Fonte:
Il Fatto Quotidiano Zonaeuro | 23 ottobre 2018
Enrico Grazzini
Per
uno Stato carico di debiti come quello italiano, è meglio continuare a
indebitarsi sempre di più sui mercati finanziari, eventualmente
applicare
una nuova imposta patrimoniale o invece emettere
moneta fiscale?
E’ impossibile anticipare l’esito del braccio di ferro tra lo Stato
debitore e la grande finanza che specula sul debito. E’ impossibile
prevedere quale sarà nel prossimo futuro il valore di mercato dei titoli
di Stato, dei Bot e dei BTP, e se lo
spread – il
differenziale di rendimento con i titoli di debito dello Stato tedesco –
scenderà o invece salirà a livelli insostenibili. I mercati finanziari
sono, infatti, per loro natura
caotici e
imprevedibili. Tuttavia c’è sempre una logica nella loro follia.
Il caos ha una natura deterministica; il mercato è imprevedibile ma
nulla avviene per caso:
tutto accade secondo ragione e necessità. In questo senso voglio
azzardare una scommessa basandomi su argomentazioni razionali. I mercati
sono spaventati perché credono che la nuova legge di bilancio del
governo aumenterà il debito pubblico già troppo alto e non produrrà i
tassi di crescita annunciati. Gli investitori chiedono tassi di
interesse più alti sul debito italiano perché ritengono che il rischio
Italia sia maggiore. Così
lo spread cresce, e il debito rischia di aumentare a spirale.
La scommessa che faccio è che –
nonostante i downgrade di Moody’s e di S&P e
nonostante le bocciature della Ue – i mercati nei prossimi mesi non faranno fallire l’Italia.
Posso sbagliarmi, ma se il governo regge, è difficile che nel prossimo futuro lo spread (già troppo alto) si allontani molto dai
300 punti. La previsione è basata su due elementi fondamentali: l’Italia è sicuramente
solvibile;
e a nessuno conviene fare fallire l’Italia. Infatti l’Italia ha un
patrimonio tassabile che (almeno potenzialmente) permette certamente
agli investitori e agli speculatori internazionali e nazionali di essere
ripagati dei loro crediti. Con
oltre 4000 miliardi di ricchezza finanziaria,
basterebbe una patrimoniale
– quella che tutti in Italia temono – per abbassare drasticamente il
debito pubblico. Una tassa sui super-ricchi non è impensabile. In Italia
l’
1,5% dei cittadini italiani controlla circa
800 miliardi
di ricchezza finanziaria. L’Italia è abbastanza ricca per rientrare dai
debiti. Del resto una patrimoniale a sorpresa costituisce da sempre
l’arma segreta di un governo in forte crisi che però voglia restituire i
suoi debiti. E questo gli investitori finanziari lo sanno bene.
C’è poi un altro motivo per cui agli investitori in linea teorica non conviene far crescere lo spread fino a livelli
insostenibili.
Se lo Stato italiano fosse costretto a fallire – cioè a dichiarare
formalmente che non restituisce i suoi debiti – molti operatori
nazionali e internazionali registrerebbero forti perdite e si
innescherebbe una reazione a catena che, almeno in teoria, non conviene a
nessuno. Per gli investitori è meglio “tosare la pecora” che
ammazzarla. La montagna del debito pubblico italiano sul mercato (circa
2000 miliardi) rappresenta già da qualche decennio una ghiotta e sicura
opportunità di business per i creditori. Il fallimento dell’Italia
comporterebbe invece quasi certamente la rottura dell’eurozona. La
caduta dell’Euro provocherebbe choc economici e politici che nessuno
saprebbe governare.
Da qui
la mia (molto azzardata) previsione.
Credo che l’Italia sarà costretta a fronteggiare ancora operazioni di
logoramento piuttosto che di scontro frontale. Tuttavia, come ho già
detto all’inizio, i mercati – fiancheggiati dalle istituzioni Ue – non
sono prevedibili, sono caotici, e gli operatori si muovono in ordine
sparso e in maniera cieca. Nell’economia di mercato non esiste l’ottimo
di Pareto, cioè una soluzione stabile e razionale che conviene a tutti
al massimo livello possibile. Cioè che è razionale dal punto di vista
collettivo non lo è affatto dal punto di vista individuale. La mossa di
un solo investitore può scatenare bruscamente un disastro economico.
Un fatto è certo:
in queste condizioni per l’Italia non esiste una strada facile e
sicura per uscire dalla crisi del debito e rilanciare l’economia.
Tuttavia esistono delle soluzioni meno rischiose è più praticabili di
altre.
La soluzione migliore sarebbe certamente quella di
sganciarsi per quanto possibile dalle speculazioni degli investitori, e
che lo Stato italiano si riappropri, almeno in parte, della sua
sovranità monetaria per
finanziare la ripresa dell’economia di cui abbiamo bisogno come
dell’aria. La soluzione potrebbe essere che lo stato, nel rispetto delle
regole dell’eurozona, emetta autonomamente un titolo facilmente
convertibile in euro, ovvero una
quasi-moneta (così si chiamano in gergo
i titoli molto liquidi, cioè subito convertibili in denaro sonante) nazionale. La soluzione è realmente
realizzabile: lo Stato potrebbe infatti emettere dei
Titoli di Sconto Fiscale per qualche decina di miliardi di euro
senza metterli all’asta sul mercato primario dove
le grandi banche d’affari comprano il nostro debito pubblico fissando
di volta in volta lo spread. Lo Stato potrebbe, invece, assegnare
gratuitamente e direttamente i TSF a famiglie, enti pubblici e imprese. I
TSF servirebbero a pagare le tasse, i contributi, multe, tariffe
pubbliche ecc, ma, per non generare
un immediato buco fiscale,
maturerebbero – cioè sarebbero utilizzabili – solo al quarto anno
dall’emissione. Questi titoli negoziabili potrebbero però essere subito
convertiti in euro, proprio come lo sono i Bot e i Btp.
La nuova
liquidità assegnata a famiglie, imprese e enti pubblici ridarebbe
ossigeno all’economia. In questa maniera lo Stato eviterebbe
lo spread
e rilancerebbe direttamente la domanda aggregata (investimenti,
consumi, spesa pubblica) e, quindi, la produzione e l’occupazione. In
Italia infatti non mancano le capacità produttive. Quello che manca è la
moneta per rimetterle in moto. Se la nuova moneta messa in
circolazione con l’assegnazione dei TSF fosse spesa bene, grazie al
moltiplicatore fiscale e alla crescita dell’inflazione dovuta
all’aumento della domanda, in tre anni il Pil crescerebbe in misura
tale che al quarto anno – nel momento dell’utilizzo effettivo degli
sconti fiscali – ci sarebbero entrate fiscali tali da più che
compensare l’emissione iniziale. Lo Stato non ha, quindi, bisogno di
indebitarsi con i mercati:
può finanziarsi da solo. E
può farlo senza uscire dalle (stupide) regole dell’euro: infatti, i TSF
non sono moneta, e, come strumento fiscale, sono perfettamente
compatibili con il trattato di Maastricht.
Zonaeuro | 23 ottobre 2018