Fonte: Il Fatto Quotidiano Cinema | 7 gennaio 2019
Aureliano Verità
Ci
sono film che, quando esci dalla sala, ti lasciano con la sensazione
di averti preso in giro. Il problema sorge quando quello che il film
racconta è la realtà, nient’altro che la realtà. A quel punto l’essere
stati presi in giro assume una gravità ben diversa. È tutto vero, ti
ripeti in testa, perché il film fornisce dati specifici, informazioni
accurate e prove di quello che sta raccontando, ed è lì che ti senti
doppiamente raggirato, doppiamente incazzato. In quel preciso istante
il film ha funzionato, ha raggiunto il suo scopo.
È il caso di Vice – L’uomo nell’ombra, il
biopic scritto e diretto dal regista premio Oscar (per
La grande scommessa)
Adam McKay.
Sono dovuti passare oltre 17 anni dall’
attentato alle Torri Gemelle
perché un prodotto cinematografico parlasse con questa efficacia di
tutto quello che accade nel “dietro le quinte” prima e dopo quel
fatidico giorno che sconvolse l’America e di lì a poco gli equilibri
geopolitici del mondo intero. L’audace e dirompente pellicola ci regala
uno sguardo inedito, per niente tenero, sull’ascesa al potere dell’
ex vicepresidente Dick Cheney,
da stagista del Congresso a uomo più potente del pianeta. Un
personaggio che, all’ombra dei grandi Presidenti americani che si sono
succeduti nel corso degli ultimi 50 anni, ha saputo influenzare scelte
politiche e militari, cambiando di fatto la fisionomia del mondo che
conosciamo oggi.
A prestare il volto e il fisico in tutta la sua abbondanza c’è un altro Premio Oscar,
Christian Bale,
che ha dato nuovamente prova del suo trasformismo maniacale, arrivando
a lavorare con un nutrizionista per prendere peso in maniera salutare e
con un
vocal coach per poter adattare la sua voce il più
fedelmente possibile a quella di Cheney. Per il regista non c’erano
dubbi, questo ruolo doveva essere affidato a Bale per poter rispecchiare
un personaggio così spinoso, e aveva ragione. Ma McKay ha puntato in
alto non perdendo di vista le altre figure chiave che ruotano attorno al
protagonista, accompagnandolo sul grande schermo con un cast stellare
che include
Steve Carell, nel ruolo dell’affabile e senza scrupoli
Donald Rumsfeld,
Amy Adams nei panni di
Linney, la determinata moglie di Cheney e il premio Oscar
Sam Rockwell, nel ruolo di
George W. Bush, anche lui spaventosamente fedele all’originale.
McKay
per poter realizzare un film su un personaggio così controverso ha
dovuto documentarsi a fondo, non solo su Cheney, ma anche sul concetto
allargato di
potere. Il risultato è una sceneggiatura
che raggiunge un’altissima carica emotiva e allo stesso tempo fornisce
una rappresentazione storica accurata, dandoci modo di comprendere come
siamo arrivati al momento storico attuale, con quali scelte politiche,
mosse da quali interessi specifici, offrendoci una connessione
articolata tra il passato, il presente e il probabile futuro che ci
aspetta.
Attraversando mezzo secolo, l’ambizioso e spietato viaggio di Cheney da operaio elettrico in
Wyoming a (Vice) Presidente degli
Stati Uniti, ci regala una visione più chiara del suo percorso, attraverso l’uso sconsiderato del potere istituzionale, infiltrandosi a
Washington prima con
Nixon, poi come Capo di Gabinetto della
Casa Bianca sotto
Gerald Ford
e, dopo cinque mandati nel Congresso come Segretario alla Difesa per
George W. Bush, addirittura come suo Vice, con un inedito controllo sui
poteri esecutivi. Senza dimenticare il ruolo chiave ricoperto da Cheney
come Ceo della
Halliburton, la compagnia petrolifera che dalla guerra in Iraq trasse enormi profitti.
L’intento,
magistralmente riuscito, di McKay era quello di raccontare la
cronologia storica che ha portato a questa situazione, ed è riuscito a
farlo confezionando
un film perfetto in tutto, con
continue allusioni che al pubblico possono arrivare o meno, non importa,
l’obbiettivo è far riflettere. Prima fra tutte la metafora dell’esca,
fil rouge
dell’intera pellicola. Cheney era un appassionato di pesca con la
mosca, uno sport che richiede estrema pazienza e strategia. Lui ha
saputo attendere virtuosamente, portando all’amo la sua ricompensa più
ambita, tutti noi.
Le
manovre politiche
di Cheney hanno modificato il panorama geopolitico americano e
mondiale in modi che continueranno a riecheggiare per i decenni a
venire e questo film è un memorandum per comprendere meglio il futuro
verso il quale ci stiamo affacciando.