giovedì 10 gennaio 2019

Altro che Fed: ecco il vero motivo per cui Wall Street è crollata a dicembre

Fonte: W.S.I. 10 gennaio 2019, di Mariangela Tessa

È stata la paura di un rallentamento degli utili, più del timore delle strette monetarie della Fed ad alimentare le vendite alla Borsa di New York. È questa l’opinione prevalente tra i trader per giustificare il crollo dei mercati azionari americani di dicembre. La prova è arrivata dalla serie di profit warning degli ultimi giorni: Apple e Samsung prima di tutto.
In un contesto di maggiore pessimismo sulle sorti della Borsa, Barclays ha tagliato il suo obiettivo di prezzo S & P 500 per il 2019 a 2.750 da 3.000, abbassando allo stesso tempo le previsioni degli eps a $ 171 da $ 176.
In un’intervista alla CNBC, Michael Wilson, di Morgan Stanley, ha confermato di aver lasciato invariato il suo obiettivo di prezzo S & P a 2.750.
“Tutte le cose di cui siamo preoccupati sta iniziando a venire a galla”.
Secondo le stime di FactSet, nel quarto trimestre,  72 società dello S & P 500 hanno lanciato profit warning sugli utili, il doppio rispetto a quelle che hanno emesso indicazioni positive.  Allo stesso tempo, la società di studi finanziari ha previsto una crescita degli utili poco superiore al 15% per il quarto trimestre, sotto il 25 percento segnato per ciascuno dei tre trimestri precedenti.
Peggio andrà nei prossimo tre trimestri, quando gli analisti mettono in conto una crescita degli utili a una cifra. La media degli esperti sentiti da CNBC stimano utili per il primo trimestre del 2,9%, del 3,7% nel secondo trimestre e del 4,3% nel terzo.
“Negli ultimi tre mesi del 2018, i mercati non valutano una crescita degli utili, e forse addirittura una crescita negativa, nel 2019″, ha dichiarato Nick Raich di Earnings Scout. “La buona notizia è che i mercati hanno scontato queste stime”.
Le azioni sono rimbalzate fino a questo momento nel 2019, in quanto gli investitori scommettono che le cattive notizie ancora da venire in questa stagione di guadagni sono valutate. Dobbiamo solo vedere.

mercoledì 9 gennaio 2019

Vice, la vera storia del braccio destro di George W. Bush è un film che ti lascia inerme

Fonte: Il Fatto Quotidiano Cinema | 7 gennaio 2019 
Ci sono film che, quando esci dalla sala, ti lasciano con la sensazione di averti preso in giro. Il problema sorge quando quello che il film racconta è la realtà, nient’altro che la realtà. A quel punto l’essere stati presi in giro assume una gravità ben diversa. È tutto vero, ti ripeti in testa, perché il film fornisce dati specifici, informazioni accurate e prove di quello che sta raccontando, ed è lì che ti senti doppiamente raggirato, doppiamente incazzato. In quel preciso istante il film ha funzionato, ha raggiunto il suo scopo. È il caso di Vice – L’uomo nell’ombra, il biopic scritto e diretto dal regista premio Oscar (per La grande scommessa) Adam McKay.
Sono dovuti passare oltre 17 anni dall’attentato alle Torri Gemelle perché un prodotto cinematografico parlasse con questa efficacia di tutto quello che accade nel “dietro le quinte” prima e dopo quel fatidico giorno che sconvolse l’America e di lì a poco gli equilibri geopolitici del mondo intero. L’audace e dirompente pellicola ci regala uno sguardo inedito, per niente tenero, sull’ascesa al potere dell’ex vicepresidente Dick Cheney, da stagista del Congresso a uomo più potente del pianeta. Un personaggio che, all’ombra dei grandi Presidenti americani che si sono succeduti nel corso degli ultimi 50 anni, ha saputo influenzare scelte politiche e militari, cambiando di fatto la fisionomia del mondo che conosciamo oggi.
A prestare il volto e il fisico in tutta la sua abbondanza c’è un altro Premio Oscar, Christian Bale, che ha dato nuovamente prova del suo trasformismo maniacale, arrivando a lavorare con un nutrizionista per prendere peso in maniera salutare e con un vocal coach per poter adattare la sua voce il più fedelmente possibile a quella di Cheney. Per il regista non c’erano dubbi, questo ruolo doveva essere affidato a Bale per poter rispecchiare un personaggio così spinoso, e aveva ragione. Ma McKay ha puntato in alto non perdendo di vista le altre figure chiave che ruotano attorno al protagonista, accompagnandolo sul grande schermo con un cast stellare che include Steve Carell, nel ruolo dell’affabile e senza scrupoli Donald Rumsfeld, Amy Adams nei panni di Linney, la determinata moglie di Cheney e il premio Oscar Sam Rockwell, nel ruolo di George W. Bush, anche lui spaventosamente fedele all’originale.
McKay per poter realizzare un film su un personaggio così controverso ha dovuto documentarsi a fondo, non solo su Cheney, ma anche sul concetto allargato di potere. Il risultato è una sceneggiatura che raggiunge un’altissima carica emotiva e allo stesso tempo fornisce una rappresentazione storica accurata, dandoci modo di comprendere come siamo arrivati al momento storico attuale, con quali scelte politiche, mosse da quali interessi specifici, offrendoci una connessione articolata tra il passato, il presente e il probabile futuro che ci aspetta.
Attraversando mezzo secolo, l’ambizioso e spietato viaggio di Cheney da operaio elettrico in Wyoming a (Vice) Presidente degli Stati Uniti, ci regala una visione più chiara del suo percorso, attraverso l’uso sconsiderato del potere istituzionale, infiltrandosi a Washington prima con Nixon, poi come Capo di Gabinetto della Casa Bianca sotto Gerald Ford e, dopo cinque mandati nel Congresso come Segretario alla Difesa per George W. Bush, addirittura come suo Vice, con un inedito controllo sui poteri esecutivi. Senza dimenticare il ruolo chiave ricoperto da Cheney come Ceo della Halliburton, la compagnia petrolifera che dalla guerra in Iraq trasse enormi profitti.
L’intento, magistralmente riuscito, di McKay era quello di raccontare la cronologia storica che ha portato a questa situazione, ed è riuscito a farlo confezionando un film perfetto in tutto, con continue allusioni che al pubblico possono arrivare o meno, non importa, l’obbiettivo è far riflettere. Prima fra tutte la metafora dell’esca, fil rouge dell’intera pellicola. Cheney era un appassionato di pesca con la mosca, uno sport che richiede estrema pazienza e strategia. Lui ha saputo attendere virtuosamente, portando all’amo la sua ricompensa più ambita, tutti noi.
Le manovre politiche di Cheney hanno modificato il panorama geopolitico americano e mondiale in modi che continueranno a riecheggiare per i decenni a venire e questo film è un memorandum per comprendere meglio il futuro verso il quale ci stiamo affacciando.
Cinema | 7 gennaio 2019

lunedì 7 gennaio 2019

Grecia, altro che successo. Il Paese affonda e Tsipras distribuisce regali

Fonte: Il Fatto Quotidiano Zonaeuro | 6 gennaio 2019 

Il debito greco è al 178% del prodotto interno lordo: altro che successo, se si valutassero gli indici economico-finanziari si potrebbe azzardare che un nuovo default è non solo possibile ma anche probabile per la Grecia. Se ne sta accorgendo anche la stampa internazionale che il premier Alexis Tsipras, in vista delle elezioni anticipate (possibili a maggio con le europee), sta iniziando a distribuire prebende e bonus che però inficiano i conti pubblici già azzoppati dalle ruberie ante 2010 e dall’austerità post crisi.
Il nodo è sempre lo stesso: la politica non azzarda una mossa perché studiata, programmata e finalizzata verso un obiettivo di crescita ma solo perché tarata sulle prossime urne, contribuendo a peggiorare lo status quo e illudendo ancora una volta cittadini e imprese. La Grecia è sì ufficialmente uscita dal programma di prestiti della troika (Ue, Fmi e Bce) ma è attesa dalla prova del nove: riuscirà ad autofinanziarsi per “mandare avanti la baracca”? Potrà venire fuori dalla paralisi in cui versa la sua economia, asfittica, gravata oggi da una pressione fiscale record e senza un euro investito in formazione e sviluppo tecnologico?
I super poveri hanno ricevuto un bonus natalizio, inoltre il governo offre contributi per olio combustibile e carburante, per la tassa di proprietà, per il salario minimo, per gli agricoltori. E i tagli alle pensioni previsti per il primo gennaio, almeno fino a oggi non sono stati confermati. In sostanza il governo di Atene fa vedere all’Europa un surplus che nella vita reale di cittadini e imprese semplicemente non c’è, con il rischio di far scattare le clausole di salvaguardia, che tradotto in soldoni vuol dire più tasse per il futuro senza una ripresa vera (oggi altamente improbabile). Ma alla classe dirigente, sciatta e senza visione, ciò non interessa, perché orientata sulla cosiddetta politica dello specchietto retrovisore. Persino l’Albania ha accusato una crescita doppia rispetto alla Grecia, figlia di una programmazione orientata all’ingresso nell’Ue, a favorire l’ingresso di investitori stranieri, all’internazionalizzazione degli atenei, a una nuova infrastrutturazione come aeroporti da far realizzare ex novo a quei player che intendono affacciarsi sul costone Balcanico con un determinato peso specifico.
Il dramma ellenico è tutto in questo grottesco pertugio che si farà (di nuovo) straordinaria voragine: e investe, quindi, la futura infrastrutturazione dell’Ue.  Non solo debiti alle stelle, prestiti in rosso, sofferenze bancarie diversificate, tessuto imprenditoriale ormai inesistente: ma buio pesto tanto sul presente quanto sul futuro. Certo, alla Grecia resta il turismo. Ma quanto è stolto quel marinaio che, anziché puntare al mare aperto in cerca di nuove terre, si accontenta del suo piccolo ruscello. Che finisce per prosciugarsi.
Twitter @FDepalo

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