchie e dei regimi assolutistici ed oscurantisti di un passato che la democrazia dovrebbe aver definitivamente cancellato. Ma non è così ed il fatto che la JpMorgan sia benvenuta dietro pagamento nelle sale della monarchia britannica ce lo conferma.
La logica è semplice: nel villaggio globale dove si adora l’idolo denaro la democrazia è uno strumento di potere nelle mani di chi lo possiede, con il denaro si compra tutto: dall’ospitalità della monarchia fino al silenzio dei senza tetto.
Come si esce da questo pantano? Certamente non con la guerra tra i poveri, di tutti i tipi, inclusa quella tra economisti veri e falsi, ma con la consapevolezza e l’esempio. Battaglie contro un nemico infinitamente più potente non si vincono con le armi né con le rivoluzioni e tantomeno con i trattati d’economia, ma con la superiorità etica e morale. Gandhi, in fondo, ha preso esempio da San Francesco, oggi il villaggio globale un nuovo Francesco ce l’ha e sembra proprio intenzionato ad emulare le gesta di chi lo ha preceduto nella difesa dei diritti della collettività. Ma come tutti i grandi della storia ha bisogno del nostro aiuto.
p.s.
aggiungo solo che il livello di complessità di un sistema del genere è grande e, come dice nell'articolo, potente davvero: ma è un gigante con i piedi d'argilla, debolissimi che può prosperare solo perchè i "comuni" sono (come sosteneva Lippman, consigliere della moglie di Roosvelt): "passivi", deboli, divisi, impauriti nel perdere quel poco che gli lasciano e, soprattutto, convinti di far bene perchè "quel" potere potente non è facilmente identificabile o meglio è impersonale e lontano...... anche se si sa che politici e sindacalisti sono elettivi chi li regge davvero non sono i cittadini ma una rete interconnessa e fitta che va da chi controlla i media alle istituzioni finanziarie; dai mercati ai grandi interessi delle aziende multinazionali.. un moloch che spinge per le proprie caratteristiche impersonali la gente a sentirsi frustrata da un lato e passiva e impaurita dall'altra persa nel giogo poliotico mediatico che gli promette un improbabile mondo semi perfetto e, nel classico gioco delle tre carte, nello stesso momento gli leva l'orizzonte anzi gli orizzonti...... e nel caso dovessero sbucar fuori movimenti sociali o si fanno assorbire, leggi lega, o s'innesca un gioco al massacro nel quale il primo obiettivo è gettar discredito (in questo aiutati dalle titaniche cazzate, detto da Andrea Scanzi a proposito di alcune uscite del M5S) l'altro e disarcionare le fila di cittadini e iscritti dalle loro certezze mentre nel frattempo la politica tradizionale fa quadrato (mentre continua al proprio interno a farsi le guerricciole per le briciole) e li isola con tanti saluti all'interesse generale e al bene comune
dice nulla quanto sopra? O meglio: ricorda nulla?

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