venerdì 4 novembre 2016

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un momento di rfilessione sulla realtà di internet...
buon weekend

giovedì 3 novembre 2016

Andarci piano con le narrazioni

«Choose hope», ha ripetuto cinque volte Obama ieri nell’Ohio, stato in bilico e forse decisivo, dove oggi è favorito Trump.
Hope, speranza, è stata del resto la parola chiave della sua prima elezione, otto anni fa. E di speranza era diffusa in effetti tanta parte d’America, in quei giorni, da Harlem ai sobborghi di Los Angeles.
Oggi Obama prova a rinverdirla e la enfatizza contrapponendola a fear, paura, con cui identifica Donald Trump: paura degli immigrati, paura degli islamici, paura della Cina, paura in generale da tutto quello che sta fuori dal proprio sicuro cortile, con la bandiera americana che sventola al balconcino. «Speranza e paura sono entrambe sulla scheda elettorale», dice il presidente uscente. Intendendo rispettivamente Hillary e Trump.
È una chiave interpretativa, una narrazione politica. Personalmente, spero che prevalga. Eppure sarebbe cieco non vedere che, rispetto a otto ani fa, è molto indebolita.
E non solo perché la fredda e pragmatica Hillary tutto ispira tranne grandisperanze di cambiamento: magari evoca efficienza, solidità, know how, equilibrio, esperienza, perfino saggezza. Ma certo non fa immaginare un futuro radicalmente migliore dello status quo.
Ma non è solo per questo, ripeto, che la narrazione di Obama (hope versus fear) rischia di zoppicare.
È anche perché Donald Trump incamera, accanto alla paura di tutto ciò che si è detto, anche un altro sentimento perfino più devastante: che è la rabbia. Rabbia verso un mondo sempre più complicato, liquido, imprevedibile, ingovernabile, indecifrabile; verso poteri sempre più impalpabili, lontani, astratti eppure decisivi nell’impattare sulla nostra esistenza; rabbia verso il rovesciamento di una dinamica che da quasi un secolo l’Occidente credeva eterna, cioè il miglioramento delle proprie condizioni di vita, generazione dopo generazione, emancipazione dopo emancipazione.
Negli Stati Uniti, otto anni di presidenza Obama sono stati buoni o ottimi per tanti motivi: la riforma sanitaria, la gestione dalla crisi del 2008-2009, la spinta verso la green economy, il disimpegno dalle folli guerre di Bush, il ritorno al multilateralismo nei rapporti internazionali, la battaglia culturale contro le armi diffuse e altro ancora. Eppure (cito Mark Lilla) «l’America oggi è molto più divisa, con un gap sempre più grande tra i super ricchi e una classe media impoverita». E (anche) di qui la rabbia.
Ma c’è un elemento in più, in tutto questo. E cioè che la rabbia, spesso, è anche il risultato di una speranza delusa. Di un’aspettativa disattesa. Tanto maggiore era la speranza, quanto più facile è che questa si trasformi in rabbia. Nessuno dotato di buon senso può pensare che Donald Trump possa essere un bravo presidente. Ma la rabbia a volte se lo mangia, il buon senso.
E qualcosa di simile, se guardate bene, sta succedendo anche in Europa. In Francia, ad esempio: basta guardare com’è finito François Hollande, che tante speranze aveva suscitato all’inizio del suo mandato. Ma anche Alexis Tsipras in Grecia, diciamolo.
E in Italia?
Anche da noi il grande cambio generazionale, stilistico e cognitivo successivo alle primarie del Pd e alla caduta prima di Berlusconi poi del governo Letta aveva creato attese quasi messianiche. Che sono emerse in modo trasparente nel 40 e passa per cento raccolto dall’homo novus tre mesi dopo essere diventato premier. Oggi, si sa, le cose stanno molto diversamente. La diffidenza e la rabbia prevalgono.
Il paradosso del politico è che – proprio nell’era delle narrazioni – deve andarci molto piano con le narrazioni. Perché poi queste rischiano di rovesciarsi nel loro opposto. E di rivoltarsi contro chi le ha narrate – o contro la sua parte.
Oggi vale per Obama, Hollande, Tsipras, Renzi. Domani varrà per i loro successori. A cui si può solo consigliare una radicalità d’azione inversamente proporzionale alla illusorietà narrativa.
Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
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non potrei essere più d'accordo con l'Autore del post!!!!! Peccato che la narrazione di Obama venga da uno che aveva promesso di:
  1. chiudere guantanamo;
  2. portare la sanità ai poveri (senza regali per le assicurazioni);
  3. ridare speranze di futuro ai giovani americani (non mantenute);
  4. ricostruire il paese dopo i furti fatti dai CEO delle varie agenzie a spese dei cittadini;
ecc. ecc. addirittura aveva avuto il Premio Nobel, ma in realtà non si è allontanato per nulla dai suoi esimi predecessori e non c'è motivo di pensare che se vincesse la Clinton si cambi registro, anzi... c'è da scommettere sull'aggressività degli USA nei confronti del blocco russo-cinese e l'accentuazione della presa sul vecchio mondo da usare come una clava e come teatro di un eventuale guerra contro l'est (proprio come aveva predetto Orwell c'è da scommettere sull'uso interno di una siffatta guerra); come c'è da scommettere che non uno ma entrambi gli occhi saranno chiusi sul finanziamento dei paesi arabi moderati/amici (e finanziatori della campagna elettorale della stessa Clinton) ai terroristi islamici; aumenterà anche la pressione sull'Iran per isolarlo ulteriormente e provocarlo.... soprattutto se cade Assad.
Ripeto: c'è da augurarsi che sia Trump a vincere non foss'altro perchè isolerà il suo paese o almeno ne ridurrà la presenza ingombrante sui vari scenari del pianeta....

mercoledì 2 novembre 2016

Referendum costituzionale

Referendum costituzionale: vince il Sì, Renzi campione del mondo e Farinetti al Quirinale
di | 2 novembre 2016 dal Fatto Quotidiano

Mettetevi l’animo in pace: il 4 dicembre vincerà il Sì. Non v’è nessun dubbio. Il Sì trionferà con agio, in scioltezza atarassica. Chi spera nella vittoria del No è meno lucido di chi, prima delle Europee 2014, blaterava #vinciamonoi. Vi spiego brevemente perché vincerà il Sì e poi basta: non ne scriverò mai più, né qui né sulla mia pagina Facebook.
1. Alcuni sondaggi danno il No in vantaggio, ma sono irrilevanti. Anche i 5 Stelle due anni fa dovevano superare Renzi, che invece poi li ha maciullati. Accadrà lo stesso il 4 dicembre. Il No ha già raggiunto l’apice, il Sì crescerà sempre di più.
2. E’ verosimile che il Sì non vincerà con un margine ampio, ma questo risulterà ancora più sublime per Renzi. Un po’ come – per un tifoso della Fiorentina – vincere rubando con la Juve. La vittoria risicata del Sì (tipo 52%) farà soffrire ancora di più i sostenitori del No e indurrà Marchionne a organizzare cortei vestito da Costantino della Gherardesca.
3. Se si renderanno conto che potrebbe vincere davvero il No, ritarderanno la votazione (il ricorso Onida, il terremoto, le cavallette). Infatti ci stanno provando. Oppure invalideranno il voto.
4. Se non potranno invalidare il voto, faranno comunque passare la riforma per altre vie. In Italia, da sempre, si è soliti lasciare pochi mesi per poi fare l’esatto contrario che gli italiani avevano scelto al referendum (nucleare, acqua pubblica, abolizione di Pistocchi, eccetera).
5. Vincerà il Sì perché quattro italiani su cinque, ma credo anche di più, non sanno nulla della riforma se non che “se vince il Sì si risparmierà qualcosa e cambieremo”. Quelli che votano per sentito dire voteranno Sì. E quelli che votano per sentito dire sono la maggioranza del paese. Vaglielo a spiegare, che “cambiare” così la Costituzione è come risolvere un piccolo problema al pavimento del bagno bombardandolo col napalm.
6. Vincerà il Sì perché c’è il Tg1.
7. Vincerà il Sì perché il Pd, inteso come partito e come elettorato, voterà compatto “Sì” anche se Renzi gli sta sulle palle e della riforma non ama molte cose. (E allora perché voterà Sì? Per obbedienza al partito e al capo. Per la fedeltà a una linea che non c’è. Insomma, per tifo).
8. Vincerà il Sì perché la maggioranza silenziosa, quella che va a votare prima di comprare le paste e andare a pranzo la domenica dalla suocera, voterà Sì senza sapere una mazza del quesito referendario. E’ la stessa gente che votava Andreotti, Craxi e Berlusconi, ma se glielo dicevi ti rispondeva: “Ma chi? Io? Mai votati quelli lì”. Con Renzi è e sarà lo stesso.
9. Vincerà il Sì perché quasi tutta l’informazione è per il Sì e l’opera di rincoglionimento, nell’ultimo mese, sarà oltremodo martellante. Preparatevi: sangue e andrearomani ovunque.
10. Vincerà il Sì perché, ogni giorno, Renzi prometterà qualcosa. Come sempre. Più di sempre. E ci metterà dentro pure il terremoto, lasciando intendere che chi vota No è un insensibile che balla sulle macerie mentre lui è il Pingue Redentore.
11. Vincerà il Sì perché, in Italia, il godimento politico è negato e tutto è dolore: se una cosa può andare storta, ci va. Ci andrà. Ora e sempre. Abbandonate ogni speranza voi che sognate. Renzi campione del mondo.
Dopo la vittoria del Sì, Renzi & renzini festeggeranno per mesi. Nel 2018 Matteo dominerà le elezioni e nei successivi cinque anni governerà come un despota diversamente illuminato. Durante il quinquennio prenderà altri 47 chili, tutti peraltro sul mento, ma ciò non gli impedirà di vincere i 100 metri alle Olimpiadi, di ottenere il Grande Slam nel 2021 (6-0 6-1 6-2 in finale a Wimbledon su Seppi) e di conquistare l’Oscar come migliore attore protagonista nel remake di Ufficiale e gentiluomo (lui nella parte di Richard Gere e Travaglio in quella dell’odioso sergente cattivo Emil Foley). Rondolino dirigerà il Tg1, la Meli il Tg2 e Nardella si autoeleggerà unico discendente dei Medici. Il Tg3 verrà abolito e sostituito con Tele Fava, che trasmetterà la vita di Renzi 24 ore su 24. Nel 2023 la Boschi sarà la prima presidente del Consiglio donna, Ministro degli Interni Picierno e Presidente della Camera Baricco. Al Quirinale dopo Mattarella salirà Oscar Farinetti, mentre i cinque senatori a vita del nuovo dopolavoro (ex Senato) saranno Benigni, Jovanotti, Sorrentino, Carlo Conti e Daria Bignardi. Fassino verrà messo a capo della Protezione Civile, giusto premio per la sua preveggenza. Il renzismo durerà 47 anni, al termine dei quali Matteo cederà il potere al nipote Piersilvio Amintore, che nascerà nel 2028. Ah, dimenticavo: Orfini verrà eletto Mister Universo e vincerà il Pallone d’oro. Durante la premiazione, Michel Platini non mancherà di definirlo “il nuovo Maradona”. Fabio Caressa converrà e ci farà uno special di 7 giorni su Sky.
Mentre tutto questo accadrà, io ascolterò The Wall dei Pink Floyd. Anzi The Final Cut, forse più appropriato. Un abbraccio e buona catastrofe. Quando tornate a casa, date una carezza ai vostri figli e ditegli: “E’ da parte di Verdini”. Lui apprezzerà. Forse.
P.S. Ribadisco: non scriverò mai più nulla sull’argomento referendum. Ricordatevelo, quando la domenica del voto i renzini grideranno “Campioni del mondo”, la Meli farà uno strip rimanendo in ciabatte fucsia da Vespa e su Twitter i trending topics saranno #bastaunsì, #travagliosuka, #scanzipocciaqua e #renzifigodamorire.
di | 2 novembre 2016

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siamo ai confini della realtà o a quelli della fiction?

martedì 1 novembre 2016

Ieri e oggi

lunedì 31 ottobre 2016

Brexit e immigrati, ‘You are no longer welcome’: come è cambiato (in peggio) il Regno Unito

di | 31 ottobre 2016 dal Fatto Quotidiano

di Paola Tamma *
In attesa che Londra emetta chiare garanzie, 3 milioni di europei residenti nel Regno Unito vivono in un clima di crescente intolleranza e paura. 162,000 sono italiani.
“Welcome to the UK” – l’onnipresente cartello al controllo immigrazione pare una battuta crudele. Dal 23 giugno scorso si susseguono le minacce del governo inglese nei confronti dei residenti stranieri. Amber Rudd, ministra dell’Interno, ha proposto che le imprese pubblichino un registro degli impiegati stranieri, subito paragonato alle stelle di David imposte agli ebrei dalle leggi razziali. In seguito alle critiche Rudd ha ritirato la proposta.
Liam Fox, ministro per il Commercio internazionale, ha chiamato i cittadini europei un “asso nella manica” nei negoziati con l’Ue, vera e propria merce di scambio per mantenere l’accesso al mercato unico.
Mercoledì scorso Theresa May ha dichiarato che limiterà la libertà di movimento. “Chi è già qui è al sicuro, una deportazione di massa sarebbe illegale oltre che impraticabile” rassicura Claire de Than, docente di legge alla City University. Ma aggiunge: “L’opzione più sicura rimane fare domanda di cittadinanza, o sposare un cittadino britannico”. Per ottenere il diritto definitivo di residenza bisogna documentare cinque anni di permanenza continua nel Regno Unito e pagare £ 1,875, + 42% rispetto al 2014. Molti non possono permettersi il costo o non soddisfano i requisiti minimi. May, ex ministra dell’Interno nel precedente governo Cameron, ha alzato a gennaio 2016 tutte le tasse relative all’immigrazione, forse in previsione di una pioggia di richieste in seguito al referendum.
Val S., un’infermiera romena di 43 anni nel Regno Unito da 10, si dice “forzata a richiedere la residenza, altrimenti non so cosa succederà alla mia famiglia”. Il suo caso dimostra la cecità del governo: oltre il 17% del personale ospedaliero è di origine straniera, fino a 26% per i medici. Senza Val e i suoi colleghi la sanità inglese crollerebbe.
Chi non rischia il rimpatrio subisce pressioni di altro tipo. Helene L., arrivata dalla Francia nel 2007, teme di perdere il lavoro: “I miei superiori vogliono ridefinirsi come ‘impresa al 100% British’. Non fanno altro che chiedermi quando tornerò a casa e quand’è l’ultima volta che sono andata in Francia. Per loro, spendere qualche giorno all’anno in Francia dimostra che ‘non sono abbastanza dedicata a questo paese’.”
Le famiglie miste sono sotto stress. Lo scozzese Andrew Walker ha subito un attacco verbale sul bus per aver parlato con la moglie in finlandese: “Non mi sento a casa, mia moglie è Finlandese ed il suo diritto di residenza è minacciato. Non riconosco più questo Paese o i suoi valori. Penso di lasciare il Regno Unito, non è più un paese per giovani”.
Molti, come l’austriaca Barbara M., evitano di parlare la propria lingua in pubblico: “Il mio compagno ed io siamo madrelingua tedeschi. Viviamo in un’area che ha votato a maggioranza per Brexit, ed evitiamo di parlare tedesco al supermercato. I vicini mi dicono che io sono una ‘brava persona’ perché pago le tasse, il problema sono ‘tutti gli altri immigrati’”.
Sono tutti segni di crescente intolleranza, sdoganata dalla retorica nazionalista del governo. La campagna pro-Brexit ha usato l’immigrazione come capro espiatorio in un Paese fortemente diviso e provato da continui tagli alla spesa pubblica. Ad oggi il governo continua a fomentare l’odio per lo straniero, mantenendo sulle spine milioni di cittadini europei che non hanno potuto votare al referendum pur subendone le conseguenze. “Molti se ne stanno già andando. Se il governo non vuole causare un esodo di lavoratori qualificati deve fornire garanzie chiare, e subito”, urge De Than.
Da terra delle opportunità, mèta di moltissimi giovani Europei in cerca di futuro, il Regno Unito si sta ripiegando su sé stesso in una mossa autolesionista oltre che retrograda. Chi arriva qui in cerca di futuro non si faccia ingannare dal cartello: you are no longer welcome.
brex
Fonte: data.gov.uk, 2014* studentessa di giornalismo investigativo presso la City University (Londra) 
di | 31 ottobre 2016
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che significa risvegliare gli odi, vero? Io non sono un europeista, anzi ma non sono certo fautore di società distopiche come quella che rischia di prospettarsi nel Regno Unito dopo la Brexit... se metti nelle mani dei reazionari la pancia della gente questi sono i risultati, anche se forse dovremmo ascrivere alla Thatcher, quanti danni che ha fatto, i mali attuali: timorosa di vedere una Germania forte decise, con la sponda di Mitterand, di accelerare i tempi dell'unificazione europea (che prevedeva tempi ben più lunghi visto che alla base le economie dovevano convergere fra loro per il 2020) tenendo ben fuori il suo paese naturalmente: son sempre inglesi, no? Si sbagliava e di grosso perchè proprio questa manovra fece si che non solo la Germania ne fece tesoro ma, già con il marco forte, divenne l'economia di riferimento del vecchio mondo e con l'euro vede affermata la propria egemonia facendo il bello e il cattivo tempo ovunque...Grecia docet mi pare.
Sapete cosa mi ricorda questa evoluzione, si fa per dire, del regno unito? Un romanzo, da cui hanno tratto anche un bel film, ossia 'I figli degli uomini'; da leggere.

domenica 30 ottobre 2016

il mostro c'è ancora...


Parole più efficaci il Sindaco di amatrice non poteva usare perchè rende benissimo l'idea di quanto accade allo Stivale o meglio alla sua parte centrale laddove dove, probabilmente, maggiore è la pressione dello scontro fra le due placche, eurasiatica e, dove sta l'italia (con buonapace dei leghisti) africana..... 6.5 scala Richter la punta ma poco prima 5.9: un vero dramma per le popolazioni e la prova che la faglia che si è messa in movimento non ha ancora finito di, diciamo così, fare danni in superficie: laddove le abitazioni avevano resistito ora sono inagibili; quindi i problemi aumentano così come il conto dei danni e di, conseguenza, della ricostruzione che si auspica non sia come quelle repcedenti: un enorme spottone per i governi e una presa in giro, e come nel caso de L'Aquila, per le popolazioni.
Il numero della Protezione Civile 45500 è stato riattivato!
Telefonate Gente
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