venerdì 19 gennaio 2018

World economic forum, è nell’ambiente il rischio più pericoloso del 2018

Fonte Green Report di Luca Aterini
Nella lussuosa località svizzera di Davos sta per tornare in scena (dal 23 al 25 gennaio) il World economic forum 2018, ma a guardare i temi del dibattito sembra che l’ultimo anno non sia passato. Il Wef ha presentato ieri il suo nuovo Global risks report, la pubblicazione annuale che contiene le opinioni degli esperti e dei politici al livello globale sui rischi più significativi che affliggono il mondo, e questi rischi – anche se a seguire la cronaca italiana non si direbbe – riguardano gli stessi temi del 2017: ambiente e disuguaglianza. Con una significativa differenza.
Il report del World economic forum si basa su un’indagine annuale svolta dallo stesso Wef chiamata Global risks perception survey, e i risultati suggeriscono che gli esperti consultati si stanno preparando per anno dal rischio elevato; infatti il 59% dei quasi 1.000 intervistati indica un’intensificazione dei rischi, mentre solo il 7% ritiene che i rischi stiano diminuendo.
È interessante notare come i rischi ambientali prevalgano per il secondo anno consecutivo, dopo la rilevazione effettuata l’anno scorso. Al pari del 2017, infatti, l’ambiente si è rivelato di gran lunga la maggiore preoccupazione sollevata dagli esperti, e gli eventi meteorologici estremi sono visti come il rischio più rilevante. In particolare, tra i cinque rischi la cui probabilità di avverarsi nei prossimi 10 anni è data come più elevata, tre posti sono occupati dai rischi ambientali: al primo posti gli eventi meteorologici estremi, al secondo i disastri naturali e al quinto il fallimento delle politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Per quanto riguarda invece i rischi dall’impatto più rilevante, solo la voce “armi di distruzione di massa” – al primo posto – non rientra nella categoria dei rischi ambientali: le altre 4 delle prime 5 posizioni invece sì, aggiungendo ai rischi già nominati quello relativo alle crisi idriche.
In buona sostanza, tra i 30 rischi globali a cui è stato chiesto agli esperti di stabilire l’ordine di priorità, tutti e cinque i rischi ambientali (condizioni meteorologiche estreme, collasso dell’ecosistema, disastri naturali, disastri causati dall’uomo, e il fallimento della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici) sono stati classificati tra i primi posti in termini di probabilità che si verifichino e impatto.
L’altro grande protagonista dei rischi mondiali per il 2018 – e il paradosso al limite dell’ipocrisia è che l’allarme venga lanciato proprio dal World economic forum di Davos, non esattamente una kermesse proletaria – è la disuguaglianza. Al primo posto tra i rischi più rilevanti per il business spicca infatti la disoccupazione-sottoccupazione, mentre al quinto posto si affaccia la “profonda instabilità sociale”.
Secondo il World economic forum il modello economico prevalente nel mondo è un fallimento che nonostante tutto rimane in piedi: «Nonostante l’impegno di un certo numero di amministratori delegati sia per gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu sia per l’Accordo sul clima di Parigi, il potere dell’avidità delle imprese assicura la sopravvivenza del modello economico dominante. Quando i governi sono intimiditi, o semplicemente non si preoccupano di far rispettare i fondamentali diritti umani e del lavoro, o di assicurare che le tasse sulle imprese siano pagate in modo da poter investire nella protezione sociale e nella salute e nell’educazione dei propri cittadini gente, cedono il controllo all’avidità delle multinazionali».
Ed è quanto sta accadendo, secondo gli stessi esponenti – i più illuminati, evidentemente – del capitalismo internazionale, secondo i quali «è tempo di negoziare un nuovo contratto sociale». Non sono i soli a pensarla così: secondo un sondaggio condotto nel 2017 dall’Ituc (la Confederazione sindacale internazionale) l’85% della forza lavoro mondiale vuole riscrivere le regole dell’economia globale, minata alla base dalla disuguaglianza. Una percentuale simile a quella emersa in Italia da un sondaggio condotto da Oxfam nel 2016, secondo il quale l’80% dei nostri concittadini ritiene prioritario ridurre le disuguaglianze economiche.
Ambiente e disuguaglianza, dunque: se qualche candidato in corsa per le prossime elezioni politiche del 4 marzo fosse in cerca di spunti, farebbe bene a seguire i consigli del World economic forum.

giovedì 18 gennaio 2018

Ti ricordi ancora della sicurezza sul lavoro?

In una campagna elettorale basata sul poco o nulla, all’improvviso la cronaca ci riporta coi piedi per terra: si passa, purtroppo, dal discutere del voto utile, degli immigrati che ci invadono e che vengono qui a delinquere, delle case chiuse, della razza bianca a rischio estinzione, alla tragica morte di tre persone, operai dellaLamina morti intossicati a Milano.
A rischio estinzione forse sono più le tute blu (te li ricordi ancora gli operai, quelli che lavorano in fabbrica, nelle campagne, nei poli della logistica?), visto che nel 2017 le morti bianche sono cresciute del +5% come anche gli incidenti.
Eppure ci sono le leggi che pure sono buone (lo dice il magistrato torinese Guariniello in un’intervista al Fatto Quotidiano da Ferruccio Sansa):
Raffaele Guariniello, lei da magistrato e oggi nel suo impegno per il Parlamento ha dedicato la vita alla sicurezza sul lavoro. Ma la battaglia non è ancora vinta. Perché?Nel 2008 era stato fatto un ottimo testo unico sulla sicurezza. Ma non bastano ottime leggi, se poi restano sulla carta. Primo, c’è un problema di vigilanza. Gli organi competenti ci sono, anzi, sono quasi troppi. Ma poi servono organici e professionalità. Ancheil nuovo ispettorato non ha i mezzi. Ci sono città che hanno uno o due ispettori. Senza una vigilanza sistematica e organica non si ottiene nulla.
E la magistratura?I processi penali non vanno bene. In alcune zone d’Italia non vengono proprio fatti. Altrove c’è troppa lentezza.Leggo tante sentenze della Cassazione che dicono: il reato c’era, ma è prescritto. Tra gli imprenditori si diffonde un senso di impunità. Peggio:chi rispetta le regole finisce per avere uno svantaggio nei confronti dei disonesti.
E i manager condannati non finiscono in galera…Già, il caso Thyssen. Con la Germania che non ci consegna i manager tedeschi responsabili della tragedia. Eppure l’Italia era all’avanguardia nella tutela della sicurezza. 
Cosa è successo?Quando vado all’estero si stupiscono delle nostre inchieste sulla sicurezza e le malattie professionali. Perché noi abbiamo due vantaggi: avevamo le leggi migliori e una magistratura indipendente dall’esecutivo. A Parigi la procura ha appena chiesto l’a r c h i v i azione nei processi per i morti d’amianto.
Allora perché non riusciamo a far rispettare le leggi?Sono d’accordo con il presidente Sergio Mattarella: bisogna rendere effettive le leggi. Servono più risorse. Ed è essenziale una magistratura specializzata in una materia tanto complessa e delicata.Giudici che sappiano fare indagini veloci per evitare la prescrizione. E che conoscano le leggi e sappiano a chi affidare le perizie. Perché servono tecnici capaci e senza conflitti di interessi. Oggi poi esiste il divieto di stare in un gruppo specializzato per più di dieci anni. A me è capitato di perdere in un colpo sette giudici specializzati in materia di sicurezza sul lavoro. 
Ma questa legislatura che sta finendo come si è comportata in materia di sicurezza dei lavoratori?Il governo non può pensare di fare solo le leggi. Deve anche fornire le risorse. E poi ci sono stati casi di nuove norme che sono consapevolmente incomprensibili e oscure. Vedi quella sul ‘lavoro agile’ cioè l’occupazione del futuro  che si fa in parte nei locali dell’impresa e in parte fuori. La disciplina sulla sicurezza è incomprensibile, i datori di lavoro non sanno come comportarsi. Era stato anche fatto notare, ma si è detto che bisognava fare velocemente. Che i dubbi sarebbero stati chiariti dopo. In questa campagna elettorale si parla tanto di ‘competenza’. Penso che ce ne vorrebbe molta in Parlamento. Anche in materie complesse e delicate come il lavoro. Senza controlli e regole chiare si continuerà a morire. Come e più di prima.

Leggi chiare e più personale per vigilare la loro applicazione.
Perché a differenza dei reati percepiti e del senso di insicurezza che viene gonfiato da tg e dalle sparate dei razzisti all’italiana, qui parliamo di reati veri, di delitti veri, di persone vere.
Anche questo dovrebbe essere argomento da campagna elettorale, non Spelacchio o i numeri del PIL o dell’occupazione sparati a caso.
Da unoenessuno.blogspot.it

mercoledì 17 gennaio 2018

Aspettando Davos, i rischi per il 2018 secondo il World Economic Forum

Fonte: WSI 17 gennaio 2018, di Livia Liberatore

In attesa dell’inizio del Forum economico di Davos, che sta per iniziare nella località delle Alpi svizzere, il World Economic Forum ha presentato il suo “Global Risks Report 2018“, in collaborazione con Marsh & McLennan Companies. Per il 59% de i mille esperti e leader di tutto il mondo che sono stati intervistati, il 2018 vedrà un aumento dei rischi, soprattutto a causa delle tensioni geopolitiche, in Medio Oriente e con la Corea del Nord. Il 93% degli intervistati si aspetta un inasprimento nel confronto politico ed economico tra le principali potenze mondiali.
I rischi legati all’ambiente risultano la preoccupazione maggiore per gli intervistati, così come nel 2017. Questa la classifica dei rischi più probabili per l’anno in corso:
– Eventi climatici estremi
– Disastri naturali
– Attacchi cyber
– Frode o furto di dati
– Fallimento delle politiche di adattamento e mitigazione al clima
E quella dei rischi a più alto impatto:
– Armi di distruzione di massa
– Eventi meteorologici estremi
– Disastri naturali
– Fallimento delle politiche di adattamento e mitigazione al clima
– Crisi idriche

Anche una nuova crisi finanziaria non è improbabile, a causa dei prezzi alti degli asset e dell’indebitamento a livello globale, a cui si aggiungono una minore capacità di intervento della politica e un sistema finanziario ancora debole.
Il rapporto del Wef precede il World Economic Forum che si tiene ogni anno a gennaio nella località alpina di Davos, che quest’anno è dedicato al tema “creare un futuro condiviso in un mondo frammentato”. Sono attesi il presidente francese Emmanuel Macron e quello statunitense Donald Trump.

martedì 16 gennaio 2018

Corea del Nord, Luttwak: “È ora di bombardare”

Fonte: WSI 10 gennaio 2018, di Livia Liberatore

“È tempo di bombardare la Corea del Nord”. Così la pensa l’analista Edward Luttwak, noto per le sue tendenze guerrafondaie, che ha spiegato la sua posizione in un articolo pubblicato l’8 gennaio su Foreign Policy. Secondo Luttwak, i colloqui in corso fra Corea del Sud e Corea del Nord non porteranno a nessun risultato. La Corea del Nord ha effettuato test nucleari ripetuti negli anni dal 2006 che si sono intensificati dal 2016.
Ognuno di questi test poteva essere, scrive Luttwak, l’occasione perfetta per gli Stati Uniti per bombardare la Corea del Nord e “negare il possesso dell’atomica a quei regimi che non dovrebbero avere nemmeno armi convenzionali”.
“Fortunatamente Washington ha ancora tempo per lanciare un simile attacco e distruggere l’arsenale nucleare della Corea del Nord”, sostiene il politologo
Luttwak cerca di confutare le tesi principali che vengono opposte all’ipotesi di un bombardamento della Corea del Nord. Fra queste, il rischio di una rappresaglia con l’artiglieria convenzionale che potrebbe fare una strage nella capitale sudcoreana Seul e dintorni e mettere in pericolo la vita di 20 milioni di persone che vivono nell’area. Questa vulnerabilità non dovrebbe paralizzare gli Stati Uniti: per anni la Corea del Sud ha rifiutato di proteggersi dalla possibilità di un attacco da Nord nonostante le insistenze degli Usa. A questo punto della situazione, gli Usa potrebbero anche desistere dai tentativi di salvare la Corea del Sud e lasciarla al suo destino, sostiene Luttwak.
Il timore di una rappresaglia diretta sul territorio degli Stati Uniti non è neanche da considerare perché, secondo l’analista, la Corea non è già in possesso di missili balistici con testate nucleari che potrebbero arrivare fino agli Usa. Questa sarebbe una esagerazione o un’anticipazione di quanto potrebbe succedere senza un bombardamento della Corea del Nord in tempi rapidi.

lunedì 15 gennaio 2018

La verità sui dati della disoccupazione: il lavoro stabile è morto

Fonte: Triskell 182
Ogni mese il Partito Democratico manipola i dati Istat per coprire il massacro del lavoro portato avanti a colpi di Jobs Act e precariato. La realtà, però, è sempre la stessa: Istat conferma che a crescere sono ormai solo i posti di lavoro a termine: nell’ultimo anno, da novembre 2016 a novembre 2017, il 90,5% dei nuovi occupati è stato assunto con un contratto precario. L’obiettivo del Pd era eliminare la stabilità del posto del lavoro e ci sono riusciti.
Anche il dato sulla disoccupazione giovanile è facile da smontare: nell’ultimo anno quasi la metà del calo è dovuto all’aumento degli inattivi e all’emigrazione all’estero dei nostri giovani. Nel primo caso si tratta di 36 mila 15-24enni che hanno smesso di cercare lavoro perché scoraggiati, giovani che perderanno pian piano le competenze e le possibilità di reinserirsi nel mercato del lavoro. Nel secondo caso migliaia di studenti formati dalle nostre scuole e università sono fuggiti dall’Italia mettendo i loro cervelli a disposizione di altri Paesi. Per l’Italia è un enorme spreco di soldi e opportunità di sviluppo.
Vedremo a quali dati si attaccheranno i twittatori seriali del Pd quando la bolla del Jobs Act si sgonfierà completamente. Nel corso del 2018, infatti, gli incentivi temporanei varati nel 2015 dal governo Renzi scadranno e complice l’abolizione dell’articolo 18 molte imprese potranno licenziare con un misero indennizzo decine di migliaia di lavoratori.
Come se non bastasse, c’è il tema delle ore lavorate. Renzi sostiene di aver recuperato il numero di occupati pre-crisi. Peccato che rispetto al 2008 manchino all’appello più di 1 miliardo di ore lavorate (dati Cgia Mestre). Significa che a gonfiare il dato dei nuovi occupati sono una miriade di part-time involontari, contratti a termine e in somministrazione, cittadini che lavorano poche ore a settimana e qualche volta anche 1 sola ora, come ha riconosciuto lo stesso Istat. È lavoro, questo?

domenica 14 gennaio 2018

Meraviglie. La penisola dei tesori

Fonte: Il Contropelo sabato 6 gennaio 2018 di

E così, tra un paio di mesi, ci toccherà vedere la quarta resurrezione. E Matteo Renzi si aggiungerà ad Occhetto, D’Alema, Veltroni e Bersani nella lunga teoria degli sconfitti da Berlusconi. Un Berlusconi ormai transitato dalla chirurgia estetica alla tassidermia, identico nel colore del legno e nella conciatura della pelle alle sedie di Cantù che ornavano i tinelli del proletariato anni settanta. Accompagnato da tipi che fanno ripensare a Fini e Bossi con la reverenza che si riserva ai Pari d’Inghilterra. Siccome si tratta di un cinepanettone stravisto, dal titolo La gioiosa macchina da guerra a vocazione maggioritaria, non ci sarebbe neppure da spendere due parole per trama e critica. E tuttavia il regista è riuscito in una operazione miracolosa. Fare peggio delle altre volte. Rendersi del tutto inutile. Perchè tra tutte le scelte che troveremo sulle schede del Rosatellum, una sola non serve veramente a niente. Il voto al Pd. Perfino il voto a Liberi e uguali/Libere e uguali, se no mi si offende la Presidenta, ha un suo perchè. Abbattere Renzi, anche a costo di votare per una banda di complici,, prima e di succubi poi della globalizzazione che adesso, ci spiegano, è diventata tanto brutta, sapesse signora mia. Votare per la sedia di Cantù, è un po’ come richiamare Valcareggi dopo Ventura, serve almeno a sentirsi giovani come eravamo un quarto di secolo fa. Come su un muro sbrecciato della ex Jugoslavia “torna Tito tutto è perdonato”, torna Silvio. Condanne, mignotte, braccia destre in galera, lo spread, i caroselli e i girotondi, ci ha detto Scalfari, sono da dimenticare e noi ci fidiamo. Oh se ci fidiamo. Perchè così fermiamo i barbari, rozzi, ignoranti pentastellati. E ci prendiamo Salvini con la Meloni di contorno. Votare per i rozzi, dio se lo sono, è, sarebbe, potrebbe essere, l’unico voto utile per fermare costoro. Ma siccome non sono Macron dio ve ne scampi e liberi. Che poi non siano Macron, sarebbe tutto da vedere perchè l’odio congenito per lo Stato, inteso come erogatore di servizi e beni ce l’hanno. Mi è cascato l’occhio su un elogio di Giggino a Cottarelli e alla spending review, un ziczaccare di forbici da 50 miliardi di sprechi e corrruzzzzione che farebbe inumidire l’occhio al lugubre Monti. Ma comunque votare per loro significa, per chi lo fa, provarci. Male che vada Spelacchiati lo siamo già quasi tutti. Votare Pd non serve a niente. Non evita la vittoria di nessuno, non contribuisce alla vittoria di nessuno. Mission accomplished, indeed.

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