sabato 12 marzo 2016

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IL decalogo DELL'ISIS NELL'ANTICO TESTAMENTO
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giovedì 10 marzo 2016

Meccanismo Europeo di Stabilità: tutto quello che non vi dicono e che dovreste sapere – I

di | 1 aprile 2014 dal Fatto Quotidiano

In molti si rincorrono oggi a criticare un Trattato internazionale, il cosiddetto Fiscal compact, che avrà i suoi effetti dirompenti e drammatici per il nostro paese dal prossimo anno. A chiedere la rinegoziazione di un accordo che prevede per il nostro paese l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio per Costituzione, quello del non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del Pil e una significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5%) all’anno, fino al rapporto del 60% sul Pil nell’arco di un ventennio, sono, in modo sorprendente e tragicomico, anche quei partiti che l’hanno ratificato in Parlamento nel luglio del 2012 dietro le direttive dell’allora premier Mario Monti.
La campagna elettorale per le elezioni europee di maggio, del resto, è iniziata e il regime del partito unico che governa il paese dall’ex Commissario dell’Unione Europea, Monti, a Renzi, passando per Letta, continua nella sua opera di mistificazione verso una popolazione, della quale non interessa nemmeno più il voto.
Troppo poco, a torto, si sa di un altro Trattato internazionale, quello istitutivo il Meccanismo europeo di stabilità (MES), che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha istituito una nuova governance europea per la gestione della crisi.
Il MES ha già prodotto risultati pratici tangibili e enormi. L’Italia, considerando anche il vecchio Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) di cui il Mes è stato l’erede, ha già versato 46 miliardi di euro dei 125 miliardi previsti fino al 2017. Soldi che chiaramente potevano essere utilizzati per rilanciare la nostra economia attraverso quei progetti eternamente sospesi per la mancanza di coperture. Al contrario, il MES ha permesso alle banche del Nord Europa di riprendere i crediti contratti nei paesi del Sud, in default a causa delle asimmettrie economiche insostenibili prodotte dalla moneta unica e emerse in maniera drammatica nel 2010. Il tutto è stato venduto all’opinione pubblica come un Fondo salva Stati. Ma è proprio così? 
Il MES: la natura del Trattato. 
Il meccanismo europeo di stabilità – European Stability Mechanism o ESM – è un Trattato intergovernativo, che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha di fatto istituito una nuova governance europea di gestione della crisi, parallela a quella costituita dai Trattati istitutivi dell’Unione Europea.
La creazione del MES è stata decisa nel Consiglio europeo del 16-17 dicembre 2010. In quell’occasione si è raggiunto l’accordo per avviare la procedura di revisione semplificata (ai sensi dell’art. 48 del Trattato dell’Unione Europea) riguardo all’art. 136 del Trattato funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e si è potuto introdurre il nuovo paragrafo 3, con il quale si riconosce in modo esplicito il potere degli Stati membri la cui moneta è l’euro di dar vita ad un’istituzione finanziaria permanente, il MES appunto, con sede a Lussemburgo, non previsto originariamente dai trattati.
Dato che per creare il MES si è modificato appunto il Trattato, bisognava anche consultare il Parlamento, il quale, ahinoi, con una risoluzione tra l’altro velocissima, ha dato il 23 marzo 2011 parere positivo pur sollevando diverse obiezioni. Senza tener modo in alcun modo delle critiche del Parlamento europeo e recependo solo alcune modifiche introdotte dal Consiglio, il Trattato è entrato in vigore il 27 settembre 2012, con l’avvenuto deposito da parte di un certo numero di Stati firmatari degli strumenti di ratifica. Il MES ha istituito un’organizzazione internazionale permanente con un capitale sociale pari a 700 miliardi di euro, di cui solo 500 prestabili, rinnovabile all’infinito attraverso una decisione dell’istituzione stessa. Decisione della quale, a parte la Germania che l’ha escluso attraverso la sentenza del 12 settembre del 2012 della sua Corte costituzionale, i Parlamenti nazionali non potranno più avere voce in capitolo.
Perché si è deciso di costituire il MES?Per far fronte alla crisi della zona euro che nel 2010 stava portando al collasso della moneta unica, si è deciso di ricorrere ad un accordo di diritto internazionale, con regole proprie che fuoriescono dal sistema normativo comunitario, e creare un ente finanziario che ha come obiettivo quello di correggere gli squilibri finanziari maturati nell’ambito della zona euro. La finalità del MES non consiste quindi nel “salvataggio” degli Stati, ma, come ha spiegato molto bene Lidia Undiemi, in una conferenza organizzata alla Camera e come dimostrerà in un suo libro di prossima pubblicazione, nella creazione di una governance politica intergovernativa attraverso la quale potere intervenire tutte le volte che l’instabilità – a monte generata da una crisi della “bilancia dei pagamenti” – mette in discussione la sopravvivenza della moneta unica. Cosa prevede il MES?
Sono cinque i punti più importanti del Trattato che devono essere compresi meglio:
– Il MES si baserà su un capitale garantito dagli Stati membri che utilizzerà sui mercati, dai quali attingerà poi le risorse richieste. (art.3 del Trattato istitutivo del MES)
- Il MES “avrà piena personalità giuridica e capacità giuridica”, potrà quindi acquistare e alienare beni immobiliari e mobili o stipulare dei contratti. Tutti i suoi beni, fondi e averi godranno dell’immunità totale da qualunque procedimento giudiziario e saranno esenti da restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie. (art. 32)
- Per aver accesso all’assistenza del MES, gli Stati dovranno rispettare le regole relative al Patto di stabilità e di crescita, i criteri di convergenza e i Memorandum d’intesa. Prima di ogni erogazione d’aiuti viene fatto firmare un Memorandum. Si tratta di un legame fondamentale e troppo spesso sottovalutato con il cosiddetto Fiscal Compact, che rende i due trattati un unicum politico nella creazione di quella nuova governance europea. (Punto 5 del Preambolo)
- È stata, infine, introdotta una deroga alla regola dell’unanimità e le decisioni più urgenti saranno prese a maggioranza qualificata. (art. 4)
Si tratta di un meccanismo democratico?Vista l’importanza che il MES ha assunto e assumerà nella gestione della politica interna dei vari Paesi che hanno chiesto e chiederanno il suo aiuto è anzitutto importante osservare che il MES è costruito con soldi pubblici, ma viene gestito senza mai passare attraverso un organo democraticamente eletto. La governance e l’istituzione è infatti tripartita tra il Consiglio dei governatori formato dai ministri delle finanze della zona euro, un Consiglio d’Amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un Direttore generale, che è responsabile dell’intera organizzazione, nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio dei Governatori. Il diritto di voto di ogni stato membro non ha eguale valore ma varia al variare della quota versata. È dunque evidente che il MES è saldamente nelle mani dei governi nazionali e poiché la Germania è il maggior contribuente è anche il paese che ha il maggior peso nelle decisioni.
Tre sono i punti che devono essere messi maggiormente sotto i riflettori.
Primo. L’istituzione intergovernativa ed i membri dell’organizzazione – compresi quelli dello staff – sono per Trattato immuni da procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (art. 32, punto 1). Gli atti scritti e i documenti ufficiali redatti sono inviolabili: non è previsto alcun meccanismo d’accesso. Persino i locali e gli archivi del MES sono inviolabili. Il direttore generale del MES può revocare l’immunità di qualsiasi membro del personale del MES eccetto se stesso (art. 35). Insomma è intoccabile.
Secondo. L’esperienza dei Paesi dove ha operato effettivamente il MES. I casi di Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro ci forniscono già quattro indizi che fanno più di una prova: attraverso il MES, i creditori internazionali della Troika si sostituiscono di fatto nella gestione della “politica economica” del paese debitore. Lo Stato che chiede un prestito deve, infatti, sottostare ad una “rigorosa condizionalità” nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di progressivo rientro del suo debito pubblico. Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. Il Paese in difficoltà che ha bisogno del prestito deve in poche parole cedere la propria sovranità nella definizione delle scelte di politica economica. Imporre ad una nazione in difficoltà un’agenda economica per soddisfare le richieste di un’istituzione finanziaria, perlopiù deresponsabilizzata grazie all’immunità, è qualcosa che va aldilà di ogni regola democratica.
Terzo. Il MES è infine un’organizzazione che opera concretamente come tutti gli enti finanziari e quindi eroga prestiti, rivolgendosi al mercato con l’obiettivo ultimo di un profitto. I privati – tra cui rientrano finanziatori come Nomura, Goldman Sachs, Merril Lynch e praticamente tutti i principali istituti di investimento mondiali – sono poi ammessi (punto 12 del Preambolo), in qualità di osservatori, a partecipare alle riunioni che hanno ad oggetto la valutazione della concessione del credito al paese richiedente, nonché la definizione delle rigorose prescrizioni da imporre alla nazione “minacciata”. Questa ingerenza si traduce nel serio rischio che a dettare le disposizioni di politica economica da applicare nel territorio dello Stato debitore siano coloro che concedono i soldi al fondo. La sovranità dei singoli Stati membri rischia quindi di essere sostituita da una governance  economica privata in grado di imporsi facilmente sugli organi sovrani dei vari Paesi membri.
 
di Paolo Becchi e Alessandro Bianchi
di | 1 aprile 2014

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si lo so è datato, oltre due anni, ma visto il momento ritengo necessario rinverdire un pò la memoria per farsi un idea, a meno di improvvisi balzi nell'orgoglio nazionale e nella schiena dritta dei nostri politici......, di quello cui stiamo andando incontro allegramente
c'è anche la seconda parte naturalmente che troverete al link sopra messo fra parentesi "seconda parte". Buona lettura.
p.s. 2
All'articolo del Professor Becchi aggiungo solo che ci sono, nel Trattato del MES, alcune clausole che è bene sapere: 1) edifici e membri sono INVIOLABILI E DIPLOMATICAMENTE IMMUNI,  non possono essere perseguiti; 2) gli Stati contribuiscono ai fondi del MES ma se ne hanno bisogno devono sottostare a clausole: significa che noi diamo i nostri soldi al MES ma se ne abbiamo bisogno ce li danno sotto forma di prestiti con un tasso d'interesse e con condizioni (Grecia docet); Il MES può ricorrere a forza di sicurezza direttamente (ricordate l'eurogenfor?) se lo ritiene necessario; 4) Il MES di fatto si sostituisce al governo locale.... e senz'alcun controllo visto il grado d'immunità e impunità di cui godono i propri membri; 5) quale organismo al di sopra di tutto il MES non risponde a nessuno nè a livello comunitario nè nazionale...
quanto sopra tanto per gradire, poi se ne avete voglia potete sempre qui su questo sito (uno dei tanti): leggioggi.it anche se c'è una parte segretata dello stesso di cui nessuno, se non i soliti hacker complottisti, ne sa l'esatta natura.

mercoledì 9 marzo 2016

Conti pubblici, Ue: “Entro il 15 aprile Italia spieghi in modo credibile come interverrà per raggiungere obiettivi”

di | 9 marzo 2016dal Fatto Quotidiano

Dopo che il governo italiano ha gettato acqua sul fuoco rispetto alla necessità di una correzione dei conti pubblici, la Commissione Ue nella lettera scritta ad hoc per l’Italia e spedita a Palazzo Chigi torna a ribadire che occorrono “misure tempestive per correggere i disavanzi eccessivi”. La “raccomandazione autonoma” arrivata a Roma – gli altri destinatari di comunicazioni ad hoc sono Belgio, Croazia, Finlandia e Romania – ammonisce: è “importante” che l’Italia assicuri che le “necessarie misure per centrare l’obiettivo di medio termine“, cioè il pareggio di bilancio, siano “annunciate in modo credibile e dettagliate al massimo entro il 15 aprile“, data della presentazione del Documento di economia e finanza. Roma, per centrare l’obiettivo di un rapporto deficit/pil 2,2% del pil, dovrà mettere in campo una correzione di circa 3 miliardi di euro.
“Se i dati di bilancio 2015 saranno confermati arriverà rapporto sul debito” – La Commissione inizia la missiva sottolineando che l’Italia ha un rapporto tra debito pubblico e pil “molto elevato”, che “ha raggiunto un picco del 132,6% nel 2015″ e “secondo le previsioni economiche d’inverno, è previsto calare lentamente nei prossimi due anni”. L’esecutivo Ue, pur riconoscendo che la zavorra si è perlomeno stabilizzata, prosegue ricordando il “rischio che la regola del debito non sia rispettata” e spiega che se i dati di bilancio per il 2015 validati da Eurostat confermeranno la violazione della regola transitoria del debito nel 2015 “dovrà redigere un rapporto, in accordo con l’articolo 126/3 del Trattato”. Il rischio di deviazione nel 2016 verrà rivalutato sulla base delle previsioni di primavera e alla luce del nuovo percorso di finanza pubblica delineato dal governo in aprile.
“Flessibilità? A patto che sia usata per gli investimenti” – La valutazione, ricordano le fonti, dovrà anche tenere conto delle decisioni che la stessa Commissione prenderà sulla richiesta di flessibilità relativa alla crisi dei rifugiati, alla clausola degli investimenti e alle riforme strutturali,. Nel decidere quanta concederne, a fronte dell’1% del pil richiesto dall’Italia, verrà posta “particolare attenzione” al suo utilizzo: quello spazio di manovra dovrà essere “effettivamente usato per gli investimenti“. Il che sembra chiudere le porte alla possibilità di finanziare in deficit misure come il bonus di 500 euro ai 18enni. Si terrà conto, poi, “dell’esistenza di piani credibili per la ripresa del percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine” e dei “progressi dell’agenda delle riforme strutturali, tenendo conto delle raccomandazioni del Consiglio”.
Moscovici: “Abbiamo informato dei rischi, ora sta ai Paesi tenerne conto” – In ogni caso il “rischio di deviazione” dal percorso verso l’obiettivo di medio termine nel 2015 e di “significativa deviazione” nel 2016, messi in evidenza dalle previsioni economiche d’inverno della Commissione, “non cambierebbero nel caso l’impatto incrementale sul bilancio dell’eccezionale ondata di migranti venisse escluso dalla valutazione”. Tradotto: anche se Matteo Renzi e il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan si vedessero accordare lo 0,2% di deficit aggiuntivo giustificato con l’emergenza immigrazione, i conti sarebbero comunque fuori dai paletti. “Abbiamo fatto quanto in nostro potere per informare le autorità nazionali dei rischi di inosservanza”, ha commentato il commissario agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici. “Ora sta a loro tenere conto di questo input in sede di elaborazione dei rispettivi piani di bilancio a medio termine che presenteranno ad aprile”.
Nel comunicato pubblicato sul sito della Commissione, intitolato “La Commissione ricorsa agli Stati membri i loro obblighi fiscali”, si spiega che Bruxelles “ha comunicato le proprie preoccupazioni in merito al rispetto degli obblighi di bilancio” ai sei Paesi, che hanno “ancora un sufficiente margine temporale per adottare misure tempestive per correggere i disavanzi”. “Per questo oggi la Commissione ha segnalato preventivamente questi aspetti. Siamo pronti ad avviare un dialogo costruttivo con i paesi interessati per ridurre al minimo i rischi”, ha commentato il Dombrovskis. Insomma: vi avvertiamo ora in modo che possiate mettervi in regola per tempo.
Le prossime tappe fino al verdetto di maggio - A marzo e aprile la Commissione terrà ulteriori incontri bilaterali con gli Stati membri. Riunioni che daranno modo di discutere delle singole relazioni con le autorità nazionali. Per aprile è prevista la presentazione, da parte dei Paesi dell’Eurozona, dei programmi nazionali di riforma e dei programmi di stabilità, parte del Def. Su questa base, in primavera Bruxelles presenterà le sue proposte per una nuova serie di raccomandazioni specifiche per paese. Le raccomandazioni conterranno anche orientamenti di bilancio, che riporteranno i dati definitivi per il 2015 convalidati da Eurostat. A maggio è atteso il verdetto definitivo sulle leggi di Stabilità ancora sub iudice, come quella dell’Italia.
di | 9 marzo 2016

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ricordate il 2007 e la Grecia (e i P.I.G.S.)? Bene credo ci siamo.... si accettano scommesse su cosa sarà privatizzato (diranno liberalizzato ma è un eufemismo), (s)venduto, tagliato, aumentato (IVA,e cc.), ecc.?

martedì 8 marzo 2016

Ma che democrazia è?

Il voto è il sale della democrazia, lo sanno tutti, ma... lo show che in questo paese è diventato l'espressione del voto (fin dal 1948 ossia da quando la Chiesa, attraverso i comitati civici forzò l'espressione del voto per "fermare i comunisti") da l'idea che quel sale (della democrazia) è finito.. e che la democrazia è solo una parola vuota e senza senso.
Per indurci a votare le hanno provate tutte:
  1. quando c'era il muro di berlino ci fregavano con l'ideologia, noi o loro; democrazia contro sovietismo; libertà contro comunismo ecc. tutti paraventi dietro il quale i due attori principali (che ben sapevano che si sarebbero distrutti a vicenda con le armi nucleari) avevano tutto l'interesse a che tutto continuasse nel senso sperato in modo da controllare i propri cittadini più che far propaganda, che pur c'era, contro l'avversario....
  2. dopo il muro di berlino c'era la necessità, visto che si erano liberati "gli spiriti animali del capitalismo', a che i cittadini non assaggiassero la vera libertà e volgessero lo sguardo altrove da essa: ecco le crisi; ecco il terrorismo; ecco la nascita della UE che serviva da parafulmine contro le decisioni impopolari che dovevano prendere (ricordate "ce lo chiede l'europa?); ecco la precarizzazione ecc. insomma tutto serviva, e serve, a che non si capisse che il capitalismo NON è democrazia anzi non sa che farsene perchè l'aspetto sociale da fastidio a chi vuole investire ma non vuol pagare dazio con tasse, stipendi adeguati, ecc.
.. lo spettacolo dato in questi giorni di primarie è il termometro della situazione: e, come negli anni d'oro della DC, quel che sale alla superificie è il compra voti, non il voto: come si può pensare che la gente abbia ancora voglia di votare per un partito o riconoscersi in un sistema, solo formalmente, democratico odve al voto ci va sia chi si vende per un voto, oggi alle primarie ma domani... chissà, o le frotte di extracomunitari o di cinesi  che corrono a votare per questo o per quello?
A voler essere dei complottisti si potrebbe sostenere che tutto è previsto perchè sia la stessa gente a chiedere a gran voce che un unto dal signore si faccia avanti e, visto che questo sistema non funziona, assicuri quella "tranquillità" e sicurezza che gli inetti attuali nonj sono capaci di assicurare.. e potete scommetterci che, appena arrivano al livello greco, questo qualcuno arriverà.. magari travestito da Cincinnato, che ne dite?
Intanto godetevi questi due post pubblicati su triskell182
  1. Roma, primarie flop Giachetti vince nel vuoto
  2. Un euro e vota Valente” video scandalo a Napoli A Roma lite sugli assenti (GOFFREDO DE MARCHIS E OTTAVIO LUCARELLI)

lunedì 7 marzo 2016

La guerra più idiota del mondo

Nel corso dei secoli in cui finora si sono dipanate le vicende umane, sono stati fatti quasi tutti i tipi di guerra: d’aggressione, di difesa, di convenienza, di colonizzazione, d’indipendenza, di liberazione, di rivoluzione, di prevenzione e così via.
Ultimamente però ci stiamo specializzando nella guerra stupida.
Intendo stupida proprio secondo il celebre Quadrante di Cipolla: apporta danni agli altri senza alcun vantaggio per se stessi, anzi procurando grandi svantaggi anche a chi la dichiara.
Il debutto di questa modalità bellica idiota si può forse far risalire all’intervento occidentale in Somalia, nel 1992; peggio è andata in Afghanistan all’inizio di questo secolo; peggio ancora con la splendida idea di Bush e Clinton di invadere l’Iraq nel 2003, una scelta a cui dobbiamo tra l’altro la nascita dell’Isis; ma hanno cercato di non essere da meno Sarkozy e gli altri interventisti in Libia, nel 2011.
Adesso c’è la seria possibilità che tocchi agli italiani battere tutti per imbecillità, mandando truppe in Libia.
A parte forse Panebianco, credo che non ci sia nemmeno bisogno di convincere nessuno in merito, talmente è evidente l’idiozia della cosa.
Basterebbe il solo fatto che noi siamo l’ex potenza coloniale a rendere semplicemente impensabile un intervento italiano (figuriamoci un “ruolo guida” dell’Italia nella futura occupazione). Basterebbe solo quello.
È tra l’altro curioso il fatto come questa cosa sia poco enfatizzata, nel dibattito politico nostrano: probabilmente abbiamo rimosso il nostro passato di paese che occupava – e massacrava. Del resto a scuola ci insegnano pochissimo delle nostre guerre in Libia e Abissinia. Peccato invece che in quei Paesi la memoria in merito sia molto viva. Me ne sono accorto di persona, quando meno di un anno fa ho passato un breve periodo in Etiopia: e anche nelle campagne più sperdute mi indicavano i luoghi dove gli italiani avevano fatto impiccare dei ragazzi locali. Il nome del generale De Bono, che da noi conosce probabilmente meno di un persona su cento, in Etiopia è invece sulla bocca di molti. I nonni hanno raccontato ai nipoti, del resto, quello che da noi invece non sa quasi nessuno: preferiamo l’etichetta di “brava gente”, rifugio ipocrita di chi non ha fatto i conti con il proprio passato.
Poi c’è quello che viene dopo, nel considerare la stupidità questo intervento. Non richiesto – ad esempio – da nessun governo libico unitario e legittimato, per il semplice fatto che questo non esiste: ci sono gli amici dell’assassino al Sisi da una parte e gli amici dei Fratelli Musulmani dall’altra, più una pletora di milizie più o meno tribali – e l’Isis.
Noi andremmo a cacciarci in questa guerra di tutti contro tutti, dove non ci sono neppure lontanamente i buoni da un parte e i cattivi dall’altra. E lo faremmo fondamentalmente per conto terzi, cioè del resto dell’Occidente che manda avanti noi perché evidentemente siamo i più cretini.
Il tutto, sia chiaro, in assenza di alcun piano progettuale sul cosa fare per stabilizzare l’area a nemico eventualmente battuto, perché non sia abbandonata la buona tradizione di fare la guerra senza avere uno straccio di idea sul cosa fare dopo, visti gli ottimi risultati che questa strategia dell’improvvisazione ha già dato in Libia e Iraq.
Ecco, forse nel 2016, di fronte all’ipotesi di fare la guerra in Libia, potremmo utilmente mettere da parte le contrapposizioni di principio che di solito vengono tirate in ballo: quelle sull’articolo 11 della Costituzione, sul pacifismo come valore assoluto o relativo, sulla liceità morale di un intervento in territorio altrui.
Perché oggi basta guardare pragmaticamente al senso specifico proprio diquesta guerra, alla sua specifica e totale stupidità.
Proprio nel senso di Cipolla: far danni ad altri facendo danni a se stessi.
(Da gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it)
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vi starete chiedendo: ma perchè tutti questi post su questioni del genere e per giunta presi da altri? Semplice, rispecchiano fedelmente quanto penso e trovo che lo dicano meglio e più brevemente di quanto avessi potuto fare io...

domenica 6 marzo 2016

Il Pil è sbagliato, ma i giornali non se ne accorgono (Peter Gomez)

06/03/2016 di triskel182
Il silenzio da parte dei media è stato quasi assoluto. In pochi hanno raccontato come da 76 ore su Twitter uno sparuto gruppo di autorevoli economisti stesse chiedendo spiegazioni all’Istat e come in risposta non arrivassero secche smentite, ma solo comunicati interlocutori. Numeri alla mano, i professori dicevano che i conti non tornavano. Che il Pil italiano non poteva essere cresciuto dello 0,8 per cento come aveva sostenuto l’Istituto nazionale di statistica il primo marzo. Ieri finalmente la verità: il nostro Paese nel 2015 ha incassato un modestissimo 0,6 per cento in più che, nella classifica della crescita, ci fa scivolare al terzultimo posto in Europa. Lo 0,8, ha ammesso l’Istat, era un dato grezzo ed era stato diffuso senza ricordare che lo scorso anno si era lavorato tre giorni in più rispetto al 2014.
Un dato oltretutto raggiunto perché le regole dell’Istituto – e va detto universalmente applicate – prevedono l’arrotondamento al decimale superiore. Un’operazione che aveva fatto diventare 0,8 l’originario 0,759.
Ora ciascuno è libero di pensarla come gli pare. Chi vuole può anche prendersela con il premier Matteo Renzi e credere di essere davanti a una sorta di complotto. A degli esperti di statistica talmente ansiosi di compiacere il principe di turno da arrivare ad abbellire i decimali. A gente disposta a maquillage e omissioni nei propri comunicati ufficiali al solo fine di permettergli di dire: “A inizio anno avevamo immaginato una crescita dello 0,7%. È andata invece meglio delle previsioni”. Chi scrive però non si arruola in queste fila. Ai cervelloni dell’Istat concediamo, fino a prova contraria, buona fede e presunzione d’innocenza. Del resto da sempre sappiamo che i fatti sono ostinati, ma che le statistiche sono molto più flessibili.
Per questo ora diciamo che in Italia in troppi non fanno fino in fondo il loro mestiere. Per primi i giornali e le tv. Chi lavora nei media, dopo aver dato tanto spazio e tanta enfasi a dei risultati di crescita di fatto imbellettati, aveva il dovere di raccontare che da tre giorni, sotto gli occhi di milioni di italiani iscritti a Twitter, l’Istat stava partecipando a un singolare dibattito condotto a colpi di numeri, tabelle e comunicati. E se è in democrazia è legittimo che un gruppo editoriale, come per esempio quello nascente tra La Stampa e Repubblica, scelga una linea filogovernativa, è invece profondamente sbagliato ignorare le notizie. Anche ieri sui siti di Repubblica, de La Stampa e del Sole 24 Ore, i dati statistici corretti erano introvabili nei titoli. Per leggerli era necessario armarsi di lente d’ingrandimento e scovarli affogati nei pezzi. C’erano invece sull’home page del Corriere della Sera.
Intanto, la cancelliera tedesca Angela Merkel esorta la Grecia «a fare di più per accogliere i migranti in modo umano», ma aggiunge a
Bild am Sonntag:
«Capisco Tsipras, non lo lasceremo solo», e attacca la linea dura dei paesi balcanici. «Francia, Germania e Portogallo dovrebbero prendere subito 30mila profughi, e anche gli altri Stati membri devono prendersi le loro quote. E i 700 milioni stanziati non bastano», incalza poi il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz.
L’iniziativa italotedesca è partita con una lettera di Alfano e de Maizière alla Commissione europea: chiedono una registrazione dei migranti a livello Ue che includa controlli di sicurezza, con l’aiuto dell’agenzia Frontex. E un’ambiziosa riforma delle regole di Dublino (secondo cui si chiede asilo nel primo paese d’arrivo), creando «un sistema di asilo comune europeo». I due ministri propongono di portare i migranti bisognosi di protezione nei paesi d’origine o di transito (l’approccio del negoziato con la Turchia). I rifugiati poi devono essere ripartiti sul territorio dell’Unione con un sistema di quote annuali, e sollecitano «un robusto meccanismo europeo di rimpatrio» per respingere i migranti economici.
Situazione più drammatica di ora in ora.
Articolo intero su ilfattoquotidiano.it.
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credo che basti per far capire a tutti che ci prendono in giro a tutto tondo.... le cose non vanno bene per niente: altro che merrcato del lavoro e jobs act: ci vorrebbe altro e altra classe politica, ma siamo in italia e siamo italiani!

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