venerdì 20 luglio 2018

Sul razzismo il radicalismo chic non demorde

Fonte: Il Fatto Quotidiano Società | 19 luglio 2018 

Nonostante le sonore sconfitte a carico del variegato milieu radical chic – inversamente proporzionali alle vittorie non solo elettorali di tutti coloro che a questa forma di radicalismo si oppongono invalidandone l’approccio manicheo, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, ove per buoni si intendono coloro che continuano ossessivamente a “coscienzializzare” il volgo, il quale risponde in modo diametralmente opposto – l’approccio radical chic continua a imperversare indefesso, come nel caso del pezzo su Fatto cartaceo di pochi giorni fa titolato La lezione perduta delle leggi razziali, in cui Furio Colombo arriva a equiparare le leggi razziali del ’38 con un supposto razzismo italiano di ritorno che “pone adesso bianchi contro neri, cittadini contro stranieri, paura attentamente coltivata, che crede nei confini chiusi”.
Se c’è un aspetto che non ho mai notato negli italiani è il razzismo, almeno nelle forme da me ravvisate in taluni stati del sud degli Stati Uniti e in specifici ceti sociali di alcune zone del Brasile. A proposito del quale, per quanto mi riguarda personalmente, a suo tempo e in Italia sposai una mulatta brasiliana non perché l’amassi, ma al solo scopo di aiutarla a inserirsi in un contesto culturale troppo distante da quello della favela da cui proveniva. Un matrimonio breve ordunque che terminò con un procedimento di divorzio durante lo svolgimento del quale, la mia ex moglie prossima ventura, alla giudice che le chiedeva se era proprio sicura di non pretendere alcun alimento post matrimoniale, rispose che alla luce dell’aiuto che le avevo prestato, la sua richiesta sarebbe stata inappropriata.
Dal razzismo al fascismo il passo è retoricamente breve, tanto è vero che Furio Colombo vi si (ri)ferisce paragonando le leggi razziali del fu fascismo, con la supposta situazione in cui si baserebbe la “difesa della razza” – il virgolettato è di Colombo – “In Italia il razzismo che torna pone adesso bianchi contro neri, cittadini contro stranieri, paura, attentamente coltivata, che crede nei confini chiusi” (…) ‘nell’Italia dei nostri giorni’ a partire dalla “parola d’ordine prima gli italiani, che è un grimaldello potente per far saltare un minimo di legame tra residente e straniero” (…) mentre “ un secondo modo per avviarsi verso la completa estirpazione di sentimenti umani è di lanciare il famoso grido di disprezzo verso i non razzisti: ‘Allora prendete i profughi in casa vostra’ ”. Una frase “ che non nasce da un rigurgito di rabbia di strada, ma da un partito diventato governo e potente istituzione” (…) “una trovata che punta a scansare l’accusa di irresponsabilità e a far apparire fatui e boriosi coloro che scendono in campo nel tentativo di difendere. Il loro numero diminuisce costantemente”.
L’unico passaggio che condivido è la citazione della frase rigurgitata da un partito di governo: “Allora prendete i profughi in casa vostra!”. Un grido che venne pronunciato anche nell’affluente Capalbio dei radical chic, ma non da persone più modeste come il sottoscritto, che spesso si ritrova a strillare il fatidico “Allora prenditeli a casa tua!” a radical chic che si guardano bene dall’ospitare rifugiati, salvo poi salmodiare a terzi meno abbienti l’obbligo di aiutare i rifugiandi, dopo aver rimosso dalle loro coscienze i sei milioni di italiani al di sotto della soglia di povertà, nonché gli altri quattro milioni che la superano di stretta misura.
Sul Fatto on line di qualche mese fa, un post riservato a un’associazione liberale iniziava più o meno così: “… chi afferma di non essere né di destra né di sinistra è di destra…”. L’assunto mi irritò perché, pur avendo fatto parte dell’estrema sinistra durante l’(im)mortale ‘68, in seguito all’abuso che s’è fatto del termine “de sinistra” me ne distanziai. Il fatto che oggi non mi consideri più tale, non significa tuttavia che mi identifichi con la destra tout court, oggi tacciata di fascismo a ogni piè sospinto, visto & considerato che essendo nato nel ’43 in una famiglia antifascista doc, certe posizioni proprio non mi appartengono.
Mio padre venne torturato a Villa Triste pur ignorando che sua madre, cioè mia nonna, avesse destinato la sua magione fiesolana al salvataggio di ebrei, nonostante la stessa villa fosse stata sequestrata dal capo delle SS, ignaro che in quei meandri transitassero giudei in fuga dal nazifascismo. Dopo la guerra i miei si separarono e mia madre che pur aveva fatto parte del Partito d’Azione, si accasò con Giuseppe Baylon, già capo di Stato maggiore dell’areonautica saloina il quale, in quanto afascista, vale a dire né fascista né antifascista, venne arrestato dalle Ss e dopo la Liberazione venne processato da un tribunale speciale che lo assolse per non aver commesso il fatto, riconoscendogli il merito d’aver osteggiato il massacro da parte dei tedeschi dell’intera popolazione italiana, saloina o non saloina che fosse stata.
E fu proprio questo afascista doc che per primo ebbe a citarmi Renzo de Felice quando afferma che “ il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei danni più grossi è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste a parole. Una mentalità fascista che va secondo me combattuta in tutti i modi, perché pericolosissima. Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di qualificazione dell’avversario per distruggerlo”. Come dire che il peggior fascismo è quello degli antifascisti.
Società | 19 luglio 2018

mercoledì 18 luglio 2018

Russia liquida quasi tutti i titoli di Stato Usa in portafoglio

Fonte: W.S.I. 18 luglio 2018, di Daniele Chicca

Quando i rendimenti obbligazionari Usa hanno fatto un netto salto in avanti in aprile, la spiegazione che in molti esperti e commentatori si sono dati era una: Vladimir Putin stava liquidando una grossa fetta dei titoli di Stato americani in portafoglio.
Difatti, quel mese la quota in possesso della Russia è scesa di 47,4 miliardi di dollari, in area $48,7 miliardi totali, il livello più basso dal 2008. In marzo la cifra delle riserve di Bond statunitensi era di $96 miliardi.
Mentre Donald Trump è impegnato a negoziare, Putin passa all’azione. Il presidente americano continua a fare il doppio gioco con la Russia, minacciando ulteriori sanzioni da una parte mentre cerca di ricucire i rapporti con il Cremlino dall’altra, incontrando anche di persona Putin.
Cosa fa la Russia nel frattempo? Non smette di liberarsi di Treasuries. Sembra insomma che quando il presidente russo ha avvertito che avrebbe diversificato le riserve statali del paese, diceva sul serio.
A maggio Putin ha deciso di liquidare ancora le sue posizioni, con il valore in mano al Cremlino che è crollato di altri 40 miliardi (82%) attestandosi a 9 miliardi da 48,7 miliardi di dollari. All’inizio dell’anno la cifra toccava i 100 miliardi.
Una liquidazione massiccia del genere da parte di Putin non può che avere delle ragioni politiche e ha l’effetto di mettere ulteriori pressioni sul suo “avversario” alla Casa Bianca.

martedì 17 luglio 2018

Piano A di Savona: “recuperare 50 miliardi a UE”

Fonte: W.S.I. 17 luglio 2018, di Alessandra Caparello

“Preferisco parlare del piano A”. Così il ministro per gli Affari Europei Paolo Savona racconta in una lunga intervista a La Verità il progetto del governo per stimolare la crescita e rispettare gli obiettivi di bilancio e annuncia l’intenzione di chiedere all’Europa margini per poter finanziare 50 miliardi di investimenti pubblici.
“L’Italia da tempo vive al di sotto delle proprie risorse, come testimonia un avanzo di parte corrente della bilancia estera. Tale avanzo non può essere attivato, cioè non possiamo spendere, per l’incontro tra i vincoli di bilancio e di debito dei Trattati europei. Questo nonostante abbiamo ancora una disoccupazione nell’ordine del 10% della forza lavoro e rischi crescenti di povertà per larghe fasce di popolazione. L’avanzo sull’estero di quest’anno è al 2,7% del Pil, per un valore complessivo di circa 50 miliardi: esattamente ciò che manca alla domanda interna (…) Una politica della domanda centrata sugli investimenti, una scelta che, con l’avvento della Commissione Juncker era già stata effettuata sotto la spinta dell’opinione pubblica rappresentata dal Parlamento europeo”.
Da qui se c’è l’ok dell’Ue, dice Savona, allora si potrà parlare di introdurre le riforme del governo, dalla flat tax al reddito di cittadinanza.
“Se l’Ue lo accetta, meglio ancora se propone essa stessa, nel reciproco interesse, un piano di investimenti di tale importo, la crescita del Pil che ne risulterebbe può consentire un gettito fiscale capace di coprire allo stesso tempo la quota parte delle spese correnti implicite nelle proposte di Flat Tax, salario di cittadinanza e revisione della Legge Fornero senza aumentare né il disavanzo pubblico, né il rapporto debito pubblico/Pil su base annua”.
E a chi gli fa notare che rimane il nodo coperture, il ministro risponde a tono:
“I grandi progressi dell’umanità hanno avuto origine dalle utopie, che furono definite necessarie perché senza di esse non si sarebbero mai raggiunti risultati importanti”.

lunedì 16 luglio 2018

Germania “ossessionata” da Italia: domande irrituali alla Bce

Fonte: W.S.I. 16 luglio 2018, di Alessandra Caparello

Risale al 13 giugno scorso, subito dopo il rialzo alle stelle dello spread sotto la zavorra dell’incertezza polita, la lettera che il Parlamento tedesco ha scritto alla Vigilanza Bce. Oggetto: le banche italiane.
Nella missiva in particolare il Bundestag  tramite il presidente nonché ex ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha chiesto alla Bce innanzitutto i dati sulle esposizioni delle banche italiane ai titoli di Stato. Poi, come scrive oggi MilanoFinanza, ha fatto altre domande irrituali.
“In quale modo gli aumenti nei tassi dei titoli di Stato italiani siano incorporati negli stress test e se gli scenari considerassero un’uscita dall’euro. Addirittura il Parlamento tedesco ha chiesto «il tasso al quale le banche sarebbero dichiarate in dissesto o a rischio di dissesto» e «sarebbero una minaccia per la stabilità finanziaria”.
A rispondere direttamente la presidente della Vigilanza Bce Danièle Nouy la quale ha ricordato che  per determinare se una banca è in dissesto o a rischio ci sono le linee guida Eba. Inoltre la Nouy ha rimarcato che per far scattare la decisione sul fallimento occorre un’analisi complessiva degli elementi oggettivi sia qualitativi che quantitativi, considerando tutte le altre circostanze e informazioni rilevanti sulla banca.
“Dato il numero di fattori da considerare al momento della valutazione, non è possibile determinare ex ante un livello dei rendimenti dei titoli di Stato in cui le banche fallirebbero o rischierebbero di fallire o sarebbero una minaccia per la stabilità finanziaria.
Quanto alle domande sugli stress test, la Nouy ha detto che gli esami considerano “un significativo allargamento degli spread» e si basano su una valutazione dei rischi attuali. E infine ha risposto che l’euro è irrevocabile e non è appropriato che la Bce faccia riflessioni su ipotesi non previste dal Trattato sul funzionamento dell’Ue”.
Una serie di domande che ancora una volta dimostrano l’attenzione che a volte sfocia nell’ossessione da parte della Germania quando si parla di titoli di Stato italiani e banche.

domenica 15 luglio 2018

Trattato Ue-Canada, a essere contrari al Ceta non sono solo i sovranisti

Fonte: Il Fatto Quotidiano Politica | 15 luglio 2018 
Si torna a parlare di Ceta, il Trattato di libero scambio tra Ue e Canada, perché il processo di ratifica entra in un momento delicato. Il Presidente austriaco, ed ex leader dei Verdi, Alexander van der Bellen due giorni fa si è rifiutato di ratificare l’adozione del Trattato da parte del Parlamento, bloccandola fino alla decisione della Corte Ue sulla compatibilità della clausola Ics (Investment Court System), ossia l’arbitraggio sugli investimenti che possono essere danneggiati da norme pubbliche, con il diritto comunitario.
Inoltre, il neo Ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha annunciato che anche l’Italia voterà contro. Ricordo infatti che questo trattato ha la particolarità che, per essere definitivamente adottato (e nonostante questa sia una competenza esclusiva della Ue), deve essere ratificato, oltre che dal Parlamento europeo, anche da tutti i parlamenti nazionali della Ue all’unanimità.
In due articoli pubblicati su la Repubblica e sul Corriere, Ruffolo e Fubini criticano aspramente questa decisione come protezionista e sovranista. Sono assolutamente d’accordo con la dura critica al modo in cui Di Maio ha presentato l’opposizione al Ceta (un puro “sovranismo” per difendere corporazioni specifiche), ma non lo sono affatto con il limitare l’opposizione al Ceta solo a questo approccio. Al contrario. Il movimento che si oppone a questo accordo e che ha guidato le mobilitazioni europee è in gran parte europeista e convinto che dazi e barriere possano essere sì un gravissimo limite, reazionario e negativo, ma sono le priorità della politica commerciale europea che devono cambiare.
Non vedere questo sarebbe non solo perdere un’occasione di discussione in Italia su come migliorare la politica commerciale europea, da sempre sottomessa a una ideologia liberista a senso unico e pro-multinazionali (a prescindere dal loro comportamento in materia fiscale e sociale); significherebbe anche lasciare ogni critica al Ceta al campo dei sovranisti; per l’opposizione a questo governo significherebbe anche continuare a perdere terreno persino fra chi, tra gli attivisti e le forze politiche – con o senza maglietta rossa – è inorridito dalla sua deriva illiberale, razzista e nazionalista.
Ripeto: il Ceta non trova oppositori solo nel campo della società chiusa di Di Maio e Salvini, nelle corporazioni attente ai loro interessi particolari e pochissimo alle regole ambientali e sociali; la campagna è stata guidata dai sostenitori della società aperta dei diritti, dell’ambiente e della giustizia, da forze politiche come i Verdi che, al Parlamento europeo e in vari parlamenti nazionali e assemblee regionali, hanno intavolato una discussione lontanissima dalle meschine e superficiali ragioni di Di Maio. Il fatto di prestare attenzione esclusivamente a quest’ultime significa ancora una volta manipolare e non fare avanzare la discussione, polarizzandola in modo distruttivo. Ma quale sarebbe il problema con Ceta? Ce ne sono vari e di natura diversa.
La dura battaglia per trasparenza e contenuto del mandato avvenuta al Parlamento europeo ha funzionato in parte per il Ttip, ma assolutamente no per il Ceta. Gli interessi di importanti multinazionali sono stati tenuti di conto ben prima della sua pubblicazione e si è scoperta l’esistenza di un fast track inaccettabile, venuto alla luce troppo tardi per cambiare il contenuto dell’accordo.
Notiamo anche che quello con il Canada è il primo accordo che contiene una lista negativa di servizi che ogni Stato può escludere dalla competizione non europea, aprendo invece tutti gli altri; i brevetti europei sulle medicine potrebbero aumentare a dismisura i costi per il sistema pubblico canadese; il Canada è il terzo produttore di Ogm al mondo e l’accordo facilita l’impatto già notevole e sempre attivo della lobby pro-Ogm sul processo decisionale europeo e sulle regole esistenti che lasciano molti spazi in questo senso; il Ceta, inoltre, attacca leggi e regolamenti in sostegno di comunità e municipalità locali favorendo le multinazionali, né prevede direttive vincolanti sulla protezione dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. C’è poi la clausola che ha motivato il blocco del Presidente austriaco van der Bellen e che prevede tribunali privati che tutelano gli investitori stranieri e permetterebbero loro di intentare processi contro gli Stati, qualora considerassero i loro interessi commerciali danneggiati da norme interne. Queste clausole esistono già, ma non su una scala così ampia fra Paesi sviluppati; presentano rischi concreti di “giustizia parallela”, in particolare in materia ambientale e sociale. Questo è stato il punto della pessima fama del Ttip, prima dell’arrivo di Trump che lo ha chiuso forse per le ragioni sbagliate.
Insomma, apriamo anche in Italia un dibattito su meriti o demeriti del Ceta e su come si può rilanciare un commercio attento ai diritti dei piccoli produttori, delle comunità locali, aperto e di qualità, trovando le alleanze contro i sovranisti e demagoghi nostrani, invece che rafforzarli ancora riducendo i fronti pro e contro Ceta a quello fra sovranisti e internazionalisti.
Politica | 15 luglio 2018

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