sabato 13 marzo 2021

Vaccino Covid, l’Ue predilige i profitti delle multinazionali contro la vita

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Fabio Marcelli Giurista internazionale Mondo - 13 Marzo 2021

Non ci sono parole per definire la prevedibile scelta dell’Unione europea di anteporre i profitti delle multinazionali chimico-farmaceutiche ai diritti alla salute e alla vita dei suoi cittadini e di quelli del pianeta più in generale. Questa infausta presa di posizione segna l’epilogo definitivo di una tristissima vicenda e il naufragio delle speranze malriposte da qualche troppo ingenuo o troppo furbo politicante nei confronti della signora Ursula von der Leyen.

Il punto decisivo è stato la scelta di respingere la proposta formulata da India, Sudafrica, Venezuela ed altri Stati di derogare, di fronte al dilagare della pandemia Covid e delle sue micidiali varianti, al regime di difesa rigida della proprietà intellettuale delle multinazionali che possiedono i brevetti relativi ai vaccini da impiegare contro il Covid. La proposta era stata formulata in seno all’Organizzazione mondiale del commercio ed è stata respinta coi voti di tutto l’Occidente capitalistico, Stati Uniti e Unione europea in prima fila, che hanno goduto dell’appoggio determinante del presidente brasiliano Bolsonaro, deferito alla Corte penale internazionale qualche tempo fa per l’effetto genocida delle sue deliberate e scellerate politiche di minimizzazione del rischio rappresentato dalla pandemia in corso, che sta mietendo milioni di vittime in tutto il pianeta e ne ha provocate, ad oggi, oltre 270mila nel suo Paese.

E’ evidente come l’ostacolo rappresentato dai brevetti impedisca la produzione del vaccino in tutto il mondo e quindi una risposta adeguata specialmente da parte dei Paesi più poveri e bisognosi, dato che i vaccini sono concentrati nelle aree più ricche del pianeta. Dato il carattere contagioso del virus, si tratta non solo di un attacco alla vita e alla salute altrui ma anche a quelle proprie.

La Commissione europea aveva del resto da tempo dimostrato la propria totale subalternità alle lobby farmaceutiche, concludendo accordi fallimentari e per di più secretati in loro clausole essenziali, colle multinazionali attive nel settore, che avevano poi deciso e continuano a decidere di dirottare i propri prodotti, comunque insufficienti rispetto agli enormi bisogni esistenti, su offerenti migliori e disposti a pagare prezzi più elevati. Per non parlare delle davvero allarmanti notizie relative alla stessa sicurezza dei vaccini, su cui hanno aperto da ultimo delle inchieste alcune Procure italiane.

Come da tempo denunciato, siamo completamente in balia di organizzazioni guidate dall’esclusivo proposito di aumentare i propri già enormi profitti e non già da quello di debellare il virus in nome del bene comune e del diritto alla salute e alla vita di tutti gli abitanti del pianeta. Esistono già oggi alternative praticabili, come i vaccini cinesi, cubani e russi, ma il bieco servilismo atlantico dei governi europei e di quello guidato da Mario Draghi in particolare impedisce di ricorrervi.

E’ infatti evidente come il governo Draghi, che ha enunciato l’atlantismo e l'”europeismo” (alla von der Leyen & C.) come fari ispiratori della propria politica estera, si asterrà dall’intraprendere cooperazioni indispensabili nel campo della ricerca e della produzione di vaccini ed altri presidi sanitari necessari a combattere la pandemia colla Cina, colla Russia e con Cuba, salvo poi permettere che determinate proprie appendici stremate ricorrano alle brigate mediche cubane, com’è avvenuto in Lombardia e Piemonte in primavera, ma già ce ne siamo dimenticati.

Nei tragici attuali frangenti del dilagare della pandemia si conferma l’irriducibile antinomia fra il capitalismo, specie quello delle rendite, sia finanziarie sia legate alle privative industriali e alla proprietà intellettuale, da un lato e la vita dall’altro. La Commissione europea continua a scegliere di privilegiare il capitalismo contro la vita, dato il peso delle lobby che da tempo immemorabile infiltrano le istituzioni di Bruxelles e ne condizionano l’agire quotidiano, nonché quello del credo neoliberista che pervade fino al midollo i leader di quest’Europa, con in testa la von der Leyen, Macron, Merkel e Draghi. Camicie di forza asfissianti che vanno distrutte al più presto, prima che distruggano la nostra vita e la nostra salute.

Capitalismo ed atlantismo vanno superati, derogando ai brevetti e instaurando una vera e propria cooperazione globale affinché tutte le energie del pianeta siano dedicate a sconfiggere il virus, come richiesto del resto dall’Organizzazione mondiale della sanità. Non è questa a quanto pare l’opinione di lorsignori, interessati più a contare i quattrini che entrano in tasca a Big Pharma che le vittime che continuano a morire come mosche in tutto il mondo ogni giorno.

mercoledì 10 marzo 2021

“In un anno arretrata la speranza di vita guadagnata in un decennio”.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano | 10 Marzo 2021

 

I 100mila morti per Covid in Italia all’8 marzo sono la fotografia dello tsunami che il coronavirus ha scatenato sulle nostre vite. Un’onda travolgente che ha investito anche il futuro. La pandemia “ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio. È un arretramento che richiederà parecchio tempo per essere pienamente recuperato”, afferma il decimo Rapporto Bes dell’Istat sul benessere equo e sostenibile, rilevando che nel 2010 la speranza di vita alla nascita era di 81,7 anni, nel 2019 di 83,2 e nel 2020 il dato è sceso a 82,3. Gli indicatori hanno registrato impatti particolarmente violenti su alcuni progressi raggiunti in dieci anni sulla salute, annullati in un solo anno” ha detto il presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo. Del resto i morti per il virus il doppio di quelli di Aids, 34 volte quelli del terremoto dell’Irpinia, 50 volte quelli del Vajont, 300 volte quelli de l’Aquila. Solo per far un paragone con eventi che sono impressi nella memoria collettiva.

Nel 2020 il 44,5% della popolazione esprime un voto tra 8 e 10 sulla soddisfazione della propria vita, in leggero aumento rispetto all’anno precedente (43,2%). Si mantengono le differenze territoriali, con una maggiore percentuale di soddisfatti al Nord (48,4%), quasi quattro punti percentuali in più della media nazionale, e livelli più bassi al Centro e nel Mezzogiorno (43% e 40%). Nel nostro Paese la soddisfazione per la vita rimane diseguale non solo tra territori ma anche per titolo di studio conseguito, età e, sia pure in misura minore, tra uomini e donne.

E nel periodo in cui l’emergenza provocata dalla pandemia ha costretto alla chiusura delle scuole di ogni ordine nelle zone rosse non può non preoccupare la riflessione sui dati che mostrano le diseguaglianze nello studio: “In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata. Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere – prosegue – dipende ancora in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive. La pandemia del 2020, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari e lo spostamento verso la didattica a distanza, o integrata, ha acuito le disuguaglianze”.

L’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità. Del resto un terzo delle famiglie in Italia non dispone di un accesso ad internet da casa e di almeno un computer. Il rapporto descrive comunque come “notevolmente migliorata” la situazione della transizione digitale dell’Italia nell’ultimo decennio: la percentuale di famiglie con accesso alla banda larga è passata dal 10% del 2011 all’88,9% del 2019. “Nonostante i progressi – spiega il rapporto -, l’Italia si trova però ancora leggermente al di sotto della media europea. L’infrastruttura per la banda larga non è più sufficiente a coprire le esigenze di connessione attuali, cosicché si è ritenuto necessario investire su una connessione più veloce, cioè la banda ultralarga”.

In generale il “divario con l’Europa sull’istruzione continua ad ampliarsi: nel secondo trimestre 2020 il 62,6% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); tale quota è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali. Tra i giovani di 30-34 anni il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27″, sottolinea l’istituto di statistica.

Nel secondo trimestre 2020 sale poi al 23,9% la quota di giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (Neet), dopo alcuni anni di diminuzioni (21,2% nel secondo trimestre 2019). Incide particolarmente la componente dovuta all’inattività, specie nelle regioni del Centro-nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia. In Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2010, +10 punti nel 2020). Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore in netto calo rispetto al 2010 ma pressoché stabile dal 2017.

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