Fonte:
Il Fatto Quotidiano di
Veronica Ulivieri | 17 dicembre 2018
Hanno perso i
cittadini e il
pianeta, ma dalla
Cop24 esce al momento sconfitta anche la
scienza.
La conferenza internazionale sul clima si è chiusa infatti con un documento che rimanda al futuro impegni più ambiziosi, in barba all’appello drammatico ad agire lanciato a ottobre dal panel di scienziati delle
Nazioni Unite (Ipcc).
A Parigi nel 2015 gli Stati avevano firmato un accordo per mantenere il riscaldamento climatico entro i 2 gradi (possibilmente
1,5) rispetto ai livelli pre-industriali e avevano chiesto lo studio.
Poco più di due mesi fa, le menti più illustri della ricerca
scientifica avevano presentato i risultati, dicendo chiaro e tondo che i
prossimi anni saranno
cruciali per la
vita sulla Terra così come la intendiamo oggi, ma la loro esortazione a mettere in campo politiche efficaci alla fine
è caduta nel vuoto.
Gli stessi Paesi, infatti, non hanno accolto
all’unanimità
i risultati dello studio. Delegittimando così il lavoro di centinaia di
ricercatori di tutto il mondo, e dunque il ruolo della scienza per la
democrazia. “La mia più grande preoccupazione”, dice il direttore
designato del centro
Potsdam Institute for Climate impact research,
Johan Rockström, è che la Cop24 “non abbia allineato le ambizioni con la scienza. Continuiamo a seguire un
percorso pericoloso che ci porterà in un mondo a
3-4 gradi più caldo
entro questo secolo”. E mentre a questo si aggiungono nulla di fatto
anche su altri aspetti, gli ambientalisti ricostruiscono le
responsabilità. La rete di oltre
1.300 ong da 120 Paesi
Climate Action Network punta il dito contro “gli stati canaglia” come
Usa e
Arabia Saudita, ma ricorda anche la connivenza di chi è rimasto a guardare: “Troppi Paesi sono venuti
impreparati e hanno scelto di rimanere ai margini”.
Gli scettici: i Paesi produttori di greggio – A guidare il fronte degli
scettici verso la scienza c’erano i maggiori produttori mondiali di greggio: oltre all’Arabia Saudita e agli Usa, anche
Kuwait e
Russia. D’altra parte, conciliare un’economia basata sulle
fonti fossili con la necessità scientificamente provata di dimezzare le
emissioni di CO2 al
2030 come previsto nel rapporto dell’Ipcc di ottobre scorso, è impossibile. Una richiesta che non piaceva ovviamente nemmeno alla
Polonia, che dal
carbone ricava
l’80% della sua energia. Anche l’
Australia alla Conferenza ha celebrato i benefici del carbone e il
Brasile ha ritirato l’impegno a ospitare i colloqui sul clima il prossimo anno.
Gli scenari apocalittici (ma realistici) – Lo
studio speciale
degli scienziati pubblicato a ottobre scorso, però, non conteneva solo
l’indicazione di dimezzare le emissioni di CO2 al 2030. Accanto a
questo dato, spesso ricordato in questi giorni, i ricercatori hanno
delineato gli
scenari apocalittici, ma drammaticamente
realistici,
legati a un aumento della temperatura di 2 gradi anziché 1,5.
Apparentemente questi due target sono vicinissimi, ma se con azioni più
ambiziose si raggiungesse il primo, l’innalzamento del livello del
mare minaccerebbe
10 milioni di persone in meno, e la popolazione mondiale con
scarso accesso all’acqua potrebbe essere minore del 50%. La Terra avrebbe più sete, ma anche più fame, passando da 1,5 a 2 gradi in più: la
perdita di pescato, per esempio, crescerebbe da 1,5 milioni di tonnellate a
oltre 3 milioni di tonnellate. Anche gli ecosistemi pagherebbero un prezzo altissimo. Nell’
Artico,
le estati senza ghiaccio in mare si verificherebbero una volta ogni
secolo con un riscaldamento di 1,5 gradi, ma ogni 10 anni se si sforasse
fino a 2 gradi. In quest’ultimo scenario la
barriera corallina andrebbe praticamente perduta.
Da Katowice nessun impegno collettivo – A
ottobre
gli scienziati calcolavano che gli impegni presi dai Paesi in quel
momento avrebbero portato il mondo a un riscaldamento di 3 gradi e
nonostante la diffusione del rapporto, chiesta dagli stessi firmatari
dell’accordo di Parigi, non è stato raggiunto un
impegno collettivo chiaro per mettere in atto azioni più ambiziose e incisive. “I leader mondiali sono arrivati a
Katowice
con il compito di rispondere agli ultimi rapporti della scienza sul
clima. Sono stati compiuti importanti progressi, ma ciò a cui abbiamo
assistito in Polonia rivela una fondamentale
mancanza di comprensione della nostra attuale crisi climatica da parte di alcuni Paesi”, dice il responsabile Clima ed energia del
Wwf internazionale, Manuel Pulgar-Vidal. “I governi hanno
deluso
i cittadini e ignorato la scienza e i rischi che corrono le popolazioni
più vulnerabili. Riconoscere l’urgenza di un aumento delle ambizioni e
adottare una serie di regole per l’azione per il clima, non è neanche
lontanamente
sufficiente allorquando intere nazioni rischiano di sparire”, aggiunge la direttrice esecutiva di
Greenpeace International,
Jennifer Morgan.
Bonelli: “Più investimenti per le armi” – La non accettazione comune e completa dei risultati scientifici non è l’unico aspetto
grave
dell’accordo con cui si chiude la Cop24. Il Wwf ricorda altri punti
critici: “La conferenza si conclude con poca chiarezza su come si debba
contabilizzare il
finanziamento sul clima fornito dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, su come si raggiungerà l’obiettivo dei
100 miliardi
entro il 2020 o su come sarà concordato l’obiettivo finanziario globale
dopo il 2025”. Proprio rispetto all’obiettivo dei 100 miliardi a
sostegno delle politiche sul clima, il leader dei Verdi
Angelo Bonelli ricorda che mentre si discute su come raggiungere questo target, “nel 2017 si è raggiunto il record mondiale storico di
1748 miliardi di dollari
per le spese in armamenti”. Inoltre, come evidenzia la rete di oltre
1.300 ong Climate Action Network, alla Cop24 non sono state stabilite
regole per i mercati delle
emissioni di carbonio dopo il 2020.