sabato 29 novembre 2014

Il FMI insiste: “Italia senza futuro, bisogna tagliare le pensioni”

Fonte: euroscettico
Il direttore esecutivo del FMI, Andrea Montanino nel presentare il rapporto sul nostro Paese ha detto: “L’Italia, nelle condizioni attuali, non è un Paese per cui si possa assicurare un futuro radioso, o quantomeno sereno. La crescita potenziale dell’Italia di fatto crolla per gli anni futuri, siamo inchiodati allo 0,5%”. Il Fmi nel suo report ha stimato che la crescita dell’Italia sarà dello 0,2, a fronte dello 0,3 previsto nel precedente rapporto. Inoltre Montanino ha ricordato come il private equity (investimenti in società no quotate da parte di fondi specializzati) sia molto più sviluppato negli Usa e che l’Europa è troppo “bancocentrica” e se questo bisogna fare di più perché “le banche italiane hanno fatto progressi nel rafforzare i bilanci, ma devono affrontare sfide e venti contrari ciclici” e devono quindi “essere pronte a soddisfare la domanda quando l’economia si riprenderà”.
Il fondo monetario internazionale già nello scorso Settembre aveva esortato l’Italia a intervenire anche in modo abbastanza drastico sul bilancio pubblico affrontando una riduzione delle pensioni e del sistema sanitario. Come affermato da Kennet Kang, capo missione dell’istituzione guidata da Lagarde, “la spesa pensionistica è troppo alta e un taglio della spesa pubblica deve passare per un taglio della spesa previdenziale”.
Inoltre Kang ha ribadito come il piano di riforme per l’Italia è “audace e ambizioso, ma bisogna agire in fretta per implementarlo” dato che “ il debito pubblico è sostenibile, ma il Paese resta vulnerabile sui mercati”. Ecco perché “bisogna ridurre le tasse sul lavoro, fare investimenti pubblici e rendere la revisione della spesa parte integrante del budget”.
Inoltre il Fmi ha presentato anche un rapporto più completo che affronta il problema della crescita in Europa. “L’evidenza dimostra che l’aumento dell’età pensionabile non necessariamente porta a un aumento della partecipazione della forza lavoro” e quindi si vorrebbero inserire manovre che potrebbero “includere regole per il pensionamento anticipato, razionalizzando i benefici, e l’adozione di altri incentivi finanziari, insieme però a politiche che aumentino la domanda per coloro che intendono posticipare il pensionamento”. Anche se poi queste manovre dovrebbero essere accompagnate da riforme serie per i giovani, per i quali il problema del lavoro resta sempre di una gravità assoluta.
p.s.
per dare un lavoro ai "giovani" a pagare devono essere i vecchi... tutti
Buon Weekend

giovedì 27 novembre 2014

‘Qui’, in Valsusa e ovunque ci si trovi. I No Tav al Torino Film Festival

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2014 a firma di Diego Finelli
Quando Il Rosso è salito in macchina ieri mattina cantava: “Grida forte la Valsusa/ che paura non ne ha/ sulle barricate sventola/ la bandiera dei no Tav”, sulle note di una canzone stile vecchio west.
Il Rosso, che una volta era un masnà (bambino), che adesso però porta il 45 di piede e va alle manifestazioni e si è già anche preso i suoi bei lacrimogeni, uno sulla schiena, tra l’altro, è salito in macchina cantando e mi ha detto, “Allora vengo anch’io a vedere il documentario di Gaglianone sulla Tav, Pa'”.
Poi invece non è venuto, perché abbiamo scoperto che al Torino Film Festival i minorenni non possono entrare perché i film non sono ancora passati dall’apposita commissione, mi hanno detto al botteghino, e quindi è meglio se stanno a casa. Pazienza, andrà a vederlo al cinema, sempre che a Torino si trovi una sala che lo proietti e che lo tengano per più di due sere.
Così l’ho visto da solo Qui, di Daniele Gaglianone. Da solo si fa per dire, perché la sala era piena e per far entrare tutti la proiezione è cominciata con quasi venti minuti di ritardo.
Che cos’è Qui. E’ un documentario che parla della Tav, anzi che parla dei No Tav, anzi è un documentario che fa parlare i No Tav. Non è un’inchiesta giornalistica, non è un documento informativo sulle caratteristiche della grande (si fa per dire) opera in questione. E’ un lavoro di ascolto, di visione, di racconto dei volti, delle storie, delle ragioni di persone che, con modi e da provenienze anche molto diverse, si oppongono da anni alla costruzione della linea ad alta velocità in Val di Susa, e alle modalità violente, antidemocratiche, illegali, oltre che clamorosamente antieconomiche, con cui l’opera viene portata avanti.
Qui, dicevo, non informa, se non in minima parte, sui limiti e le incongruenze della costruzione e della promozione della Tav, fatte salve alcune inquietanti eccezioni come i dati relativi all’aumento dei casi di malattie cardiovascolari e respiratorie, e dell’incidenza del mesotelioma previsti nelle zone interessate dai cantieri, dagli stessi realizzatori, se il progetto verrà portato avanti; o come l’evidente militarizzazione della Valle con un numero impressionante di poliziotti spesso impegnati a filmare, fotografare e identificare chiunque transiti nei pressi del cantiere (inclusa la troupe che gira il documentario), come a perseguire un possibile “reato di presenza”.
Qui ci racconta fin dal titolo dove sta il problema e cioè in un luogo fisicamente ben preciso, la Val di Susa, per nulla isolato dal resto del mondo. Ma nel raccontarlo ci fa capire che è un “qui” che riguarda ciascuno di noi nel posto in cui si trova, a prescindere dai chilometri che lo separano dalla Valle, perché è un “qui” che, ripetuto molte volte dalle persone normali che raccontano e si raccontano nel documentario, fa riferimento sia a uno spazio, sia a un tempo, sia a una situazione in cui siamo tutti coinvolti.
Molte volte la macchina da presa, nel seguire i testimoni di questa carrellata, li riprende di spalle, che camminano, o di fianco, nei dintorni del cantiere della Tav. Non va in soggettiva, ma si mette dietro alle persone che raccontano quello che sta accadendo ai boschi, alle strade, all’aria, all’acqua, alle case in cui vivono, con la preoccupazione per quello che potrà accadere sia “qui” inteso strettamente come Val di Susa, sia “qui” inteso come Italia, come stato di diritto, come laboratorio di democrazia imperfetta.
La macchina da presa, dicevo, sta un passo indietro o di lato e sembra dirci: non ti mostro come vanno le cose, cosa stanno facendo, non te lo spiego; ti invito, invece, a venire qui, a sentirti qui, a metterti di fianco e dietro a quelli che lo stanno vivendo e che da quello che sta accadendo qui si sono fatti coinvolgere, e rivoltare, spesso loro malgrado: come il carabiniere in congedo a cui un razzo sparato in faccia dalla polizia ha procurato fratture multiple al setto nasale e al volto, come il sindaco trattato come una marionetta dal prefetto e dalla polizia, come il coltivatore di castagne arrestato e portato in prigione sulla base di accuse poi rivelatesi completamente artificiose, come la famiglia che ha scoperto quasi per caso che la casa in cui vive verrà sovrastata dalla stazione internazionale.
Comunque, non era questo che volevo dire quando ho pensato di scrivere questo post da cinefilo non praticante. Quello che volevo dire sul film di Gaglianone è che tutte queste storie, raccolte con garbo e spesso riportate con una calma che qualcuno potrebbe scambiare per lentezza, invece no, si tratta di calma e di rispetto, queste storie ci vengono restituite, a tratti, con l’incanto e l’autenticità della poesia.
Poesia in un documentario che parla di rivolta.
p.s.
essere notav significa tante cose.. anche non perdere la propria identità per trenta denari e qualche treno.. che nessuno prende (solo il 16% della popolazione ferroviaria usa la tav, detto tutto)

mercoledì 26 novembre 2014

REPRESSIONE USA / L’America brucia dopo il caso Ferguson e l’assoluzione dell’assassino di Mike Brown

Fonte: identità insorgenti
Storie di repressione mondiale, storie di repressione impunita. E così l’America, dopo l’assoluzione dell’agente Darren Wilson, brucia: non ci sarebbero, secondo il Gran Giurì,  prove sufficienti per incriminare o mandare sotto processo  l’agente che in agosto uccise il giovane afro-americano Michael Brown a Ferguson, Missouri.
Stanotte in molte città americana è scoppiata la protesta non appena il procuratore Robert McCulloch ha comunicato il verdetto del Gran Giurì. Un poliziotto è stato ferito a colpi di pistola a University City, sobborgo di St. Louis, vicino Ferguson, dove sono in corso violente proteste.  Anche a New York il caos: il ponte di Brooklyn, quello di Manhattan sono stati chiusi al traffico a New York dai manifestanti scesi in strada. Almeno uno dei manifestanti che hanno bloccato i tre ponti di New York è stato arrestato. I manifestanti hanno bloccato la superstrada 110, che, da Pasadena a Long Beach, attraversa Los Angeles.
Nelle immagini trasmesse dalle reti Usa si vedono decine di persone in mezzo alle corsie, molte stese per terra. Una lunga notte piena di tensione tra manifestanti e polizia, soprattutto a Ferguson: la polizia ha creato un cordone ed ha iniziato ad avanzare lanciando lacrimogeni e altri ordigni per disperdere i manifestanti. In fiamme anche alcune vetture e alcuni negozi.
Almeno 29 persone sono state arrestate, ha detto il capo della polizia locale Jon Belmar in una conferenza stampa. Non ci sono state vittime ma decine di edifici sono state incendiati.
Certo che la reazione alla repressione razzista non deve soprendere, anzi: la repressione in atto non riguarda solo Ferguson ma in generale molti paesi anche Europei, italia inclusa. Reagire e non subire a questo punto è un valore. Anche davanti alla Casa Bianca si sono svolte manifestazioni contro il razzismo e il terrorismo della polizia.
“Il nostro Paese è bastato sullo Stato di diritto e dobbiamo accettare il fatto che questa è stata una decisione del Gran giurì”, ha detto il presidente americano Barack Obama, intervenuto a sorpresa in diretta tv, che ha invitato i manifestanti a protestare pacificamente e invitando la polizia a “mostrare moderazione”. “Non ci sono scuse per la violenza. I progressi non si fanno lanciando bottiglie”, ha proseguito il presidente per poi sottolienare che quella di Ferguson sia “una questione che riguarda tutta l’America, una questione reale”. “C’è una profonda sfiducia tra la polizia e la comunità afroamericana. E questa – ha aggiunto – è l’eredità di una lunga storia di discriminazione nel nostro Paese. E’ necessario riconoscere come la situazione di Ferguson parla all’intero Paese e mostra le più ampie sfide che noi ancora affrontiamo come nazione”.
Ma a New York, a Seattle, Los Angeles, Chicago, Cleveland, Oklahoma City, Oakland e Pittsburg, le proteste contro la repressione delle forze dell’ordine continuano…
Ecco, pensando a Davide Bifolco e ad altre vicende italiane, ci viene un po’ da piangere e addirittura nutriamo un po’ di invidia per un popolo che si ribella e non ci sta e che reagisce alla repressione.
p.s.
alcuni dati: almeno una trentina dei padri fondatori degli USA erano massoni; un terzo dei presidenti usa.. pure; molti di loro sono stati uccisi. Il sistema politico è di stampo liberale puro appena sporcato di democrazia con un sistema elettorale censuario (ti iscrivi e paghi per votare ma puoi essere cancellato se non sei ritenuto "valido") con un complicatissimo meotodo di elezione del Capo dello Stato; sono uno stato federale, una cosa positiva, con un validissimo sistema di contrappesi sia fra la parte federale e la periferia sia fra esecutivo e legislativo; hanno una banca centrale ... privata (la FED non è pubblica); sono il centro mondiale della finanza... soprattutto quella di rapina; hanno oltre 50 mln di veri poveri e altrettanti sul limite.. un vero modello da imitare qui in europa senza nessun sistema serio di aiuto pubblico tranne i medicare ecc. tutto il resto lo hai solo se hai una assicurazione sanitaria privata (la stessa che vogliono introdurre qui); in costituzione è prevista la libertà, si fa per dire, di stampa e la possibilità di auto difendersi con le armi. E sono solo alcuni esempi!!!!
Vi piacerebbe vivere lì? A me no.. non mi meraviglia che tutto quanto accade lì da l'idea di una maionese impazzita: qui ci stiamo lavorando ma possiamo, ancora, tornare indietro..

martedì 25 novembre 2014

Regionali 2014 e astensionismo: come si rottama la democrazia

metto qui il mio solito p.s.:
sempre nello spirito con cui ho spiegato perchè propongo punti di vista che sottoscrivo posto oggi quest'interessantissimo articolo del Direttore del Fatto Quotidiano del 25/11/2014, Antonio Padellaro.
eccolo.
La domanda è: perché mai gli italiani dovrebbero correre festanti ai seggi elettorali invece di evitarli come la peste? Una vecchia battuta americana sostiene che i politici sono quei tipi che si fanno invitare a pranzo, ti fregano le posate, corteggiano tua moglie e poi ti chiedono il voto. Con un’altra battutaccia si potrebbe dire che, come se non bastasse, la classe politica italiana ha portato il Paese alla bancarotta, che si tratta di nominati che pascolano senza molto costrutto nelle varie assemblee e che pur percependo ricchi emolumenti finanziano con i nostri quattrini l’acquisto di slip e vibratori per uso personale.
Mai nella lunga storia repubblicana il ceto politico era stato oggetto di una tale, massiccia impopolarità venata di vero e proprio disgusto. La novità è che adesso quasi nessuno fa finta di allarmarsi e anzi c’è chi vede nell’astensionismo collettivo “anche un elemento di modernità e di normalità” (Folli su Repubblica). Mentre Matteo Renzi che non ha tempo da perdere rottama la democrazia rappresentativa con cinque semplici paroline: “L’affluenza è un problema secondario”. Amen. Impegnato com’è a cambiare l’Italia lo statista di Rignano incassa soddisfatto il “2 a 0” (Emilia-Romagna e Calabria) e non sa che farsene dei numeri assoluti (rispetto alle Europee di sei mesi fa il “suo” Pd ha perso la bellezza di 769 mila voti). Con questo sistema il giorno, poniamo, che le percentuali di voto scendessero al dieci o al cinque per cento ci sarebbe sempre una Boschi o una Picierno a ricordarci che il nuovo che avanza avrebbe pur sempre il sostegno del 41 per cento degli elettori.
La verità è che da oggi Renzi guida un governo di estrema minoranza e che la grande fuga elettorale rafforza la contestazione della sinistra pd e della Cgil in Parlamento e nelle piazze. Senza contare che di fronte alla catastrofe di Forza Italia (meno 222 mila voti) la decenza politica imporrebbe al premier di accantonare il patto del Nazareno visto che l’altro contraente, Berlusconi rischia di contare come il due di picche travolto dal si salvi chi può degli ex dc guidati da Fitto.
Dalla disfatta non si salva il M5S (meno 400 mila voti) i cui vertici farebbero bene a non negare ciò che è sotto gli occhi di tutti, che cioè una parte del voto di protesta sta lasciando deluso le sponde grilline per rifluire nell’astensionismo. In questo panorama vince solo la Lega di Matteo Salvini, che con Casa Pound miete consensi nell’unico granaio elettorale rigoglioso: quello dell’intolleranza xenofoba e della disperazione fascistoide. L’Italia vede nero.
Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2014

lunedì 24 novembre 2014

Elezioni Regionali 2014, M5S: la decrescita infelice

dal Fatto Quotidiano di Paolo Becchi | 24 novembre 2014
È successo quello che doveva succedere. In alcuni miei recenti interventi avevo criticato il Movimento Cinque Stelle per alcune sue prese di posizione “morbide”, in particolare l’apertura a trattare su tutto con il Pd, che ha permesso a Renzi di negoziare da una posizione di forza con Berlusconi, e la fine della democrazia diretta e l’inizio di un’esperienza rappresentativa, con l’utilizzo della rete non più come strumento di proposta, dialogo e confronto, ma solo di ratifica di decisioni prese dai portavoce.
Avevo richiamato l’attenzione sull’importanza delle elezioni in Calabria ed Emilia Romagna, perché rappresentavano il primo test dopo le elezioni europee del maggio scorso. In entrambe le regioni il primo dato da rimarcare è un’astensione a livelli record e non accettabili per un sistema democratico. Il fatto che il premier Renzi esulti per una “vittoria” è emblematico della deriva in corso nel nostro paese. In Emilia Romagna, una regione dove il voto come dovere civico era stato una caratteristica fondante, hanno votato il 37% degli aventi diritti. Come riporta il Fatto Quotidiano: “Al di là delle esultanze, a spulciare nelle statistiche del Viminale, emerge uno scenario desolante. Se nel 2010 aveva votato il 67% degli aventi diritto, nel 2005 la percentuale era stata del 76% e nel 2000 del 79%. Pierluigi Bersani nel 1995 divenne presidente di Regione con il 53%: alle urne si era recato l’88% della popolazione. Nel 1990 l’affluenza era stata del 92%”. Il trionfo del partito dell’astensione con il 63% dei consensi nelle elezioni di ieri è un segnale che dovrebbe far riflettere tutti.
In Calabria, dove Beppe Grillo neppure si è fatto vedere, il partito dell’astensione si è fermato al 56%. Ma perché si è votato nelle due regioni? Perché in entrambi i casi gli ex governatori hanno subito condanne dalla magistratura durante i loro mandati. E, nonostante questo, i pochi elettori che si sono recati nelle urne hanno deciso di confermare alla guida il partito di Vasco Errani in Emilia, con la vittoria di Stefano Bonaccini, e hanno scelto in massa il candidato del Pd anche in Calabria, Oliverio. E il Movimento Cinque Stelle, che ha fatto dell’onestà nelle istituzioni il suo cavallo di battaglia e che non aveva migliore occasione di questa? Con la brava e competente Giulia Gibertoni è al 13% in Emilia e in Calabria Cono Cantelmi si ferma al 4%. L’astensionismo è, soprattutto in Calabria, un voto chiaro di chi si è sentito tradito dal M5S, tradito della possibilità di cambiare il paese e, prima ancora, la loro regione.
Ci sarebbero buone ragioni per una riflessione a tutto campo all’interno del M5S, ma, sperando di sbagliarmi, non ci sarà alcuna “analisi del voto”. Invece il primo passo dovrebbe essere proprio quello di prendere atto della sconfitta e analizzarne le cause.
Le cause: In primo luogo, la mancata presenza sul territorio dei portavoce ha creato una scollatura con la base. I meetup devono tornare a essere luogo di incontro dei cittadini per condividere i problemi del territorio e non luogo di scontro delle opposte fazioni dei portavoce presenti nel Parlamento. Com’è del tutto evidente in Calabria, dove si è addirittura sponsorizzato in campagna elettorale il solo candidato alla Presidenza della Regione, ignorando completamente tutta la squadra. Che i portavoce, insomma, tornino ad essere portavoce e non politici di professione.
In secondo luogo, si ripensi completamente alla strategia di presentarsi sempre e comunque alle elezioni se questi sono i risultati in due regioni che hanno in passato, soprattutto la Calabria, manifestato grande consenso al M5s. Cosa volete che facciano una o due persone in un covo di ladroni? Se è già difficile incidere in Parlamento con il 25% dei voti, immaginiamo cosa si possa fare con una presenza simbolica in un consiglio Regionale. Meglio lavorare a contatto con i cittadini fuori dai palazzi.
Se vogliamo evitare la deriva istituzionalista in atto nel Movimento, che certo gli garantirà nel futuro numeri da prefisso telefonico, ma non quelli necessari per cambiare l’Italia, bisogna prendere atto di questa sconfitta. Chi oggi parla di un risultato comunque buono mente a se stesso.
Il tono rassegnato di Grillo nel suo discorso a Bologna e le parole di Alessandro Di Battista, l’anima bella del movimento, che annuncia la sua volontà di non ricandidarsi per un secondo mandato, sono tutti segnali di allarme. Il tempo per ripartire c’è. Molti errori sono stati commessi nella via della rivoluzione della democrazia diretta e si è permesso alla Lega di risorgere e cavalcare il dissenso sociale. Il tempo per ripartire c’è, ma per farlo bisogna immediatamente bloccare la deriva “rappresentativa” iniziata dopo il voto delle Europee di maggio e, soprattutto, rimettere al centro dell’agenda politica i territori e il recupero della maggioranza astensionista dei cittadini.
p.s.
in pvt qualcuno mi ha scritto: "perchè non scrivi più te i post ma ti limiti a postare quello di altri"? un bella domanda cui rispondo: perchè quando trovi personalità "non" convenzionali che scrivono quello che io penso è inutile che lo faccia io per il semplice motivo che sottoscrivo in toto quanto sostengono..... e quando dico in toto voglio dire proprio tutto! In questo caso questo articolo del Prof. Becchi mette il dito nella piaga per quanto riguarda il M5S: ogni movimento sociale che abbia le caratteristiche del M5S, ne dovremmo sapere perchè sono sul modello, anche loro, dei movimenti sociali del modello dominante ..... gli americani,  una volta che si "istituzionalizza" perde quella spinta "rivoluzionaria" che tanto spaventa il potere e si assimila ad esso: è inutile ricercare la purezza quando sei dentro o entri o stai fuori... a metà del guado, come hanno fatto i 5S, si viene solo bombardati da entrambi le parti, come difatti sta accadendo! A mio parere prima avrebebro dovuto far crescere il movimento nella società e poi potevano lanciarsi nelle elezioni: facendo così avrebbero vinto sul serio e non a metà. Potevano prendere esempio dal "podemos" spagnolo? Si, certo.. ma siamo sempre in italia e a capo dei 5S non ci sono "spagnoli" ma l'erede di Savonarola, altrimenti non poteva finire: addio M5S... benevenuti 5S

domenica 23 novembre 2014

L'illusione della democrazia moderna

Sin dalla più tenera età siamo stati condizionati a credere ciecamente nel dogma moderno della democrazia.
Essa, ci viene detto, è la forma migliore e più adatta al funzionamento della società e del mondo, e oltre ad essa non esistono alternative.
Ora, basta una piccola riflessione per rendersi conto che la democrazia, o perlomeno il sistema democratico moderno dominante, non sia quella panacea che ci hanno fatto credere.
Questo non significa assolutamente portare avanti un messaggio antidemocratico o illiberale, tutt'altro.
Difatti, la cosiddetta democrazia per come ci viene presentata, è solo un'illusione.
Essa, per quanto si affermi basata sulla sovranità popolare, è in realtà fondata sul potere di diverse lobby, e quelle egemoni si può ben dire che dirigano il "teatrino".
Per quanto riguarda la sovranità popolare, si può ben dire che con l'attuale democrazia c'entri ben poco, a meno che con essa non si intenda solo il voto, che senza una reale e consapevole partecipazione di un popolo informato, risulta poco più che un rituale che ha perso la sua efficacia.
Come disse Charles Bukowski :
" La differenza tra dittatura e democrazia è che in democrazia prima si vota e poi si prendono ordini, in dittatura non dobbiamo sprecare il nostro tempo andando a votare" .
Il fatto è che la democrazia moderna, piuttosto che sulla sovranità popolare, è basata sulla massificazione e la medio-crità, tanto che sarebbe più coretto chiamarla "mediocrazia".
Tale "massificazione" non è altro che l'antitesi di una reale e funzionale democrazia, che dovrebbe essere fondata sul primato della qualità, la partecipazione, l'educazione e l'elevazione del popolo, mentre nelle moderni democrazie tutto è diretto verso il basso, e tutto ciò che tende ad elevarsi è visto negativamente.
Per dirla in altre parole, la democrazia moderna è fondata su un livellamento omologante e totalizzante, un livellamento indistinto dove per forza di cose prevale la quantità sulla qualità, la forma rispetto alla sostanza e il numero sull'individuo.
La massificazione ovviamente risulta una condizione favorevole per l'instaurarsi di forme di potere oligarchiche, essendo una massa confusa e indebolita interiormente facilmente manipolabile, al contrario di un popolo cosciente dei propri diritti e del proprio volere.
Difatti è ciò che avviene oggi: grazie alle continue illusioni e armi di distrazioni di massa ( oggi perlopiù mass media ) usate per perpetuare il mito di una "democrazia" che praticamente non esiste nella realtà, in modo assai facile i gruppi di potere egemoni consolidano e aumentano il loro potere.
D'altronde Edward Bernays, il famoso pubblicitario fondatore delle moderne pubbliche relazioni e considerato come uno dei fondatori del sistema consumista, disse :
" La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini organizzate delle masse costituisce un importante elemento di una società democratica. Coloro i quali manipolano questo impercettibile meccanismo sociale formano un Governo invisibile che costituisce il vero potere esecutivo del Paese " .
Oggi più che mai, il regime democratico dominante non è più sostenibile, e urge il passaggio a una democrazia matura, fondata su una reale sovranità popolare e tesa a valorizzare e elevare i membri della comunità, piuttosto che dirigerli verso l'omologante massificazione,  come avviene oggi .
p.s.
sempre più forte è l'impressione di essere in una matrix.....

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